Compromissione globale delle funzioni nervose corticali superiori: Compromissione globale delle funzioni nervose corticali superiori



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Compromissione globale delle funzioni nervose corticali superiori:

  • Compromissione globale delle funzioni nervose corticali superiori:

    • memoria,
    • capacitá di far fronte alle richieste della vita quotidiana
    • Capacità di svolgere le prestazioni percettive e motorie acquisite in precedenza,
    • Mantenimento di un comportamento sociale adeguato alle circostanze,
    • Controllo delle proprie reazioni emotive
    • In assenza di compromissione dello stato di vigilanza. (1982, Committee of Geriatrics Royal College UK).
  • sindrome clinica, a decorso cronico-progressivo, caratterizzata da perdita di memoria a breve e a lungo termine associata a deterioramento di altre funzioni cognitive (afasia, aprassia, agnosia, deficit del pensiero astratto o delle capacità di critica) di severità tale da compromettere in modo significativo le attività lavorative, sociali e relazionali, con un peggioramento rispetto al precedente livello funzionale, in presenza di un normale stato di coscienza (DSM IV American Psychiatric Association)

  • Le modificazioni cognitive compromettono significativamente le ADL e le IADL.


1906: il neurologo tedesco A. Alzheimer presenta il caso di Auguste D. La donna 51enne soffriva di una grave forma di demenza progressiva, iniziata con disturbi comportamentali di tipo fobico e poi caratterizzata da seri disturbi di memoria e disorientamento spazio-temporale. L’evoluzione della malattia fu rapida e dopo circa 4 anni la paziente morì. I risultati dell’autopsia rivelarono, oltre ad una marcata atrofia della corteccia, la presenza di alterazioni che coinvolgevano numerosi neuroni (placche senili e grovigli neurofibrillari).

  • 1906: il neurologo tedesco A. Alzheimer presenta il caso di Auguste D. La donna 51enne soffriva di una grave forma di demenza progressiva, iniziata con disturbi comportamentali di tipo fobico e poi caratterizzata da seri disturbi di memoria e disorientamento spazio-temporale. L’evoluzione della malattia fu rapida e dopo circa 4 anni la paziente morì. I risultati dell’autopsia rivelarono, oltre ad una marcata atrofia della corteccia, la presenza di alterazioni che coinvolgevano numerosi neuroni (placche senili e grovigli neurofibrillari).

  • Fino agli anni 70 si riteneva che la malattia colpisse solo persone di mezz’età (demenza presenile) e che i casi con oltre 65 anni fossero dovuti ad aterosclerosi o al processo di invecchiamento. Negli anni successivi il confronto dei cervelli di malati giovani e anziani dimostrò che la degenerazione del tessuto cerebrale e le placche senili descritte da Alzheimer erano identiche; contemporaneamente si scoprì l’esistenza di specifici deficit biochimici legati alla morte delle cellule nervose preposte alla produzione ed all’uso di tali sostanze, che quindi non erano più in grado di svolgere il loro lavoro.



La demenza non è una sindrome scoperta recentemente; tuttavia, con il fenomeno dell’invecchiamento demografico, rappresenta una vera e propria emergenza sanitaria; la sua prevalenza assume un andamento di crescita esponenziale dai 60 anni in poi (prevalenza di 5-6% a 65 anni, 22% a 80 anni e 40% a 90 anni).

  • La demenza non è una sindrome scoperta recentemente; tuttavia, con il fenomeno dell’invecchiamento demografico, rappresenta una vera e propria emergenza sanitaria; la sua prevalenza assume un andamento di crescita esponenziale dai 60 anni in poi (prevalenza di 5-6% a 65 anni, 22% a 80 anni e 40% a 90 anni).

  • Dall’esordio ha una durata di 8-15 anni.

  • Nel nostro paese quasi il 20% dell’intera popolazione ha attualmente un’età superiore o uguale a 65 anni e quindi si può stimare che in Italia siano tra 600.000 e 1.000.000 le persone affette da demenza.



Attenzione: funzione di filtro tra molteplici stimoli “in ingresso” attraverso gli organi di senso; incapacità di filtrare e selezionare gli stimoli; incapacità di svolgere più di una azione per volta

  • Attenzione: funzione di filtro tra molteplici stimoli “in ingresso” attraverso gli organi di senso; incapacità di filtrare e selezionare gli stimoli; incapacità di svolgere più di una azione per volta

  • Memoria: funzione che consente di conservare traccia degli eventi e di richiamarli quando necessario; l’amnesia si manifesta con la scomparsa prima degli eventi recenti ed in seguito di quelli più lontani nel tempo; per ultima scompare la memoria procedurale, cioè quella che racchiude i gesti e le azioni divenuti automatici

  • Linguaggio: perdita della capacità di parlare; l’afasia è graduale e si manifesta in modi diversi: incapacità di trovare la parola giusta, perdere il filo del discorso, ripetere sempre le stesse cose, etc.; anche la mimica facciale si riduce fino alla amimia

  • Conoscenza: capacità di riconoscere la realtà circostante e gli stimoli che provengono dall’esterno e dall’interno; l’agnosia non consente al paziente di riconoscere gli oggetti, i volti, gli ambienti, i suoni.

