Emergenza Mediterraneo: la Commissione Europea valuta IL possibile ripristino dei controlli alle frontiere



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Newsletter periodica d’informazione

(aggiornata alla data del 02 maggio 2011)

Emergenza Mediterraneo: la Commissione Europea valuta il possibile ripristino dei controlli alle frontiere




Sommario





  • Dipartimento Politiche Migratorie – Appuntamenti pag. 2

  • Emergenza Mediterraneo – Lampedusa: in due giorni arrivati migliaia di profughi pag. 2

  • Emergenza Mediterraneo – Commissione UE valuta ripristino controlli alle frontiere pag. 2

  • Giurisprudenza – La Corte di Giustizia UE boccia l’Italia sui clandestini pag. 3

  • Giurisprudenza – UE: la Commissione accoglie con favore la sentenza pag. 5

  • Direttiva rimpatri – Non ancora applicata in 12 Stati Membri pag. 6

  • Sindacato – Incontro all’OIL di Ginevra sul lavoro domestico pag. 7

  • Società – Assemblea cittadina a Rosarno pag. 9

  • Società – Stranieri in Italia: reddito basso, ma dichiarazioni in aumento pag.11

  • Razzismo – L’Italia al 2° posto in Europa per discriminazioni pag. 12

A cura del Servizio Politiche Territoriali della Uil

Dipartimento Politiche Migratorie

Rassegna ad uso esclusivamente interno e gratuito, riservata agli iscritti UIL

Tel. 064753292- 4744753- Fax: 064744751

E-Mail polterritoriali2@uil.it


n. 310



Dipartimento Politiche Migratorie: appuntamenti

Roma, 4- 11 maggio 2011, sede OIM Via Palestro



Progetto Artemis. Corsi di formazione: “Associazionismo & Reti territoriali per la mediazione interculturale sulla salute”

(Angela Scalzo)

Roma, Martedì 10 maggio 2011, sede Cnel

Presentazione dello studio “le prospettive delle dinamiche migratorie Sud Nord”

(Angela Scalzo)

Ginevra, 1- 11 giugno 2011, Palazzo delle Nazioni

Conferenza Internazionale del Lavoro OIL, Commissione Lavoro domestico

(Giuseppe Casucci)


Emergenza Mediterraneo

Lampedusa, in due giorni arrivati migliaia di migranti


E’ nuovamente emergenza a Lampedusa, dove tra ieri e oggi sono arrivati circa 3000 immigrati. Un barcone, partito dalla Libia, con a bordo circa 500 profughi, è stato soccorso da tre motovedette della Guardia costiera. Stamattina dalla carretta del mare è stato lanciato l’Sos con un telefono satellitare a circa 40 miglia da Lampedusa, in acque di competenza maltese. Le autorità maltesi, come spesso avviene in questi casi, hanno fatto sapere che stavano monitorando la situazione, ma che non potevano inviare mezzi navali in soccorso, per le cattive condizioni del mare. L’imbarcazione è stata raggiunta dai mezzi militari italiani, che l’hanno scortata lentamente fino a Lampedusa. Impossibile per le motovedette avvicinarsi per tentare il trasbordo. Questa mattina un barcone con a bordo 715 profughi, è stato soccorso dai mezzi navali della Guardia costiera e della Guardia di finanza. I migranti, tra cui 47 donne e 11 bambini, sono stati trasbordati direttamente sulla nave Flaminia, ferma in rada da alcuni giorni. Sei clandestini in condizioni di salute precarie sono stati trasferiti sull’isola per essere sottoposti a cure mediche. Anche in questo caso i profughi sono partiti da un porto della Libia. Provengono quasi tutti da paesi sub sahariani. Resteranno sulla Flaminia, in attesa di essere trasferiti in strutture per richiedenti asilo. Nella notte sull’isola erano approdate due carrette del mare, che hanno sbarcato circa 800 persone. Uno dei barconi è arrivato direttamente sulla terraferma. I migranti sono stati bloccati dai carabinieri sull’Isola dei Conigli. A parte i profughi sulla nave Flaminia, a Lampedusa gli oltre 1700 immigrati sono alloggiati tra il centro di accoglienza, la base militare Loran e la stazione marittima. Tra gli extracomunitari presenti sull’isola 90 sono tunisini. Saranno rimpatriati nei prossimi giorni.



