Consiglio Stato a



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Consiglio Stato a. plen., 20 aprile 2006, n. 7

REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 2755/2005 (n. 26/2005 Adunanza Plenaria)
proposto da Alberto Carabelli rappresentato e difeso dall'avv.
Giovanni Malinconico, presso il quale è elettivamente domiciliato in
Roma alla via delle Tre Madonne n. 20, presso lo studio Valentini;
contro
Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma in persona del legale
rappresentante p.t. rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Dante,
presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma alla via Lucrezio
Caro n. 12;
e nei confronti
di Crespi Cesare e Rossi Angelo rappresentati e difesi dall'avv.
Vittorio Biagetti e Federico Cappella ed elettivamente domiciliati
presso lo studio del primo in Roma via Antonio Bertoloni n. 35;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sede
di Roma sezione III n. 468 del 2004;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ordine degli Ingegneri
e dei controinteressati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla Camera di Consiglio del 14 novembre 2005 relatore il Consigliere
Filippo Patroni Griffi. Uditi altresì l'avv. Dumontel per delega
dell'avv. Dante, l'avv. Biagetti e l'avv. Cappella;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
   

Inizio documento

Fatto

L'ing. Alberto Carabelli presentava al Consiglio dell'Ordine degli ingegneri di Roma un esposto nei confronti dei colleghi Cesare Crespi e Angelo Rossi, a seguito del quale l'Ordine avviava due distinti procedimenti disciplinari, conclusisi peraltro con il proscioglimento degli incolpati.


Il Carabelli chiedeva allora l'accesso agli atti dei procedimenti, ma l'Ordine inviava all'istante solo una copia dello stralcio del verbale della seduta del Consiglio del 31 marzo 2003, recante il solo dispositivo.
Seguivano varie istanze di accesso, riscontrate negativamente con note del 30 aprile (di ammissione all'accesso parziale) e del 3 giugno 2003 dall'Ordine; infine, questo, con nota del 3 settembre 2003, ribadiva il diniego di accesso.
Avverso tale ultimo diniego, il Carabelli ha proposto ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il quale, con sentenza 20 gennaio 2004 n. 468, lo ha respinto.
Il Tribunale amministrativo, in particolare, ha ritenuto il ricorso tempestivo e ammissibile, in quanto, configurandosi il diritto di accesso come diritto soggettivo devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la mancata impugnazione di un precedente provvedimento di diniego non preclude la ritualità del successivo diniego alla reiterazione della medesima istanza.
Il Tribunale amministrativo, peraltro, ha respinto l'impugnazione, sul rilievo che la qualità di autore dell'esposto, da cui trae origine la vicenda disciplinare nei confronti dei due controinteressati, è inidonea a radicare nell'istante la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che lo legittimi all'accesso.
Avverso la sentenza hanno proposto appello sia il Carabelli, sia, con ricorso incidentale, gli originari controinteressati ingegneri Crespi e Rossi, i quali hanno riproposto l'eccezione di tardività e inammissibilità del ricorso di primo grado, disattesa dal Tribunale amministrativo.
Si è altresì costituito l'Ordine degli ingegneri, che resiste all'appello del Carabelli e condivide l'appello incidentale proposto dai coppellati.
La Sezione VI di questo Consiglio di Stato, con ordinanza 7 giugno 2005 n. 2954, dopo aver manifestato perplessità sull'orientamento del primo giudice in ordine alla carenza nell'originario ricorrente di una situazione legittimante all'accesso, ha rimesso l'affare a questa Adunanza plenaria, in relazione alla questione, riproposta con l'appello incidentale, della inammissibilità della impugnazione proposta, a fronte di più dinieghi all'accesso, solo nei confronti dell'ultimo diniego, in mancanza di tempestiva impugnazione degli analoghi dinieghi precedentemente opposti.
Le parti hanno prodotto memorie.
All'udienza del 14 novembre 2005, la causa è stata trattenuta in decisione.

Inizio documento

Diritto

1. Come più diffusamente esposto in narrativa, l'appellante Carabelli, autore di un esposto nei confronti di due colleghi ingegneri da cui è scaturito un procedimento disciplinare conclusosi con l'archiviazione, ha presentato istanze di accesso, di medesimo contenuto, volte a ottenere copia degli atti dei procedimenti disciplinari.