  • Abilità pratica: capacità di eseguire sequenze gestuali note; l’aprassia è la perdita della capacità di programmare nella giusta sequenza i gesti complessi, finalizzandoli al raggiungimento di uno scopo, anche in assenza di malattie organiche che colpiscono i muscoli e le articolazioni



Agitazione

  • Agitazione

  • Aggressività fisica e/o verbale

  • Vagabondaggio (“Wandering”)

  • Disturbi del sonno

  • Rifiuto di alimentarsi o iperfagia

  • Allucinazioni, idee deliranti

  • Disinibizione sessuale

  • Per molto tempo considerati di scarsa importanza dai clinici, poco più che un corollario alla malattia, sono invece quelli che maggiormente la caratterizzano e che influenzano pesantemente il “destino” del soggetto demente:

    • provocano sofferenza psico-fisica
    • predicono un accelerato declino funzionale
    • anticipano l’istituzionalizzazione
    • inducono a contenzione fisica e farmacologica
    • determinano una significativa perdita di qualità di vita non solo del malato ma anche della sua famiglia e del care-giver


Caratteristica di frequente osservazione nel demente

  • Caratteristica di frequente osservazione nel demente

  • E’ pericolosa perché associata alla perdita dell’orientamento.

  • E’ importante cercare di individuarne la ragione:

    • se è una manifestazione di noia, incrementare le attività ricreative;
    • se si tratta della manifestazione del desiderio di esercizio fisico, far fare ogni giorno una lunga passeggiata che mantiene in forma il fisico e contribuisce a combattere l’insonnia notturna;
    • se si tratta di una reazione ad una sensazione di dolore, stato di disagio o, molto spesso, un mutamento dell’ambiente di vita, armarsi di tempo e pazienza perché far accettare un trasferimento al demente è compito estremamente arduo; rassicurarlo spesso ed informarlo di quanto sta per succedere, realizzare il trasferimento nel modo più tranquillo possibile, circondarlo di oggetti familiari e foto della sua famiglia.
    • Far indossare una catenina o un bracciale di identificazione o, in alternativa consegnargli un semplice foglio di istruzioni e accertarsi che porti con sé i documenti di riconoscimento personali
  • Informare i vicini di casa del problema e sincerarsi dei reali pericoli in cui può incorrere uscendo di casa da solo in una determinata zona;

  • Se il paziente è assolutamente determinato a raggiungere un determinato luogo, non contrastarlo direttamente anzi assecondarlo al principio e dopo un certo tempo, quando avrà dimenticato il suo intento originale, proporgli altre mete;

  • E’ sempre preferibile distrarre il malato invece di opporre un rifiuto e contrastarlo apertamente;

  • Essere consapevoli che l’eliminazione di qualsiasi rischio, legato al vagabondaggio, per il demente, si può ottenere soltanto con la totale costrizione ed immobilizzazione del soggetto; è preferibile quindi, anche per salvaguardare la dignità della persona, accettare un certo grado di rischio;

  • Se si vogliono evitare le fughe, si possono usare anche semplici trucchi come serrature difficili da aprire o situate in posizioni scomode, tenendo presente però che qualsiasi porta, per motivi di sicurezza, deve poter essere aperta velocemente

  • Utilizzare i farmaci sedativi solo come ultima risorsa; a volte il girovagare senza meta è prodotto, come effetto collaterale, proprio dall’assunzione in eccesso di alcuni farmaci



E’una forma di agitazione dovuta alla convinzione errata che sia già ora di alzarsi, alla necessità di alzarsi per urinare frequentemente durante la notte e, soprattutto all’inattività diurna che predispone il soggetto all’irrequietezza ed all’iperattività notturna

  • E’una forma di agitazione dovuta alla convinzione errata che sia già ora di alzarsi, alla necessità di alzarsi per urinare frequentemente durante la notte e, soprattutto all’inattività diurna che predispone il soggetto all’irrequietezza ed all’iperattività notturna

  • Fare in modo che il malato svolga adeguata attività fisica durante il giorno, soprattutto durante le ore pomeridiane

  • Proporre attività che possono favorire il sonno (es. giro in macchina o bagno caldo)

  • Accertarsi che il malato prima di andare a letto abbia soddisfatto i propri bisogni fisiologici e limitare l’assunzione di liquidi nelle ore serali

  • Lasciare una piccola luce notturna accesa in camera, in bagno e lungo il percorso

  • Accertarsi della temperatura ambientale delle condizioni del letto, della biancheria e delle coperte; usare coperte leggere per evitare che si attorciglino attorno al corpo

  • Usare le sponde del letto solo quando c’è l’effettivo pericolo che il demente possa cadere; le sponde infatti possono esse stesse rappresentare un pericolo quando il malato intraprendente le riesca a scavalcare

  • Se il malato si alza di notte e si veste come se fosse l’ora normale del risveglio, non è opportuno tentare di convincerlo a tornare a letto: nulla vieta che possa tornare ad addormentarsi vestito.