Commissione Europea valuta possibile ripristino dei controlli alle frontiere

(AGI/REUTERS) - Bruxelles, 1 mag. - L'esecutivo Ue sta valutando se consentire agli Stati membri di ripristinare i controlli alle frontiere: lo ha annunciato il presidente, Jose Manuel Barroso, rispondendo cosi' alle richieste di maggiore potere dei singoli Paese per arginare l'immigrazione. In una lettera al premier italiano, Silvio Berlusconi e al presidente francese, Nicolas Sarkozy, il presidente della Commissione Europea, Barroso, ha detto che potrebbe consentire di reintrodurre limitati controlli. "Il ripristino temporaneo delle frontiere e' una delle possibilità", ha scritto Barroso, "fatto salvo che fosse soggetto a criteri specifici e chiaramente definiti, che potrebbero essere un elemento per rafforzare la governance dell'accordo di Schengen". Già attualmente i Paesi dell'Ue possono introdurre controlli temporanei alle frontiere (per esempio nel caso di partite di calcio, nel timore dell'arrivo di hooligan particolarmente violenti), ma le nuove norme Ue -ha spiegato una fonte- potrebbero ampliare la libertà dei singoli Paesi. "Attualmente -ha spiegato la fonte- per reintegrare i controlli alle frontiere, si devono addurre motivi di ordine pubblico; con il nuovo sistema, non sarebbe più necessario richiamare una minaccia all'ordine; e questo vorrebbe dire estendere la possibilità". L'esecutivo Ue, che definirà una prima bozza della legislazione da sottoporre all'esame dei singoli Paesi, prevede di presentare le proposte nei prossimi giorni. Se accettate, le nuove norme Ue altererebbero quella che è la maggiore conquista del mercato unico europeo, l'attraversamento delle frontiere senza passaporto, e che però rende più difficile il far fronte all'immigrazione clandestina. "Sono convinto che condividiamo gli stessi obiettivi", ha aggiunto Barroso, aggiungendo comunque che la politica migratoria Ue deve essere meglio coordinata tra i Paesi e più interdipendente. Secondo il presidente Ue, la politica migratoria dovrebbe avere "un approccio più bilanciato", che non propenda ne' "per una visione troppo incentrata sulla sicurezza", ne "per una visione troppo lassista che susciti la preoccupazione tra l'opinione pubblica europea rispetto a problemi di sicurezza". Nella missiva Barroso ringrazia anche i governi di Roma e Parigi perché sono arrivati a una reciproca comprensione in materia di immigrazione e perché hanno "contribuito al dibattito"; e si dice anche d'accordo con Berlusconi e Sarkozy sulla necessità di rafforzare l'agenzia di controllo delle frontiere Frontex, di migliorare gli accordi cib i Paesi da cui parte l'immigrazione e di rafforzare il trattato; e conferma che il commissario all'Interno, Cecilia Malmstrom, presenterà mercoledì una proposta per chiarire l'applicazione di Schengen, idee che poi saranno oggetto di un dibattito e di una eventuale risoluzione nel vertice del 24 giugno a Bruxelles.

Giurisprudenza


La Corte di giustizia boccia l'Italia sui clandestini

Francesco Machina Grifeo - Guida al Diritto

Sonora bocciatura da parte della Corte Ue alla stretta italiana sulla politica dell’immigrazione. La reclusione per la permanenza senza giustificato motivo nel territorio italiano è contraria alla normativa dell’Unione. I giudici nazionali, se chiamati a giudicare dovranno dovranno, dunque, disapplicare la disposizione interna, prevista dal “pacchetto sicurezza” del 2009, che prevede il carcere fino a  quattro anni in caso di mancato allontanamento del clandestino, ed applicare al suo posto la più morbida direttiva europea sui rimpatri. Non solo ma dovranno tener conto anche del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, “il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli stati membri”. Lo ha stabilito la Corte di giustizia europea con la sentenza 28 aprile 2011 causa C-61/11 (Hassen El Dridi alias Soufi Karim). Intanto sempre nella giornata di ieri la Consulta, ordinanza 158/2011, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità del reato di clandestinità, introdotto nel 2009 sempre dal "pacchetto sicurezza", sollevata dal giudice di pace di La Spezia, con tre ordinanze che portano la data del 1° giugno 2010, in riferimento agli articoli 3 e 27 della carta fondamentale.