Tali istanze, per quanto in particolare rileva nella presente sede, dopo l'ammissione parziale all'accesso del 30 aprile 2003, sono state rigettate prima con nota del 3 giugno 2003, non impugnata, poi, a seguito della reiterazione della domanda, con nota del 3 settembre 2003, oggetto del presente giudizio, con la quale l'Ordine ha ribadito il diniego già opposto.
Il Tribunale amministrativo, nel rigettare il ricorso:
a) ha preliminarmente disatteso l'eccezione di tardività, affermando che la mancata impugnazione del precedente diniego e il carattere confermativo del diniego di cui è causa non determinano l'inammissibilità del ricorso, attesa la consistenza di diritto soggettivo del diritto di accesso;
b) ha negato la titolarità, in capo all'appellante, di una posizione giuridicamente legittimante all'accesso agli atti dei procedimenti disciplinari, per la qualità di autore dell'esposto, da cui hanno tratto origine i detti procedimenti.
L'ordinanza con la quale la Sezione VI ha rimesso l'affare a questa Adunanza plenaria:
a) manifesta perplessità sulla statuizione concernente il difetto di legittimazione dell'istante;
b) pur propendendo per la configurabilità del diritto di accesso in termini di diritto soggettivo, ritiene che il provvedimento di diniego all'accesso debba essere impugnato nel termine decadenziale di trenta giorni, con la conseguenza che dalla mancata impugnazione discende l'inammissibilità dell'impugnazione di un successivo diniego, meramente confermativo del primo.
Va precisato che alla controversia in esame si applica la disciplina contenuta nel testo originario della legge 7 agosto 1990, n. 241, anteriore alla novella introdotta prima con legge 11 febbraio 2005, n. 15 e poi con d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Non si ritiene, ad ogni modo, che le conclusioni cui si perviene possano essere influenzate dalla novella legislativa, la quale, anzi, mutuando in parte precedenti acquisizioni giurisprudenziali, fornisce spunti argomentativi di rilevanza nella generale configurazione dell'istituto dell'accesso.
2. In primo luogo, l'Adunanza plenaria condivide l'assunto della Sezione remittente, secondo cui la qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare nell'autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 241, legittima all'accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare che da quell'esposto ha tratto origine.
Più in particolare, la legittimazione all'accesso in capo all'appellante discende, nel caso in esame, dalla qualità di autore dell'esposto che ha dato origine al procedimento disciplinare e dalla concomitante circostanza che lo stesso appellante ha dato corso, per i medesimi fatti denunciati nella sede disciplinare, a un giudizio civile.
Nella delineata situazione, da un lato, è da ritenere inconferente, al fine di escludere la legittimazione all'accesso, il rilievo del primo giudice concernente la (invero pacifica) estraneità dell'autore dell'esposto al procedimento disciplinare e la sua conseguente qualità di terzo rispetto al medesimo; dall'altro, appare non pertinente il richiamo operato dagli appellati alla decisione della Sezione IV, 8 luglio 2003, n. 4049, che ha riscontrato, relativamente a fattispecie diversa, l'assenza dell'elemento della concretezza dell'interesse all'accesso.
Deve quindi ritenersi, a differenza di quanto statuito dal primo giudice, che l'appellante, nella situazione descritta, sia titolare di una posizione legittimante all'accesso agli atti dei procedimenti disciplinari.
3. Con l'appello incidentale, gli appellati ripropongono l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario, conseguente alla mancata tempestiva impugnazione del precedente provvedimento di diniego e al carattere meramente confermativo del diniego impugnato nel presente giudizio.
Per tale aspetto la Sezione VI ha rimesso l'affare a questa Adunanza plenaria, articolando la questione nei seguenti termini:
a) il diritto di accesso sembra assumere, in particolare a seguito della novella legislativa introdotta dalle richiamate leggi nn. 15 e 80 del 2005, consistenza di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, come in passato ritenuto dall'Adunanza plenaria con decisione 24 giugno 1999 n. 16;
b) la consistenza di diritto soggettivo non esclude la natura decadenziale del termine per l'impugnazione del diniego (esplicito o tacito) di accesso, con la conseguenza che dalla mancata impugnazione del diniego discende l'inammissibilità dell'impugnazione del diniego successivo, avente carattere meramente confermativo di quello precedentemente opposto e consolidatosi.
4. Sin dall'entrata in vigore della legge n. 241 del 1990 è stata dibattuta, in dottrina come in giurisprudenza, la natura giuridica del diritto di accesso.
Questa Adunanza plenaria, con decisione 24 giugno 1999 n. 16, ha condiviso la tesi della configurabilità della posizione legittimante all'accesso in termini di interesse legittimo, sottolineando il collegamento della posizione del privato con l'interesse pubblico e facendo leva sulla struttura impugnatoria del giudizio.
La questione nondimeno è rimasta aperta anche dopo l'intervento dell'Adunanza plenaria, rinvenendosi nella giurisprudenza di questo Consiglio, insieme a pronunce in linea con la decisione suddetta (V, 7 aprile 2004 n. 1969; V, 8 settembre 2003 n. 5034), decisioni che propendono ancora per la configurabilità dell'accesso in termini di diritto soggettivo (VI, 12 aprile 2005 n. 1679 e 27 maggio 2003 n. 2938).