Si manifesta con una serie di comportamenti aberranti (es. strillare, lanciare accuse, rifiutare di muoversi, litigare, colpire l’altro), non è mai diretta intenzionalmente contro chi lo assiste o gli sta vicino; si tratta di una manifestazione di stato d’animo d’ira, agitazione o confusione, che deve in qualche modo esprimersi

  • Si manifesta con una serie di comportamenti aberranti (es. strillare, lanciare accuse, rifiutare di muoversi, litigare, colpire l’altro), non è mai diretta intenzionalmente contro chi lo assiste o gli sta vicino; si tratta di una manifestazione di stato d’animo d’ira, agitazione o confusione, che deve in qualche modo esprimersi

  • Reagire sempre con la massima calma; tentare di persuadere il malato con dolcezza, di rassicurarlo, cercare di spostare la sua attenzione verso qualcos’altro

  • Evitare di rimproverare o peggio, di punire il demente, anche perché, non essendo in grado di capire che il suo comportamento è ingiustificato ed inappropriato, la punizione non serve a nulla

  • Chiedersi se c’è stata una causa scatenante che ha determinato l’episodio di aggressività (es. il ritrovarsi in un ambiente sconosciuto con gente sconosciuta o quando gli venga richiesta un’abilità che non ricorda più con conseguente frustrazione). Chi conosce bene il malato, spesso, riesce a riconoscere queste crisi all’esordio e quindi a scegliere fra le tante “tattiche di sviamento” quella che meglio si adatta alla situazione

  • La violenza fisica vera e propria avviene in casi eccezionalmente rari, ma, qualora dovesse manifestarsi, allontanarsi dal malato e cercare una persona a cui chiedere aiuto; cercare di prevenire ulteriori episodi anche con l’uso di terapia farmacologica

  • I comportamenti aggressivi del malato sono difficili da accettare, soprattutto da parte del care-giver, che si prodiga nell’assistenza; la cosa migliore è dimenticarsene in fretta, non darvi importanza e ricordare sempre che si tratta di una manifestazione di malattia

  • Nessuno di noi riesce a controllare sempre le proprie reazioni e quindi è illogico sentirsi in colpa per aver risposto d’istinto o in malo modo ad una provocazione inconsapevole del malato; se però il care–giver adotta questo comportamento spesso, ciò significa che è stressato e deve allontanarsi per un po’, facendosi sostituire da qualcun altro nell’assistenza al malato. E’ infatti importante ricordare che sopportare il carico dell’assistenza del demente può sicuramente essere fonte di stress, e che quest’ultimo, se accumulato in eccesso, si trasmette al malato stesso inducendo una maggiore agitazione



Non completamente, anche se la prevenzione dei fattori di rischio vascolare sembra di primaria importanza. Negli ultimi tempi è venuta meno la tradizionale separazione tra Alzheimer e demenza vascolare, nel senso che la presenza di una non esclude l’altra. Sono stati studiati i rapporti tra ipertensione, malattia aterosclerotica, fibrillazione atriale, diabete e demenza e si conferma con sicurezza che c’è aumento del rischio i malattia quando l’individuo è portatore di alcune condizioni che compromettono la funzione cardio e cerebrovascolare.

  • Non completamente, anche se la prevenzione dei fattori di rischio vascolare sembra di primaria importanza. Negli ultimi tempi è venuta meno la tradizionale separazione tra Alzheimer e demenza vascolare, nel senso che la presenza di una non esclude l’altra. Sono stati studiati i rapporti tra ipertensione, malattia aterosclerotica, fibrillazione atriale, diabete e demenza e si conferma con sicurezza che c’è aumento del rischio i malattia quando l’individuo è portatore di alcune condizioni che compromettono la funzione cardio e cerebrovascolare.

  • Le regole d’oro sono: ciò che è buono per il cuore, lo è anche per il cervello:

    • prevenire malattie cardiache, ictus, diabete, ipertensione;
    • tenere sotto controllo peso, pressione, colesterolo e glicemia;
    • assumere meno grassi e più sostanze antiossidanti;
    • l’attività fisica ossigena il sangue e aiuta le cellule nevose e quindi camminare 30 minuti al giorno tiene attivi mente e corpo;
    • mantenere il cervello attivo e impegnato stimola la crescita delle cellule e delle connessioni nervose: leggere, scrivere, giocare, imparare cose nuove, fare le parole crociate;
    • occupare il tempo libero con attività che richiedono sforzo fisico e mentale come socializzare, conversare, fare volontariato, frequentare un club, ritornare sui banchi di scuola;
    • evitarle cattive abitudini cioè non fumare, non bere tropo, non fare uso di droghe;
    • guardare avanti ovvero iniziare oggi a preparare il domani.
  • Eliminare i fattori di rischio non abolisce del tutto il rischio di malattia ma certamente allontana nel tempo la comparsa delle condizioni che rendono evidente la sofferenza dell’ammalato.