Il principio affermato dalla Corte

Per giudici di Lussemburgo, dunque, “gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, una pena detentiva, come quella prevista dalla normativa nazionale in discussione nel procedimento principale, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare in detto territorio”.


Mentre la previsione di una pena detentiva “rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali”.

Il caso di partenza

Un cittadino extracomunitario, entrato illegalmente in Italia, nel 2004 aveva ricevuto un decreto di espulsione al quale non aveva mai ottemperato. Sei anni dopo, nel 2010, è arrivato l’ordine di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni. Il provvedimento era motivato in base alla mancanza di documenti di identificazione, all’indisponibilità di un mezzo di trasporto nonché all’impossibilità - per mancanza di posti - di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea. Non essendosi conformato neppure a tale ordine, il clandestino è stato condannato dal Tribunale di Trento ad un anno di reclusione. Come previsto dall’articolo 14, comma 5 ter, del Testo unico dell’immigrazione, modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, cosiddetto “pacchetto sicurezza”. A questo punto la Corte d’appello di Trento, ha chiesto alla Corte di giustizia se la direttiva sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare “osti ad una normativa di uno Stato membro che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio nazionale, permane in detto territorio senza giustificato motivo”. La risposta della Corte non si è fatta attendere, essendo l’extracomunitario detenuto, si è adottato infatti il procedimento d’urgenza. Secondo i giudici gli Stati membri non possono derogare alle norme della direttiva rimpatri 16 dicembre 2008, 2008/115/Ce “applicando regole più severe”. Perché in tal modo “alterano le norme e le procedure comuni con le quali s’intende attuare un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio delle persone, nel rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità”.



Le fasi di espulsione previste dall’Ue

Si parte dalla adozione della decisione di rimpatrio che deve sempre accordare priorità alla partenza volontaria, entro un termine generalmente compreso tra sette e trenta giorni. Nel caso in cui la partenza volontaria non sia avvenuta entro la data prevista, allora la direttiva impone allo Stato membro di procedere all’allontanamento coattivo, prendendo però le misure meno coercitive possibili. E soltanto nel caso in cui l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato, lo Stato membro può procedere al suo trattenimento.



Regole ferree per il “trattenimento” coattivo

Il trattenimento deve avere “durata quanto più breve possibile” ed essere “riesaminato ad intervalli ragionevoli”. Non solo ma “deve cessare appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento e la sua durata non può oltrepassare i 18 mesi”. Inoltre gli interessati devono essere collocati “in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune”. La privazione della libertà deve comunque essere ridotta al massimo in modo da assicurare così il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini dei paesi terzi in soggiorno irregolare.



Il mancato recepimento della direttiva

Ora siccome la direttiva non è stata recepita dal nostro ordinamento entro il 24 dicembre 2010, data prevista come termine ultimo, allora per la Cgue “i singoli sono legittimati ad invocare, contro lo Stato membro inadempiente, le disposizioni di una direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise”. Dunque, se è vero che la norma penale rientra in linea di principio nella competenza degli Stati membri e anche la direttiva rimpatri lascia liberi gli stati anche di adottare “misure anche penali nel caso in cui le misure coercitive non abbiano consentito l’allontanamento”, tuttavia gli Stati devono comunque “fare in modo che la propria legislazione rispetti il diritto dell’Unione”. Pertanto essi “non possono applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da privare quest’ultima del suo effetto utile”.



Il passaggio incriminato della Bossi Fini aggiornato dal “Pacchetto sicurezza”

L'articolo 14, comma 5 ter, del Dlgs 25 luglio 1998 n. 286, come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevede che: "Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato". Fra l'altro, la Corte costituzionale, con sentenza 13-17 dicembre 2010 n. 359, aveva dichiarato l’illegittimità del comma, come modificato dalla lettera m) del comma 22 dell’articolo 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto già previsto per la condotta di cui al precedente comma 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo "senza giustificato motivo".