La tesi del diritto soggettivo fa leva essenzialmente sul carattere vincolato dei poteri rimessi all'amministrazione in sede di esame dell'istanza di accesso, poteri aventi ad oggetto la mera ricognizione della sussistenza dei presupposti di legge e l'assenza di elementi ostativi all'accesso. E si è, altresì, evidenziata la peculiarità dei poteri istruttori e decisori del giudice, i primi volti a valutare la sussistenza dei requisiti sostanziali che legittimano all'accesso (V, 11 maggio 2004 n. 2866), al di là delle ragioni addotte dall'amministrazione nell'atto, i secondi estesi all'imposizione all'amministrazione di un comportamento positivo consistente nell'adempimento dell'ordine giudiziale di esibizione dei documenti (art. 25, comma 6, della legge n. 241).
La tesi del diritto soggettivo risulta corroborata - come sottolineato anche in dottrina - dall'inclusione del diritto di accesso nei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione (art. 22, co. 2, legge n. 241, come modificato dalla legge n. 15 del 2005) e dalla riconduzione del giudizio in tema di accesso alla giurisdizione esclusiva di questo giudice (art. 25, comma 5, della legge n. 241, come modificato dalla legge n. 80 del 2005).
Non sembra peraltro, che nella specie, rivesta utilità ai fini dell'identificazione della disciplina applicabile al giudizio avverso le determinazioni concernenti l'accesso, procedere all'esatta qualificazione della natura della posizione soggettiva coinvolta.
L'accesso è collegato a una riforma di fondo dell'amministrazione, informata ai principi di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all'informazione dei cittadini rispetto all'organizzazione e alla attività amministrativa. Ed è evidente, in tale contesto, che si creino ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra di loro: interesse all'accesso; interesse alla riservatezza di terzi; tutela del segreto.
Trattasi, a ben vedere, di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, oramai, non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi).
Il carattere essenzialmente strumentale di tali posizioni si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall'ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità dell'azione correlata e concentra l'attenzione del legislatore, e quindi dell'interprete, sul regime giuridico concretamente riferibile all'azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la tutela dell'interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati.
Sotto tale punto di vista, il giudizio a struttura impugnatoria consente alla tutela giurisdizionale dell'accesso di assicurare la protezione dell'interesse giuridicamente rilevante e, al contempo, quell'esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di certezza delle posizioni dei controinteressati che si è visto essere pertinenti ai rapporti amministrativi scaturenti dai principi di pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa.
Nel delineato contesto, il disposto legislativo (art. 25, commi 5 e 4) - che, rispettivamente, fissa il termine di trenta giorni (evidentemente decorrente dalla conoscenza del provvedimento di diniego o dalla formazione del silenzio significativo) per la proposizione dei ricorsi e qualifica in termini di diniego il silenzio serbato sull'accesso - pone un termine all'esercizio dell'azione giudiziaria da ritenere necessariamente posto a pena di decadenza, a meno di non volerne sostenere l'assoluta irrilevanza pur a fronte del chiaro tenore della norma e della sua coerenza con la rilevata esigenza di certezza, che, anzi, ha indotto il legislatore a delineare un giudizio abbreviato che mal si concilierebbe con la proponibilità dell'azione nell'ordinario termine di prescrizione.
Ma il carattere decadenziale del termine reca in sé - secondo ricevuti principi, come inevitabile corollario - che la mancata impugnazione del diniego nel termine non consente la reiterabilità dell'istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo.
In altre parole, il cittadino potrà reiterare l'istanza di accesso e pretendere riscontro alla stessa in presenza di fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell'originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all'accesso; e, in tal caso, l'originario diniego, da intendere sempre rebus sic stantibus, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale.
Ma qualora non ricorrano tali elementi di novità e il cittadino si limiti a reiterare l'originaria istanza precedentemente respinta o, al più, a illustrare ulteriormente le sue ragioni, l'amministrazione ben potrà limitarsi a ribadire la propria precedente determinazione negativa, non potendosi immaginare, anche per ragioni di buon funzionamento dell'azione amministrativa in una cornice di reciproca correttezza dei rapporti tra privato e amministrazione, che l'amministrazione sia tenuta indefinitamente a prendere in esame la medesima istanza che il privato intenda ripetutamente sottoporle senza addurre alcun elemento di novità.
Ne consegue che la determinazione successivamente assunta dall'amministrazione, a meno che questa non proceda autonomamente a una nuova valutazione della situazione, assume carattere meramente confermativo del precedente diniego e non è perciò autonomamente impugnabile.
5. Facendo applicazione degli esposti principi al caso di specie, deve ritenersi che il ricorso originario dell'odierno appellato sia inammissibile, perché proposto avverso il solo diniego di cui alla nota del 17 marzo 2005, da reputare meramente confermativo di quello precedente.
Ne consegue che l'appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile.
Il carattere pregiudiziale della questione risolta rende improcedibile l'ulteriore esame dell'appello principale.
La complessità della questione trattata e i contrasti giurisprudenziali in ordine alla stessa inducono l'Adunanza plenaria a compensare tra le parti le spese del doppio grado.