Demenze su base degenerativa:

  • Demenze su base degenerativa:

    • Compromissione prevalentemente corticale:
      • malattia di Alzheimer
      • Lewy body disease
    • Compromissione neurologica anche sottocorticale:
      • paralisi progressiva
      • demenza cortico-basale
      • malattia di Huntington.
  • Demenze vascolari

  • E’ basata su una serie di valutazioni che possono evidenziare a presenza di disturbi cognitivi e problemi comportamentali:

    • raccolta della storia clinica,
    • valutazione cognitiva,
    • test neuropsicologici,
    • esame obiettivo internistico e neurologico.
  • Uno dei test più conosciuti è MMSE (Mini Mental State Examination) test di rapida somministrazione, capace di esplorare rapidamente piú aspetti cognitivi e comportamentali (orientamento temporo-spaziale, memoria, attenzione e calcolo, linguaggio, abilitá costruttiva), in grado di fornire in pochi minuti il livello di compromissione cognitiva del soggetto.

  • Questi strumenti permettono di effettuare una diagnosi quando i sintomi sono già evidenti; tuttavia, soprattutto nelle demenze degenerative, c’è una fase iniziale nella quale la malattia è caratterizzata dal solo danno biologico e i sintomi sono lievi e sfumati. In questa prima fase sono importanti le indagini strumentali: TAC, RMN e fRMN, rachicentesi (si rilevano alterazioni di proteine caratteristiche della malattia nel liquor).

  • Negli ultimi anni attraverso le tecniche di neuroimmaging è stato possibile studiare alcune modifiche di aree specifiche del cervello, che sono tipiche dell’Alzheimer, l’ippocampo in particolare. E’ stato dimostrato, infatti, che questa struttura si atrofizza velocemente nel corso della malattia, mentre rimane pressoché uguale nel normale invecchiamento.

  • L’informazione sulla diagnosi al paziente (visto che è maggiorenne e per lo più non interdetto), va modulata sulla gravità del suo deterioramento cognitivo, mentre quella ai familiari va adattata al loro livello culturale. I contenuti principali riguardano: storia della malattia e possibili conseguenze sul nucleo familiare, questioni legali, consiglio di rivolgersi ai servizi preposti e ad un’associazione di malati.



Non esiste al momento un vero e proprio trattamento della causa, in quanto non ancora completamente conosciuta, ma soltanto farmaci sintomatici:

  • Non esiste al momento un vero e proprio trattamento della causa, in quanto non ancora completamente conosciuta, ma soltanto farmaci sintomatici:

    • Inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, galantamina, rivastigmina): sono indicati per la fase lieve-moderata della malattia; è stato dimostrato che durante la malattia si verifica una carenza cerebrale di acetilcolina, neurotrasmettitore importante per la memoria ed il pensiero; gli inibitori dell’enzima che disattiva l’acetilcolina mantengono più a lungo la disponibilità del neurotrasmettitore e possono compensare, ma non arrestare, la distruzione delle cellule provocata dalla malattia. Possono migliorare alcuni sintomi cognitivi (come memoria e attenzione) e comportamentali (come apatia, agitazione e allucinazioni), ma questa loro capacità diminuisce con la progressione della malattia. Tra gli effetti collaterali vi sono nausea e bradicardia; infatti sono necessari controlli elettrocardiografici periodici.
    • Memantina: è indicata nelle fasi moderatamente severa e severa; agisce compensando gli effetti tossici derivanti dall’eccessiva eccitazione delle cellule nervose causata dal glutammato; questa sostanza ha un ruolo essenziale nell’apprendimento e nella memoria ma il suo eccesso produce una grande quantità di calcio nei neuroni, provocandone la morte; il farmaco migliora i sintomi ed è neuroprotettivo; tra gli effetti collaterali vengono segnalati agitazione e sensazione di capogiro.
    • Antiossidanti (selegilina, vitamina E, gingko-biloba): sembra che queste sostanze rallentino i meccanismi che portano alla perdita delle cellule cerebrali; ritardano la perdita di alcune ADL e l’istituzionalizzazione, ma non migliorano memoria o pensiero; non tutte le ricerche effettuate confermano questi dati.


Devono essere usati con la massima cautela per i numerosi effetti collaterali,

  • Devono essere usati con la massima cautela per i numerosi effetti collaterali,

  • Solo quando non bastano gli interventi non farmacologici per attenuare i sintomi.

    • Antidepressivi: possono aiutare a distinguere la depressione “vera”, che risponde al trattamento, da quella che prelude alla successiva evoluzione in demenza, in cui la risposta ai farmaci è più dubbia.
    • Ansiolitici e ipnoinducenti: normalmente impiegati nella terapia dell’ansia e dell’insonnia; non è raccomandabile usali nell’anziano perché alterano la memoria e l’equilibrio ed aumentano il rischio di caduta.
    • Antipsicotici: si utilizzano quelli di nuova generazione, i cosiddetti “atipici” (aripiprazolo, clozapina, olanzapina, quetiapina, risperidone); servono per controllare i disturbi comportamentali come deliri, allucinazioni, aggressività, agitazione, insonnia; sono gravati da minor sedazione e rallentamento motorio rispetto quelli tipici. L’aloperidolo (neurolettico tipico) rimane comunque il farmaco d’elezione per il trattamento del delirium ipercinetico nel paziente demente (attenzione all’intervallo QTc dell’elettrocardiogramma!)