L'ordinanza della Consulta di ieri sul reato di clandestinità

La norma è l’articolo 10-bis del Dlgs 25 luglio 1998 n. 286, introdotto dall’articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, sempre dunque dal "pacchetto sicurezza", nella parte in cui non prevede il "giustificato motivo" quale esimente della condotta sanzionata. Secondo il rimettente infatti la norma censurata, pur avendo "funzione sussidiaria" rispetto a quella contenuta nell’articolo 14, comma 5-ter, dello stesso Dlgs 286/1998, e pur "collocandosi in posizione di minor gravità", non contiene un’analoga fattispecie di esclusione della punibilità. Dunque sulla base di questa esclusione, il giudice a quo esprime un "dubbio di legittimità costituzionale", evocando nel solo dispositivo delle proprie ordinanze, quali parametri violati, gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Riuniti i ricorsi la Corte, con l’ordinanza 158/2011, ha definito le questioni manifestamente inammissibili in quanto i provvedimenti di rimessione sono carenti nella motivazione sia dell’influenza per la causa di specie sia nel conflitto con la norma costituzionale.




Ue: la Commissione “accoglie con favore” la sentenza.
Per Bruxelles, il pronunciamento è importante per “ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione della direttiva sui rimpatri nei termini previsti”
Bruxelles, 29 aprile 2011 - La Commissione europea ha reso noto che “accoglie con favore” la sentenza “veloce e chiara” pronunciata dalla Corte europea di giustizia sulla norma italiana per gli immigrati irregolari. Questa sentenza, secondo l’esecutivo Ue, contribuirà a “ridurre l’incertezza giuridica causata in Italia dalla mancata attuazione della direttiva sui rimpatri nei termini previsti”. Bruxelles invita inoltre a considerare il pronunciamento della Corte “nel dettaglio” per evitare “semplificazioni indebite e incomprensioni”. La sentenza, fa notare l’esecutivo Ue, “non mette in discussione la competenza degli Stati membri di prevedere sanzioni penali in materia di immigrazione irregolare”, ma al tempo stesso qualsiasi misura nazionale “non può compromettere” l’effetto di armonizzazione della direttiva sui rimpatri. Secondo la Commissione, “la legislazione italiana, che prevede una sanzione penale da uno a quattro anni di carcere, semplicemente perché la persona non ha risposto al primo sollecito a lasciare il Paese, impedisce la procedura di allontanamento ai sensi della direttiva e, di conseguenza, priva la norma di un effetto utile”. Ad avviso dell’esecutivo Ue, la sentenza può ora avere un impatto sugli altri Stati membri che hanno un’analoga normativa in vigore e per questo si attende che ogni Stato membro valuti le conseguenze di questa sentenza individualmente e ne tragga le debite conclusioni. (Red.)

Immigrazione irregolare

Il Ministro Maroni presenterà al prossimo Consiglio dei Ministri un provvedimento urgente sull’espulsione diretta

Milano, 2 mag. (Adnkronos) - In uno dei prossimi Consiglio dei ministri, probabilmente già il prossimo, il ministro dell'Interno Roberto Maroni porterà un provvedimento urgente sull'espulsione

diretta degli immigrati, dopo la bocciatura della norma da parte della Corte di giustizia europea. Ad annunciarlo lo stesso ministro, oggi a Milano per partecipare ad un incontro con sindaco e prefetto sulla chiusura del campo rom Triboniano. "Voglio presentare -spiega Maroni- un provvedimento urgente sul tema dell'immigrazione. C'e' stato un intervento della Corte di giustizia europea che ha creato un po' di confusione, rendendo di fatto impossibile l'espulsione diretta dei clandestini. E' una norma che io voglio introdurre assolutamente", assicura Maroni, evidenziando che si tratta "dell'unico rimedio per contrastare in modo efficace l'immigrazione clandestina". Il prossimo Consiglio dei ministri sarà anche occasione, fa sapere il titolare del dicastero dell'Interno per

portare all'approvazione un altro dl urgente "sulla sicurezza urbana, per ovviare la problema creato dalla sentenza della corte costituzionale che ha dichiarato incostituzionale una norma introdotta

nel primo pacchetto sicurezza 'poteri di ordinanza dei sindaci', che e' stata molto utile e molto utilizzata dai sindaci". Quella della Corte costituzionale e' stata, evidenza Maroni, "una censura più di metodo che di merito e quindi facilmente superabile attraverso lo strumento legislativo". Il provvedimento sulla sicurezza urbana sarà anche occasione, conclude Maroni, per "fare un quadro complessivo aggiornando le norme che risalgono agli anni '70 sulla polizia locale: i vigili urbani erano diversi da oggi perché nel nostro sistema di sicurezza integrata la polizia locale ha un ruolo di pari dignità anche se con compiti diversi rispetto a polizia e carabinieri".