Inizio documento

P.Q.M

L'Adunanza plenaria delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato così statuisce:


a) accoglie l'appello incidentale e, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado;
b) dichiara improcedibile l'appello principale;
c) compensa tra le parti le spese del doppio grado.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riunito in Adunanza plenaria nella camera di consiglio del 14 novembre 2005 con l'intervento dei signori Magistrati:
Alberto de Roberto Presidente del Consiglio di Stato
Mario Egidio Schinaia Presidente della VI Sezione
Paolo Salvatore Presidente della IV Sezione
Raffaele Iannotta Presidente della V Sezione
Sabino Luce Consigliere
Raffaele Carboni Consigliere
Costantino Salvatore Consigliere
Filippo Patroni Griffi Consigliere estensore
Giuseppe Farina Consigliere
Corrado Allegretta Consigliere
Luigi Maruotti Consigliere
Carmine Volpe Consigliere
Pierluigi Lodi Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 20 APR. 2006.

Consiglio Stato a. plen., 24 giugno 1999, n. 16


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale(Adunanza Plenaria) ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 7 del ruolo dell'Adunanza Plenaria (n.
10500 del 1997 del ruolo della Sesta Sezione), proposto dalla s.p.a.
Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avvocato Oberdan Tommaso Scozzafava, presso il cui studio è
elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Antonelli n. 15,
CONTRO
la signora Maria Rosaria Bove, rappresentata e difesa dagli avvocati
Carlo Rienzi, Guglielmo Saporito e Paolo Montaldo, e domiciliata
elettivamente in Roma, al viale delle Milizie n. 9, presso lo studio
dell'avvocato Carlo Rienzi,
PER LA RIFORMA
della sentenza del TAR per il Lazio, Sez. II, 24 settembre 1997, n.
1559, e per la reiezione del ricorso di primo grado n. 9627 del 1997;
Visto l'atto di appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'appellata, depositato
in data 1? dicembre 1997, integrato da una memoria difensiva
depositata in data 10 dicembre 1997;
Vista l'ordinanza n. 332 del 25 marzo 1999, con cui la Sesta Sezione
ha rimesso l'appello all'esame dell'Adunanza Plenaria;
Vista la memoria depositata in data 25 maggio 1999 dall'appellante;
Vista la memoria depositata in data 27 maggio 1999 dalla signora
Bove, nonché la sua procura speciale alle liti, depositata in data 7
giugno 1999;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Udita la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti, alla
camera di consiglio del 7 giugno 1999;
Uditi l'avvocato Guido Sirianni su delega dell'avvocato Oberdan
Tommaso Scozzafava per la società appellante e gli avvocati Guglielmo
Saporito e Paolo Montaldo per la signora Maria Rosaria Bove;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
   

Inizio documento

Fatto

1. La s.p.a. Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade, in data 24 luglio 1995, ha invitato la signora Maria Rosaria Bove al pagamento di lire 6.300, non essendovi stato il pagamento del pedaggio autostradale di lire 1.300 in data 9 aprile 1995.