Il decorso della malattia è lungo ed eterogeneo, per cui non puó esistere un unico approccio al paziente demente;

  • Il decorso della malattia è lungo ed eterogeneo, per cui non puó esistere un unico approccio al paziente demente;

  • Non esistono terapie farmacologiche incisive per controllare la malattia e proprio per questo motivo è opportuno valorizzare al massimo il ruolo dell’assistenza.

  • Obiettivo principale: ritardare il piú possibile la perdita dell’autosufficienza; data la lunga sopravvivenza del malato, riuscire a mantenerlo in discrete condizioni per il maggior tempo possibile si puó considerare un successo etico, economico e sociale.

  • Lo sforzo richiesto agli operatori che assistono i pazienti dementi non è indifferente. La tranquillità, la serenità, la disponibilità che vengono richieste sono pari alla competenza necessaria ed il rischio del burn-out è sempre in agguato. E’ indispensabile perciò un costante e qualificato supporto formativo.



Non sovrastimare le disabilitá, perché, in questo modo, le risorse individuali residue vengono sottoutilizzate e si accelera l’approdo allo stato di non autosufficienza

  • Non sovrastimare le disabilitá, perché, in questo modo, le risorse individuali residue vengono sottoutilizzate e si accelera l’approdo allo stato di non autosufficienza

  • Non sovrastimare le capacitá residue per evitare di andare incontro ad una REAZIONE CATASTROFICA, caratterizzata di solito da rifiuto e agitazione

  • Garantire la COSTANZA DELL’AMBIENTE ( es. gli oggetti al medesimo posto) per evitare il piú possibile qualsiasi forma di sradicamento; si tratta in pratica di creare una sorta di “nicchia ecologica” dove il soggetto è in grado di ritrovare il controllo ed autogestirsi, utilizzando almeno in parte i locali accessibili con sufficiente raziocinio. Tale ambiente dovrebbe anche garantire un buon livello di sicurezza per evitare che il demente si autodanneggi (es. assenza di fornelli a gas, coltelli, sostanze chimiche etc.). Questo tipo di ambiente viene anche definito “AMBIENTE PROTESICO” (termine coniato da Moyra Jones)

  • Ridurre il piú possibile il NUMERO DI PERSONE che si occupano del soggetto per permettergli di acquisire maggior consuetudine e familiarità

  • Rispettare il piú possibile la ROUTINE QUOTIDIANA (ritmo sonno-veglia, alzata da letto, orario dei pasti, altre attivitá quotidiane)

  • Usare la tecnica della scomposizione di un compito o attivitá complessa in azioni piú semplici o atti elementari; in pratica si trasforma un’azione in una successione temporale di atti semplici e, durante lo svolgimento del compito, si controlla e si possono dare suggerimenti

  • Far esercitare tutte le funzioni residue ancora presenti attraverso una terapia occupazionale tarata sulle abilità specifiche conservate, sulle attività ed attitudini del passato e sull’entitá del deterioramento cognitivo



Improntare la relazione con il malato affetto da AD a 4 principi-base, interdipendenti fra loro:

  • Improntare la relazione con il malato affetto da AD a 4 principi-base, interdipendenti fra loro:

  •  

  • LIBERTÁ SICUREZZA

  • TOLLERANZA FLESSIBILITÁ

  • Fornire informazioni corrette; non avvalorare gli errori presenti nell’ideazione del demente e rispondere alle inesattezze come se fossero vere. Al contrario è importante attuare una sorta di strategia riabilitativa che consiste nel fornire informazioni corrette e correggere gli errori, anche se il paziente continua a ripeterli e non mostra di riuscire a trattenere le informazioni ricevute

  • Fornire sempre al malato le informazioni di base: data del giorno, luogo in cui si trova, significato e scopo delle principali azioni che vede svolgersi intorno e/o che lo riguardano

  • Controllare la presenza di problemi sensoriali (es. ipoacusia, cataratta etc.), l’uso corretto di eventuali protesi ed eventualmente consultare lo specialista, per favorire al massimo la comunicazione con il demente



COMUNICARE CON IL PAZIENTE rispettando alcune regole semplici ma efficaci:

  • COMUNICARE CON IL PAZIENTE rispettando alcune regole semplici ma efficaci:

  • il demente ha un campo visivo molto ristretto, quindi è opportuno scegliere un ambiente ben illuminato, non in penombra, annunciare il proprio arrivo anche con dei suoni (es. dicendo il proprio nome o salutando), muoversi adagio, mettersi di fronte all’interlocutore, preferibilmente all’altezza degli occhi (contatto visivo) ed a una distanza di circa 150 cm. (lettura delle labbra e identificazione della mimica facciale);