Immigrazione UE



Direttiva rimpatri non ancora applicata da 12 Stati Membri

(AGI) - Bruxelles, 28 apr. - Non e' solo l'Italia a non aver introdotto nella legislazione nazionale la direttiva europea sui rimpatri: quattro mesi dopo la scadenza fissata lo scorso 24 dicembre, infatti, sono 12 i paesi dell'Unione europea che non hanno ancora notificato a Bruxelles la trasposizione della direttiva. Lo spiega la Commissione europea, che "accoglie con favore" la sentenza della Corte di Giustizia Ue di oggi sul caso italiano. "Il giudizio - spiega la portavoce Karolina Kottova - aiuterà a ridurre l'incertezza legale che e' stata causata in Italia dalla mancata trasposizione della direttiva rimpatri". Infatti, ricorda la portavoce, "la legislazione italiana prevede pene da uno a 4 anni di reclusione semplicemente perché l'immigrato non collabora al primo ordine di partenza, non permette la continuazione della procedura di rimpatrio stabilita nella direttiva". La direttiva, spiega ancora la Commissione, e' parte integrante di un approccio coerente dell'Unione europea al tema dell'immigrazione e dell'asilo ed e' stata la risposta all'appello del Consiglio europeo del novembre 2004 che aveva chiesto una politica dei rimpatri basata su criteri comuni nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana. Bruxelles ha inviato, lo scorso 27 gennaio, 20 lettere di notifica formale, ovvero la comunicazione dell'intenzione di avviare una procedura di infrazione per la mancata trasposizione, ad altrettanti Stati membri; nel frattempo, però, alcuni di questi paesi hanno notificato un'introduzione completa o parziale delle norme Ue nel diritto nazionale. Restano ancora fuori 12 Stati, fra i quali l'Italia.




Corte Giustizia Ue: preoccupatevi di allontanare i clandestini, non di chiuderli in carcere

Articolo di Emmanuela Bertucci, http://immigrazione.aduc.it/


Roma, 28 aprile 2011 - La Corte di Giustizia dell'Unione Europea si e' finalmente pronunciata sul mancato recepimento da parte dell'Italia della Direttiva rimpatri. Secondo la Corte le norme italiane che puniscono con una pena da uno a quattro anni di carcere chi rimane in Italia dopo aver ricevuto una espulsione, sono contrarie al diritto dell'Unione Europea e di conseguenza i giudici penali italiani devono disapplicare il diritto italiano e assolvere gli imputati. Si tratta di una pena che ha un carattere di estremo rigore, ma che non serve assolutamente a raggiungere l'obiettivo che (l'Italia e) l'Unione Europea si prefigge in tema di espulsioni: ossia la rapida espulsione della persona straniera clandestina dal territorio dell'Unione.Scopo degli Stati Membri deve essere l'effettiva espulsione dei clandestini, e far diventare reato la permanenza illegale non risolve il problema, ma semplicemente lo rimanda al momento il cui la pena sara' stata scontata: “Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito da detta direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. In particolare, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 42 della sua presa di posizione, una normativa nazionale quale quella oggetto del procedimento principale può ostacolare l’applicazione delle misure di cui all’art. 8, n. 1, della direttiva 2008/115 e ritardare l’esecuzione della decisione di rimpatrio.
L'Italia e' colpevole -si legge fra le righe della sentenza- di non essere stata in grado finora di procedere concretamente alle espulsioni, e ricorrere a causa di questa incapacita' alla criminalizzazione della clandestinita', e' contrario alle norme europee. Piuttosto che mettere in carcere i clandestini (aggiungiamo noi: a spese dei contribuenti che pagheranno il loro soggiorno nelle galere patrie) l'Italia deve adoperarsi attivamente per dare esecuzione ai rimpatri: “Ne consegue che gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti.”
Il ragionamento della Corte e' chiaro: preoccupatevi di allontanare i clandestini, non di chiuderli in carcere. All'indomani della entrata in vigore degli effetti diretti della Direttiva gia' molti giudici e Procure della Repubblica avevano iniziato a disapplicare il diritto italiano e quindi ad assolvere gli imputati dal reato di permanenza irregolare dopo l'espulsione, e la Corte ha avallato queste sentenze di assoluzione poiche' la direttiva e' sufficientemente precisa e dettagliata per essere direttamente applicata.
Cosa accadra' ora?