In data 14 marzo 1997, la Ni.Vi.Credit (incaricata dalla s.p.a. Autostrade per il recupero del credito) ha inviato alla signora Bove un sollecito del pagamento, per l'importo complessivo di lire 18.200.
2. Con una domanda di data 22 aprile 1997, proposta ai sensi dell'art. 25 della legge 8 giugno 1990, n. 241, la signora Bove ha chiesto alla s.p.a. Autostrade ed alla Ni.Vi.Credit di avere copia:
a) del contratto concluso tra la s.p.a. Autostrade e la Ni.Vi.Credit, riguardante il recupero del credito;
b) della procura speciale a rogito notaio Castellini n. 6855;
c) del rapporto di mancato pagamento, corredato del nome del responsabile del procedimento;
d) della specifica delle somme ricevute, corredata dai documenti comprovanti la spesa effettuata per 'visione' e per 'spese sostenute'.
Col ricorso n. 9627 del 1997, proposto al TAR per il Lazio, la signora Bove ha impugnato il silenzio serbato dalla s.p.a. Autostrade ed ha chiesto che le sia ordinato di rilasciare la copia dei documenti richiesti.
Il TAR, con la sentenza della Seconda Sezione n. 1559 del 24 settembre 1997, ha accolto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
3. Con l'appello in esame, la s.p.a. Autostrade ha chiesto che il ricorso di primo grado sia dichiarato inammissibile (per mancata notifica alla Ni.Vi. Credit) e che comunque esso sia respinto, perché infondato.
La signora Bove si è costituita in giudizio ed ha chiesto che l'appello sia respinto.
4. La Sesta Sezione, con l'ordinanza n. 332 del 25 marzo 1999, ha rimesso l'appello all'esame dell'Adunanza Plenaria, rilevando un contrasto di giurisprudenza sulle seguenti questioni:
a) se sia ammissibile il ricorso proposto ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 e non notificato al controinteressato, ovvero se vada ordinata l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 102 del codice di procedura civile;
b) se possa esercitarsi il diritto d'accesso nei confronti dell'attività privatistica della pubblica amministrazione e del concessionario di un pubblico servizio.
Le parti hanno depositato memorie difensive, con cui hanno illustrato le proprie deduzioni ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni.
5. Alla camera di consiglio del 7 giugno 1999 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Inizio documento

Diritto

Il TAR per il Lazio, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso proposto dall'odierna appellata ai sensi dell'art. 25 della legge 8 giugno 1990, n. 241, ed ha ordinato alla s.p.a. Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade (in prosieguo: s.p.a. Autostrade) di consentirle l'accesso:


- agli atti da cui si evince che ella non ha pagato una somma a titolo di pedaggio autostradale;
- agli atti che hanno consentito alla società Ni.Vi. Credit di sollecitare il pagamento del pedaggio e delle spese di riscossione, per conto della medesima s.p.a. Autostrade.
Con l'appello in esame, la s.p.a. Autostrade ha chiesto che il ricorso di primo grado sia dichiarato inammissibile (per mancata notifica alla società Ni.Vi. Credit) e che comunque esso sia respinto, perché infondato.
La Sesta Sezione, con l'ordinanza n. 332 del 1999, ha rimesso l'appello all'esame dell'Adunanza Plenaria, rilevando un contrasto di giurisprudenza sulle seguenti questioni:
a) se sia ammissibile il ricorso proposto ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 e che non sia stato notificato al controinteressato, ovvero se vada ordinata l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 102 del codice di procedura civile.
b) se possa esercitarsi il diritto d'accesso nei confronti dell'attività privatistica della pubblica amministrazione e del concessionario di un pubblico servizio.
2. Ritiene l'Adunanza Plenaria che abbia un rilievo preliminare ed assorbente l'esame del primo motivo d'appello, con cui è stato dedotto che la sentenza impugnata è stata pronunciata a contraddittorio non integro, poiché la società Ni.Vi. Credit va qualificata come controinteressata in senso tecnico, cui doveva essere notificato il ricorso di primo grado.
2.1. Tale censura è fondata e va accolta.
Per la pacifica giurisprudenza di questo Consiglio, vanno considerati come controinteressati i soggetti determinati cui si riferiscono i documenti richiesti con la domanda di accesso (Sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1725; Sez. VI, 8 luglio 1997, n. 1117; Sez. IV, 11 giugno 1997, n. 643; Sez. VI, 5 ottobre 1995, n. 1085; Sez. VI, 20 maggio 1995, n. 506; Sez. VI, 6 febbraio 1995, n. 71; Sez. IV, 15 settembre 1994, n. 713; Sez. IV, 7 marzo 1994, n. 216).
Tale orientamento va ribadito in questa sede, poiché:
- l'art. 8, lettera d), del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 (emanato in attuazione dell'art. 24 della legge n. 241 del 1990), ha disposto che i documenti "possono essere sottratti all'accesso" quando, tra l'altro, riguardino "la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, ? professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari";
- il giudice amministrativo può valutare la fondatezza del ricorso, proposto ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 per ottenere il rilascio di documenti che coinvolgono tali interessi, solo quando il suo titolare sia stato posto in grado di difendersi ed abbia potuto esporre le ragioni che possano fare eventualmente ritenere prevalenti le sue esigenze rispetto alle pretese del richiedente (poiché l'art. 24 della Costituzione non consente che una pronuncia del giudice amministrativo arrechi diretto pregiudizio a chi non si sia potuto difendere: Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 304; Sez. V, 7 maggio 1994, n. 447; Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 209).
Tale principio si applica altresì quando (come è avvenuto col ricorso di primo grado) si impugni un rifiuto di accesso a documenti riguardanti un soggetto determinato: la posizione formale di controinteressato sussiste anche quando col ricorso sia censurata l'inerzia dell'Amministrazione nell'adottare un provvedimento dal contenuto sfavorevole per un terzo (Sez. V, 26 novembre 1994, n. 1381; Sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036) e, a maggior ragione, qualora in sede giurisdizionale sia chiesto al giudice amministrativo di ordinare direttamente l'esibizione di documenti, in luogo dell'Amministrazione (o del concessionario di un pubblico servizio) che non abbia provveduto sull'originaria istanza (Sez. IV, 15 settembre 1994, n. 713).
Chi ricorre al giudice amministrativo per accedere a documenti amministrativi, che coinvolgano aspetti di riservatezza di un altro soggetto, deve notificargli il ricorso, ai sensi dell'art. 21, primo comma, della legge n. 1034 del 1971.
2.2. Nel caso di specie, con l'originaria domanda di accesso e col successivo ricorso giurisdizionale, l'appellata ha chiesto anche la copia di documenti direttamente riguardanti l'attività finanziaria e commerciale della società Ni.Vi. Credit, cui avrebbe dovuto quindi notificare il ricorso, per consentirle di potere eventualmente contrastare la pretesa di accedere ai documenti, o a parti di essi, in considerazione delle sue esigenze di riservatezza.
3. Ciò premesso, l'Adunanza Plenaria deve pronunciarsi sulla questione se sia o meno ammissibile il ricorso proposto ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241 del 1990 e non notificato all'unico controinteressato.
3.1. Come ha evidenziato l'ordinanza di rimessione, sul punto vi sono due orientamenti giurisprudenziali.
Per il primo, il giudizio proposto contro il diniego di accesso alla documentazione ha natura impugnatoria, sicché è inammissibile il ricorso non notificato ad almeno un controinteressato (cfr. Sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1725, che ha ritenuto che il diniego di accesso incide su un interesse legittimo; Sez. IV, 6 febbraio 1995, n. 71; Sez. IV, 15 settembre 1994, n. 713; Sez. IV, 7 marzo 1994, n. 216) ed è inammissibile il ricorso contro un diniego di accesso meramente confermativo di un precedente espresso diniego (Sez. V, 17 dicembre 1997, n. 1537).