  • il demente presenta di solito una ipersensibilitá acustica associata ad una difettosa capacitá di identificare la sorgente del suono e di riconoscerlo (agnosia uditiva) e mal sopporta rumori di fondo o rumori improvvisi; perció è meglio scegliere un luogo tranquillo privo di rumori;

  • mentre si parla con il paziente è auspicabile non svolgere nessun altra attivitá, per non contribuire a distrarlo; è altrettanto vero che puó risultare estremamente arduo per un demente iniziare una conversazione mentre si appresta ad un’altra attivitá (es. mangiare, lavarsi o vestirsi);

  • di frequente il malato sente il bisogno di stare in silenzio, rifiutando di entrare in contatto con chiunque; è necessario rispettare queste pause;

  • cercare di evitare qualsiasi forma di interazione con il malato se si è arrabbiati o impazienti;

  • non parlare mai del malato con altre persone in sua presenza, convinti che non capisca;

  • È auspicabile “COMUNICARE CON IL CUORE”. Questa espressione ha piú di un significato:

  • EMPATIA l’operatore dovrebbe cercare di immedesimarsi nel vissuto del malato e dimostrargli sollecitudine per creare un contatto emotivo significativo;

  • COMUNICAZIONE NON VERBALE l’espressione del viso (il malato no riconosce il volto ma coglie il sorriso), lo sguardo, l’intonazione della voce (mai troppo alta), il linguaggio corporeo (il modo di muoversi, di comportarsi), il contatto fisico (prendergli la mano, fargli una carezza, se, ovviamente, è consenziente) contribuiscono a trasmettere sentimenti e stati d’animo anche piú delle parole. Per questo motivo l’operatore deve essere consapevole del proprio linguaggio corporeo ed apparire sempre coerente;

  • STEREOTIPO del malato di demenza che viene paragonato ad un bambino. E’ necessario eliminare questo concetto spesso abusato e considerare il malato come una persona adulta, con un proprio passato; rivolgersi al demente come se fosse un bambino lo puó soltanto umiliare, contribuendo ad innescare reazioni aggressive e comportamenti disfunzionali.



Nelle fasi iniziali della malattia, quando le capacità di apprendere sono ancora parzialmente conservate, si possono attuare interventi riabilitativi per mantenere le capacità cognitivo-comportamentali, attraverso la stimolazione e l’esercizio ripetuto, con risultati riscontrabili anche se non duraturi.

  • Nelle fasi iniziali della malattia, quando le capacità di apprendere sono ancora parzialmente conservate, si possono attuare interventi riabilitativi per mantenere le capacità cognitivo-comportamentali, attraverso la stimolazione e l’esercizio ripetuto, con risultati riscontrabili anche se non duraturi.

  • Nelle fasi severe e avanzate questo approccio cambia inevitabilmente: il centro della cura non può più essere identificato con il miglioramento delle performance funzionali, ma con la diminuzione dello stress e l’aumento del benessere, secondo un modello definito “protesico”.



Hanno senso solo nelle fasi precoci della malattia, quando siano ancora presenti comprensione, comunicazione e motivazione.

  • Hanno senso solo nelle fasi precoci della malattia, quando siano ancora presenti comprensione, comunicazione e motivazione.

  • Memory Training: esercizio dei differenti tipi di memoria, rafforzando lo stimolo al ricordo attraverso un’associazione della cosa da ricordare con persone, oggetti, animali carichi di significato per la persona.

  • Tecniche o tecnologie “compensatorie”; si tratta di aiuti passivi come agende, calendari, orologi, o attivi come nel caso di piccoli registratori portatili con una voce familiare che scandisca, ad esempio, la sequenza del vestirsi o la lista della spesa. Questi ausili possono diventare controproducenti perché fonte di confusione e di allucinazioni.

  • R.O.T. (REALITY ORIENTATION THERAPY): tecnica riabilitativa indirizzata a soggetti con deterioramento mentale che, attraverso la stimolazione dell’attenzione, della memoria, dell’orientamento spazio-temporale e del linguaggio, si propone di mantenere e potenziare le funzioni cognitive residue, migliorando il rapporto con l’ambiente di vita. La metodologia di intervento viene distinta in ROT formale e ROT informale.