L'Italia deve assumersi la responsabilita' della propria inerzia, prima di tutto nei confronti dei propri cittadini e dell'Unione Europea. Non puo' continuare ad osteggiare le norme europee, poiche' ben presto la Commissione Europea potrebbe avviare contro l'Italia un procedimento di infrazione. Un tuffo nelle tasche degli italiani quindi, che tramite le loro tasse prima pagano le spese di mantenimento in carcere dei clandestini non espulsi, poi pagheranno anche salate multe per la violazione del diritto comunitario. L'Italia rischia infatti -al termine del procedimento di infrazione- anche una sanzione economica considerevole.
Dicevo, l'Italia non puo' restare inerte, ne' continuare a sbraitare contro la Comunita' europea che -per dirla con le parole del Ministro dell'Interno, Roberto Maroni - “di fatto di rendere impossibili le espulsioni” e “rende assolutamente inefficaci le politiche di contrasto all'immigrazione clandestina". La Corte sul punto e' stata chiara: l'immigrazione clandestina si contrasta eseguendo le espulsioni non incarcerando i clandestini per poi continuare a farli circolare liberamente in Italia a fine pena.
Urge immediatamente una riforma delle norme italiane, per evitare nuove condanne dell'Italia, nuove sanzioni economiche e richieste di risarcimento dei danni subiti a causa dell'inadempimento da parte dello Stato italiano.

Qui la sentenza della Corte Ue di Giustizia



Sindacato


OIL di Ginevra, riunione in preparazione della 100^International Labour Conference (01 – 17 giugno 2011)

Incontro internazionale tra quadri sindacali sulla Convenzione “lavoro decente per i lavoratori domestici”

(Ginevra, 18 e 19 aprile 2011)


Roma, 28 aprile 2011 - Si è tenuto, presso la sede di Ginevra dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro nelle giornate del 18 e 19 aprile scorsi, un incontro tra quadri sindacali provenienti da tutto il mondo, in genere operanti nel settore del lavoro domestico o esperti di immigrazione. Obiettivo della riunione era affinare la discussione sugli articoli della Convenzione e delle Raccomandazioni “lavoro decente per i lavoratori domestici”, approvate in bozza lo scorso anno nell’ambito della 99^ Conferenza Internazionale del Lavoro (ILC), dopo un lungo confronto e negoziazioni tra rappresentanti dei Governi, degli imprenditori e dei sindacati componenti l’OIL a livello mondiale. Erano presenti circa 40 rappresentanti di 21 Paesi. Per l’ILO – ACTRAV erano presenti Luc Demaret e Dan Cunniah. L’ITUC era rappresentata da Marieke Koning, mentre per la CES era presente Veronica Nilsson. La UIL era rappresentata da Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale del Dipartimento Politiche Migratorie della Uil. L’altro esponente italiano presente era un sindacalista Cgil, Gabriele Guglielmi. Obbiettivo della Convenzione (e delle Raccomandazioni) sul lavoro domestico è l’approvazione di uno strumento di protezione internazionale volto a garantire condizioni di lavoro decente per questo settore che nel mondo conta di oltre 100 milioni di addetti, spesso impiegati irregolarmente o in condizioni di non rispetto dei diritti minimi contrattuali. La bozza di Convenzione, approvata in via preliminare nel giugno del 2010, è un testo che è stato oggetto di commenti e proposte di aggiornamento da parte degli attori interessati (sindacati, imprenditori governi) nell’anno trascorso, sulla base di un questionario inviato dalla stessa OIL. Nella riunione del prossimo giugno tutti gli articoli del dispositivo dovranno essere nuovamente ridiscussi, affinati e nuovamente votati, nell’ambito della 100^ Conferenza ILC a Ginevra. Una volta che il documento sarà stato votato e (si spera) approvato, la Convenzione – perché sia vincolante – dovrà essere ratificata dai singoli Stati e assunta nella legislazione locale, un processo lungo che potrebbe durare anni e comunque non scontato. All’inizio dello scorso mese di marzo, l’OIL ha pubblicato il Report IV (2)- “Decent work for domestic workers”, chiamato anche “blue report”, il cui testo può essere scaricato da questo sito: http://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/100thSession/reports/lang--en/index.htm . Il rapporto è diviso in due parti:



  • Report IV (2)A. Che raccoglie le risposte di governi, datori di lavoro e sindacati alle domande poste dalla stessa OIL, attraverso il questionario e riguardanti la bozza dei documenti (convenzione e raccomandazione) negoziati nel giugno del 2010 (il cosiddetto Brown report);

  • Report IV 8”) B (o Blue report), che contiene le bozze di testo finali della Convenzione e della raccomandazione che saranno usate come base di discussione e negoziato, nell’ambito della 100^ Conferenza Internazionale del Lavoro, il prossimo giugno.

Il cosiddetto Brown Report permette di controllare le posizioni e preoccupazioni dei rispettivi governi relative alle bozze proposte. Contiene anche le riflessioni delle organizzazioni sindacali, alla luce delle indicazioni proposte da ITUC. Un totale di 87 Stati (tra cui l’Italia) hanno risposto al questionario proposto dall’Oil, dei quali la stragrande maggioranza appoggia la formalizzazione di una Convenzione OIL sul lavoro domestico, completata da una Raccomandazione. Per quanto riguarda le associazioni imprenditoriali, invece, la grande maggioranza preferirebbe l’adozione di una semplice Raccomandazione. Malgrado il supporto della maggioranza dei governi sia una condizione necessaria, essa di per sé non è sufficiente a garantire che i contenuti degli strumenti che verranno adottati non saranno indeboliti o modificati nel secondo round dei lavori della 100th conferenza ILC il prossimo giugno; tantomeno è sicuro che – alla fine delle trattative - i due terzi dei voti validi saranno assicurati. Condizione questa necessaria perché Convenzione e Raccomandazione sul lavoro domestico siano adottate da parte della Conferenza. In effetti, molti governi e associazioni imprenditoriali hanno indicato di considerare la bozza dei testi approvata lo scorso anno troppo impositiva e troppo dettagliata. Il rischio, dunque, è che si cerchi – nell’ambito del prossimo round di confronto sui singoli articoli – di indebolire i contenuti della bozza proposta, specialmente quelli riguardanti la Convenzione che una volta approvata e ratificata, diventerebbe vincolante per la legislazione dei vari Paesi che decideranno di adottarla. Nella recente riunione all’OIL di Ginevra si è entrati nel merito dei contenuti più controversi e delle differenze che ancora dividono Organizzazioni Sindacali da Governi e da Associazioni imprenditoriali. Alcune osservazioni, tra l’altro contenute nel Blue Report, concernono punti importanti della bozza di Convenzione e riguardano la:

  • Definizione e campo di applicazione: molti governi sarebbero in favore di una definizione più restrittiva, rispetto a quella contenuta negli articoli 1 e 2. Da parte di alcune OO.SS. invece c’è la preoccupazione che – escludendo, ad esempio, chi fa lavoro domestico in forma occasionale – non si finisca per tagliar fuori molti lavoratori che operano con multipli datori di lavoro (situazione tipica nel lavoro domestico anche da noi). Nell’articolo 2, inoltre, non è chiaro chi siano le categorie escluse dalla Convenzione e perché;

  • Età minima (art. 4): la Convenzione non fissa una età minima per il lavoro domestico e la delega ai singoli Stati. Questo è considerato dai sindacati rischioso, specie nei Paesi in via di Sviluppo dove la pratica del lavoro infantile è una piaga molto diffusa;

  • Lavoratori Migranti: offerta di lavoro e contratto prima di attraversare la frontiera(art. 7): l’articolo ha suscitato perplessità da parte dei governi europei (secondo alcuni potrebbe essere in contrasto con le norme di libera circolazione). Questa parte è stata poi riformulata, escludendo alcune aree del mondo, ma è ancora oggetto di possibili discussioni in sede di conferenza;

  • Orario di lavoro (art. 10): molti governi considerano la richiesta di fissare un orario anche per i lavoratori domestici troppo rigida e vincolante, mentre gli imprenditori vorrebbero maggiore flessibilità nell’orario;