Per il secondo, il diritto di accesso va qualificato come un diritto in senso tecnico, sicché il ricorso proposto per la sua tutela va inteso non come impugnativa di un provvedimento amministrativo, ma come diretto all'accertamento del diritto ed alla condanna del soggetto obbligato ad esibire i documenti richiesti (cfr. Sez. IV, 16 aprile 1998, n. 641; Sez. IV, 20 febbraio 1995, n. 108; Sez. IV, 20 settembre 1994, n. 758; Sez. IV, 30 luglio 1994): pertanto, può trovare applicazione l'art. 102 del codice di procedura civile, che disciplina l'istituto del litisconsorzio necessario, configurabile quando il rapporto controverso è comune a più parti e necessita di una pronuncia inscindibile (Sez. IV, 9 luglio 1998, n. 1079; Sez. IV, 11 giugno 1997, n. 643), ed è impugnabile un diniego di accesso meramente confermativo di un diniego precedente (Sez. IV, 22 gennaio 1999, n. 56).
L'ordinanza di rimessione ha rilevato che potrebbe ritenersi preferibile quest'ultimo orientamento, poiché in materia vi sarebbe una controversia su diritti soggettivi contrapposti (diritto di accesso del richiedente e diritto alla riservatezza del contraddittore necessario)
3.2. Ritiene l'Adunanza Plenaria che vada fatta applicazione del principio per cui il giudizio previsto dall'art. 25 della legge n. 241 del 1990 (salve le deroghe da esso espressamente previste) è sottoposto alla generale disciplina del processo amministrativo (cfr.Sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1683; Sez. VI, 8 luglio 1998, n. 1051; Sez. VI, 10 febbraio 1996, n. 184).
Tra i principi generali del processo amministrativo, vi è quello sancito dall'art. 21, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (per il quale "il ricorso deve essere notificato tanto all'organo che ha emanato l'atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l'atto direttamente si riferisce, o almeno uno tra essi").
Tale regola (tipica del processo di impugnazione di provvedimenti autoritativi, di per sé idonei a divenire inoppugnabili se non impugnati tempestivamente e incidenti su interessi legittimi) è coerente col giudizio sull'accesso e con la posizione giuridica fatta valere col ricorso ex art. 25 della legge n. 241 del 1990.
Il legislatore, pur avendo qualificato come "diritto" la posizione di chi ha titolo ad accedere ai documenti (articoli da 22 a 25 della legge n. 241 del 1990), in considerazione degli interessi pubblici coinvolti ha disposto all'art. 25, comma 5, un termine perentorio entro il quale è proponibile il ricorso "contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso".
In tal modo, il legislatore:
- in un'ottica di controllo democratico dell'attività della pubblica Amministrazione e dei concessionari dei servizi pubblici, ha enfaticamente rimarcato il fondamento costituzionale e la notevole dignità sostanziale della posizione di chi formula l'istanza di accesso (il più delle volte riferibile a una posizione direttamente tutelabile ai sensi dell'articolo 24 della Costituzione, oppure riconducibile all'esigenza di essere informati sul contenuto dei documenti e sugli aspetti attinenti alla legalità, alla trasparenza ed all'imparzialità dell'azione amministrativa, in attuazione dei valori espressi dagli articoli 21 e 97 della Costituzione);
- ha tenuto in considerazione tutti gli interessi in conflitto (del richiedente, dell'amministrazione o del concessionario pubblico che detiene gli atti, dell'eventuale terzo cui gli atti richiesti si riferiscono);
- ha disposto che sull'istanza di accesso debba provvedersi con un atto motivato (art. 25, comma 3), idoneo a determinare uno stabile assetto degli interessi coinvolti con l'istanza, modificabile in sede giurisdizionale solo nel caso di tempestiva impugnazione innanzi al tribunale amministrativo regionale entro il termine perentorio di trenta giorni (art. 25, comma 5).
La tutela del diritto di accesso è stata così riferita all'impugnazione di un provvedimento autoritativo (o dell'inerzia) dell'Amministrazione (cui l'art. 23 della legge n. 241 del 1990 ha equiparato, anche ai fini processuali, la determinazione del gestore di un pubblico servizio: cfr. Ad. Plen., 22 aprile 1999, n. 4 e 5; Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1577).
3.3. Il termine "diritto", più volte adoperato nel suo senso più generico dal legislatore nei richiamati articoli da 22 a 25, va interpretato alla luce della norma che prescrive il termine perentorio per la proposizione del ricorso, nonché delle regole generali del processo amministrativo di legittimità, compatibili con il rito speciale previsto dall'articolo 25.
Sussiste una notevole similitudine tra i principi riguardanti altri settori del diritto amministrativo (e delle correlative regole processuali) e quelli concernenti la tutela del diritto d'accesso: chi aspira a concludere un contratto di appalto con la pubblica amministrazione o ad essere proclamato eletto in una competizione elettorale (anche al Parlamento europeo:art. 42 della legge 24 gennaio 1979, n. 18) ne ha "diritto" secondo il linguaggio comune, ma sul piano giuridico può impugnare innanzi al giudice amministrativo, entro il prescritto termine di decadenza, il provvedimento concretamente lesivo che abbia disconosciuto tale posizione, da qualificare come interesse legittimo,
Più in generale (e tranne i casi in cui una legge compatibile con la Costituzione determini la giurisdizione ordinaria), è ravvisabile la posizione di interesse legittimo, tutelata dall'art. 103 della Costituzione, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile come di regola entro un termine perentorio, pure se esso incide su posizioni che, nel linguaggio comune, sono più spesso definite come di "diritto".