    • ROT formale: è diretta a piccoli gruppi (3-4 persone con lo stesso livello di deterioramento), veri e propri incontri in un locale apposito dove siano presenti e ben visibili alcuni oggetti di base: un calendario, un orologio a muro, una lavagna, un tavolo e delle sedie comode. Le sedute iniziano con la presentazione dei partecipanti, esposizione di data, ora, luogo della seduta; con domande mirate si passa a stimolare l’interesse e la partecipazione dei soggetti, cercando di focalizzarne l’attenzione sull’orientamento temporo-spaziale, utilizzando gli oggetti a disposizione.
    • Esempio di Rot formale: 3-4 persone selezionate in base alla diagnosi di demenza, con deterioramento cognitivo lieve-moderato, assenza di disturbi comportamentali gravi e di significativi deficit di linguaggio. La stanza utilizzata è arredata in modo da ricordare quella di un’abitazione normale (oltre agli oggetti già menzionati ci sono: una cartina geografica d’Italia, quadri raffiguranti le 4 stagioni, cassettiere ed altri oggetti che rendono l’ambiente caldo e confortevole.
    • Inizio seduta: presentazione dei componenti, data, ora, luogo ed altre informazioni orientative in base al livello cognitivo del gruppo (le informazioni più complesse riguardano l’orientamento temporale – avvenimenti e personaggi della storia recente e passata – e l’orientamento spaziale – fotografie o disegni di città, luoghi caratteristici, etc.)
    • E’ importante anche il rapporto affettivo che si instaura fra le persone; i dati raccolti hanno dimostrato che i pazienti seguiti con questo trattamento, a distanza di 1 anno, tendono a preservare le funzioni cognitive meglio rispetto ai soggetti di controllo.
    • ROT informale: è un processo continuo, esteso all’arco delle 24 ore, in cui gli operatori (o i familiari) ad ogni interazione con il soggetto, forniscono informazioni riguardanti il tempo, il luogo, le persone, gli eventi, cercando il rinforzo dell’orientamento personale, spaziale e temporale ed evitando quello di idee o comportamenti confusi o disorientati.
  • Secondo la maggior parte degli autori i benefici della R.O.T. sono assicurati solo nel momento in cui si fa l’intervento, mentre non sono stati dimostrati effetti positivi a lungo termine. Vi sono evidenze di beneficio sia sulla cognitività sia sul comportamento, ma tali benefici necessitano di un programma continuo.

  • Oltre agli effetti sui pazienti vanno sottolineati quelli sugli operatori; l’atteggiamento di ottimismo terapeutico della ROT promuove la formazione e la motivazione e riduce la frustrazione degli operatori che lavorano con i dementi.



Il Gentlecare, proposto dalla terapista occupazionale canadese Moyra Jones, individua come obiettivo non la prestazione, ma il benessere del malato e di chi gli sta vicino e come metodo la costruzione di una “protesi” di cura, che costruisca dall’esterno quello che il cervello ha perduto per sempre. E’ una protesi complessa, come la funzione che deve sostenere e sostituire; la protesi di cura è costituita da: spazio fisico, persone, attività.

  • Il Gentlecare, proposto dalla terapista occupazionale canadese Moyra Jones, individua come obiettivo non la prestazione, ma il benessere del malato e di chi gli sta vicino e come metodo la costruzione di una “protesi” di cura, che costruisca dall’esterno quello che il cervello ha perduto per sempre. E’ una protesi complessa, come la funzione che deve sostenere e sostituire; la protesi di cura è costituita da: spazio fisico, persone, attività.

  • Elementi caratteristici dell’ambiente: sicurezza, familiarità, plasticità, confort, chiarezza nell’uso dello spazio (il massimo grado di libertà con il massimo grado di sicurezza); in pratica un ambiente semplice e domestico.

  • Chi svolge attività terapeutica deve essere allenato a sviluppare in modo appropriato l’atteggiamento, la motivazione il linguaggio, la professionalità, l’esperienza, la capacità di comunicare, osservare, analizzare e risolvere i problemi, il rispetto, il senso dell’umorismo.

  • Attività valorizzate: primarie (mangiare, lavarsi, vestirsi), necessarie (riposare, dormire, avere momenti di privacy), essenziali (muoversi, comunicare) e significative (lavorare, giocare). La giornata normale va riempita di occasioni, come fossero domande individuali a cui il malato risponde con attività.

  • VALIDATION THERAPY

  • La terapia di Validazione venne proposta come tecnica di comunicazione con i dementi da Naomi Feil; l’ipotesi è che la malattia riporti il demente ad episodi passati del suo vissuto e a conflitti relazionali, specie familiari o con figure significative; quindi non ci si ripromette di riportare il malato alla realtà attuale, bensì di seguirlo nel suo mondo per cercare di capirne sentimenti, emozioni, comportamenti che derivano da questo suo rivivere conflitti passati. Su questa tecnica non ci sono evidenze di efficacia in letteratura.



MUSICOTERAPIA

  • MUSICOTERAPIA

  • L’uso della musica trova sempre più applicazione, con risultati positivi; è utile per evocare ricordi ed esperienze di vita, migliorando così lo stato d’animo e l’autostima, ma anche diminuendo lo stress e favorendo il rilassamento, la comunicazione e il movimento. Va attuata con cautela perché, se non ben gestita può peggiorare il comportamento del malato.

  • PET THERAPY

  • Il contatto con gli animali si è dimostrato utile in disturbi cognitivi e comportamentali di varia origine ed età e i dati ne indicano l’efficacia anche nella demenza; la sua funzione è di stimolo ad attività (dalla carezza alla passeggiata, all’alimentazione, al gioco) ma anche a ricordi, senza trascurare lo stimolo sensoriale (tattile, olfattivo, visivo) e la grande interazione affettiva che un animale può comportare.