Ad esempio, per l'ordinamento (sia sul piano sostanziale che ai fini del riparto delle giurisdizioni) hanno natura di interessi legittimi il "diritto" di concludere il contratto da parte di chi ritenga di dovere risultare vincitore di una gara d'appalto, il "diritto" del candidato di essere proclamato eletto in una competizione elettorale, il "diritto" di svolgere una certa attività, economica, professionale o costruttiva da parte di chi ritenga che sia illegittimo un diniego di licenza, di autorizzazione o di concessione, il "diritto" di essere nominato pubblico dipendente all'esito di un concorso per la nomina, il "diritto" di non essere estradato in un Paese ove è eseguibile la pena di morte (Corte Cost. 25 giugno 1996, n. 223), il "diritto" all'attivazione di impianti radiotelevisivi (Corte Cost., 2 marzo 1990, n. 102), gli altri "diritti" richiamati dalla Sez. V con la decisione 2 dicembre 1998, n. 1725.
In tutti tali settori (in cui le leggi attribuiscono all'Amministrazione il potere di natura pubblicistica di valutare tutti gli interessi coinvolti e di incidere unilateralmente col provvedimento autoritativo sull'altrui sfera giuridica), la posizione del soggetto leso dall'atto è presa in considerazione dalle specifiche norme costituzionali che regolano i settori, è qualificata come interesse legittimo (v. articoli 24, 103 e 113 della Costituzione) ed è pienamente tutelata in sede giurisdizionale con un giudizio di impugnazione del provvedimento lesivo, nel corso del quale può verificarsi se l'atto sia affetto non solo da vizi formali, ma anche da profili di eccesso di potere.
Come per la tutela del diritto di accesso, le normative riferibili ai richiamati settori mirano al soddisfacimento dell'interesse individuale, nell'ambito del contestuale e coessenziale soddisfacimento dell'interesse pubblico.
3.4. Neppure può ritenersi (come ha ipotizzato l'ordinanza di rimessione) che in materia di accesso siano ravvisabili controversie su "diritti soggettivi contrapposti", quali il diritto di accesso del richiedente e il diritto alla riservatezza del contraddittore necessario.
Come in materia di accesso, quando l'Amministrazione emana provvedimenti che incidono su più soggetti, con effetti favorevoli per alcuni e sfavorevoli per altri (come nel caso di rilascio di una concessione di un bene pubblico o di aggiudicazione di un appalto o di nomina al pubblico impiego, in favore di un soggetto in luogo di un altro), non sono riscontrabili "diritti" contrapposti, ma "interessi legittimi" contrapposti: l'interesse del soggetto leso dall'atto giustifica il ricorso giurisdizionale e la sua legittimazione, mentre l'interesse del soggetto non leso dall'atto, ma che lo sarebbe nel caso di accoglimento del ricorso, comporta la sussistenza di un controinteressato in senso tecnico.
Del resto, la posizione di diritto o di interesse va determinata tenendo conto della incidenza che ha il provvedimento lesivo, e non comparando le contrapposte posizioni dei soggetti che, rispettivamente, siano lesi o favoriti dall'atto medesimo. Inoltre, nella materia dell'accesso le controversie vanno decise tenendo conto delle varie posizioni coinvolte e sulla base di giudizi di prevalenza (cfr. Ad. Plen., 28 aprile 1999, n. 6; 22 aprile 1999, nn. 4 e 5; 4 febbraio 1997, n. 5).
Va quindi considerato atecnico il riferimento al "diritto", poiché la pretesa (cui non è correlativo un obbligo o un comportamento dovuto) non è esercitabile senz'altro nei confronti dell'Amministrazione o del gestore del pubblico servizio: la sua fondatezza va verificata di volta in volta dapprima in sede amministrativa e poi, nel caso di tempestiva impugnazione della determinazione in sede giurisdizionale, esaminando l'eventuale preminenza delle ragioni di chi abbia chiesto l'accesso, rispetto a quelle riscontrate nel diniego o alle esigenze di riservatezza del terzo cui si riferiscono i documenti.
3.4. Quanto precede comporta che:
- va considerata come controinteressata la società Ni.Vi. Credit, quale soggetto determinato cui si riferiscono i documenti richiesti con la domanda di accesso;
- il ricorso previsto dall'articolo 25, comma 5, della legge n. 241 del 1990 andava notificato alla medesima società, ai sensi dell'art. 21, primo comma, della legge n. 1034 del 1971;
- va annullata la sentenza di primo grado, che ha accolto l'originario ricorso ed ha ordinato l'esibizione dei documenti.
4. Tenuto conto dei diversi orientamenti seguiti dalla giurisprudenza in materia di mancata notifica al controinteressato del ricorso per l'accesso, ritiene l'Adunanza Plenaria che vada accolta l'istanza dell'appellata (formulata in via subordinata nel corso della camera di consiglio, per il caso di accertata fondatezza del primo motivo d'appello), volta alla concessione del beneficio della rimessione in termini, per errore scusabile.
Tale istituto, infatti, ha carattere generale ed è applicabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di appello (Ad. Plen., 27 maggio 1999, n. 13; 23 marzo 1979, n. 9).
Pertanto, il ricorso di primo grado non va dichiarato inammissibile, potendo essere integrato il contraddittorio, come previstodall'art. 21, primo comma, della legge n. 1034 del 1971.
5. Trova pertanto applicazione nel presente giudizio l'articolo 35, primo comma, della medesima legge n. 1034 del 1971, per il quale, "se il Consiglio di Stato accoglie il ricorso per difetto di procedura o per vizio di forma della decisione di primo grado, annulla la sentenza impugnata e rinvia la controversia al tribunale amministrativo regionale".
Questa Adunanza ha già avuto modo di chiarire, con argomentazioni che il collegio condivide e fa proprie, che la mancata integrazione del contraddittorio in primo grado costituisce un "difetto di procedura" che comporta in appello l'annullamento della sentenza con rinvio al TAR (Ad. Plen., 17 ottobre 1994, n. 13).
Pertanto, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 1034 del 1971 la sentenza impugnata va annullata con rinvio al TAR del Lazio.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.

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