Obiettivo: stimolare le sue capacità e abilità residue e di preservarle quanto più è possibile, al fine di mantenere almeno in parte l’autosufficienza. Gli interventi attuano una stimolazione cognitiva, funzionale e fisica, sensoriale e sociale.

  • Obiettivo: stimolare le sue capacità e abilità residue e di preservarle quanto più è possibile, al fine di mantenere almeno in parte l’autosufficienza. Gli interventi attuano una stimolazione cognitiva, funzionale e fisica, sensoriale e sociale.

  • Le attività proposte devono essere conformi al livello mentale del soggetto, non devono creare uno stato d’ansia, devono essere suddivise in atti semplificati e devono utilizzare le abilità residue; il tipo di attività può essere il più disparato, tenendo però presente il patrimonio di esperienze del soggetto prima della malattia.

  • Tutte le attività vengono proposte dando istruzioni verbali brevi e chiare, evitando situazioni ambigue e difficoltà d’identificazione; vanno evitati il senso di fallimento e lo stato d’ansia; va enfatizzato qualsiasi successo (gratificazione).

  • Nel demente si nota un lento deterioramento delle abilità quotidiane; si comincia con una certa trascuratezza per arrivare all’incapacità di portarsi il cibo alla bocca. Tutte le attività che vengono espletate richiedono una serie di capacità (riconoscere un oggetto, seguire una sequenza logica, eseguire una serie di movimenti); più l’attività è lunga e complessa, tanto prima viene persa (es. abbigliamento in confronto all’alimentazione).

  • E’ indispensabile provvedere alla semplificazione dei compiti, adattare l’ambiente e identificare delle strategie per rinforzare la memoria procedurale (es. porre gli oggetti personali da toilette ad un livello accessibile, preparare i vestiti semplificati in sequenza, collocare maniglie o altri ausili); tutto ciò rende possibile una migliore pratica assistenziale e il mantenimento dell’autonomia.



Alimentazione: di solito l’autonomia di questa funzione si mantiene a lungo; nelle fasi intermedie o avanzate della malattia si notano i primi cambiamenti: non riconosce gli oggetti ed il loro uso, deficit spaziali e di coordinazione (es. non riesce a versare acqua nel bicchiere). Se si alza frequentemente da tavola, è meglio non organizzare pasti prolungati e mettere tutto il cibo in un solo piatto; se interrompe l’attività del mangiare e non riprende da solo è utile accompagnare il suo gesto con la mano, ma non imboccarlo.

  • Alimentazione: di solito l’autonomia di questa funzione si mantiene a lungo; nelle fasi intermedie o avanzate della malattia si notano i primi cambiamenti: non riconosce gli oggetti ed il loro uso, deficit spaziali e di coordinazione (es. non riesce a versare acqua nel bicchiere). Se si alza frequentemente da tavola, è meglio non organizzare pasti prolungati e mettere tutto il cibo in un solo piatto; se interrompe l’attività del mangiare e non riprende da solo è utile accompagnare il suo gesto con la mano, ma non imboccarlo.

  • Abbigliamento: essendo un’attività complessa, subisce da subito una compromissione; all’ inizio non riesce a trovare i capi di vestiario nell’armadio (siglare l’arredo con immagini che indicano il contenuto) o non usa gli indumenti giusti per l’occasione o il tempo atmosferico. In seguito, pur mantenendo ancora l’abilità a vestirsi e spogliarsi da solo, sbaglia la sequenza, non riconosce gli oggetti, dimentica ciò che ha già indossato (ridurre il numero di indumenti, riducendo ciò che è superfluo e prepararli in modo sequenziale). Nella fase più avanzata non è più in grado di vestirsi da solo e anzi presenta facilmente atteggiamenti di opposizione e rigidità verso chi l’assiste (distrazione e semplificare al max il vestiario)

  • Igiene: curare l’igiene quotidiana e fare il bagno sono due attività che spesso comportano un pesante carico assistenziale; durante l’ espletamento di tali attività non è difficile incappare in atteggiamenti aggressivi, oppositori e reazioni catastrofiche da parte del demente. E’ utile tenere a mente due principi-base fondamentali:

  • comunicare verbalmente la sequenza passo dopo passo;

  • lasciare autonomia al paziente che deve svolgere il compito da solo, modificando progressivamente la strategia.

  • In fase iniziale, in presenza di trascuratezza, non sgridare, ma far leva sulla dignità; gli oggetti d’uso devono essere facilmente accessibili e personali, per favorirne il riconoscimento; se il paziente fa errori, stimolarlo ugualmente a continuare nell’attività. In fase avanzata c’è una palese difficoltà ad iniziare l’attività perciò è utile stimolare la memoria procedurale conducendo dolcemente la mano del paziente verso il viso, spiegando con parole semplici cosa deve fare.



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