  • Forme e condizioni di pagamento del salario (art.12): l’articolo si popone di mettere ordine in questo campo limitando l’uso e l’abuso delle forme di pagamento in natura (in uso in molti Paesi in Via di Sviluppo). Molti sindacati vorrebbero che aspetti come l’alloggio, il vitto o altro, siano considerati benefit, a parte della quota pagata come salario, quanto meno del salario minimo. Gli imprenditori sono contrari e molti governi vorrebbero comunque maggiore elasticità;

  • Sicurezza e salute sul lavoro, maternità (artt.13 e 14) – La Convenzione chiede che queste condizioni di lavoro nel settore domestico, non siano meno favorevoli di quelle applicate in altri settori. In particolare si chiede di tutelare i diritti in caso di maternità. Molti governi si sono detti non d’accordo, in quanto considerano la situazione nel lavoro domestico molto particolare. La Convenzione parla, comunque, di una applicazione progressiva;

  • Agenzie d’impiego (art. 17): visti i ripetuti casi di abuso da parte di agenzie d’impiego nei confronti di lavoratori e loro diritti, la Convenzione OIL chiede un maggior uso di ispezioni sul lavoro e la protezione per i lavoratori che denuncino condizioni di irregolarità o violazioni delle norme. Nel caso di lavoro presso una famiglia, le ispezioni possono contrastare con l’inviolabilità del domicilio. Molti governi e associazioni imprenditoriali hanno chiesto una riformulazione di questo articolo ed eventualmente lo spostamento di alcune parti alle Raccomandazioni;

  • Diritto alla privacy (preambolo e art. 9): nelle situazioni in cui il lavoratore vive con il proprio datore di lavoro, si chiede vengano create condizioni di rispetto della privacy per entrambi. Ci sono divergenze sul punto 9 b, in cui si chiede che il lavoratore non sia obbligato ad accompagnare il datore durante le vacanze.

Ancora è stato fatto rilevare nel corso dell’ultima riunione come il settore del lavoro domestico sia a forte presenza di informalità e lavoro nero. In questo senso l’approvazione della Convenzione è condizione certamente necessaria, ma non sufficiente a garantire il rispetto dei diritti sindacali e delle stesse leggi. In questo senso, come già fatto lo scorso anno, la UIL ha suggerito di introdurre (almeno nelle raccomandazioni) un forte richiamo ai governi per combattere il lavoro irregolare, con strumenti non punitivi dei lavoratori sfruttati (in particolare se migranti), e anche attraverso meccanismi premiali per chi i datori che promuovono pratiche di emersione. Infine. In una recente lettera di ITUC è stata sollecitata ai sindacati nazionali membri una attività di lobby nei confronti di governi ed associazioni imprenditoriali al fine di garantire la quota necessaria di due terzi dei voti per appoggiare Convenzione e raccomandazione sul lavoro domestico. In effetti, secondo Ituc, molti Stati Membri della UE sono ancora molto incerti o critici su diversi aspetti contenenti la Convenzione. Ituc e la stessa CES stanno lavorando per ottenere la collaborazione del Parlamento e della Commissione Europea al fine di influenzare positivamente le posizioni degli Stati membri. A questo proposito, una mozione per una risoluzione a supporto della corrente bozza di strumenti proposti sarà presentata nell’ambito di una sessione plenaria del Parlamento Europeo tra il 9 ed il 12 maggio prossimi. (vedi allegati). La riunione è terminata con un forte richiamo dei partecipanti a sensibilizzare il proprio governo (e, dove possibile, le controparti datoriali) per appoggiare l’idea di una Convenzione che in fondo stabilisce diritti minimi volti a proteggere i lavoratori nelle aree in cui non esistono leggi e/o contratti collettivi per il settore. In questo senso è stata preparata una bozza di lettera da utilizzare (allegato).

A cura del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL


Società

I GIARDINI DI ROSARNO

progetto di sensibilizzazione a favore dell’inclusione lavorativa e sociale dei migranti


L’impegno sindacale sul territorio di Rosarno in tema di diritti è l’Iniziativa che la UIL, con il patrocinio dell’UNAR e della Presidenza del Consiglio, ha svolto il 28 aprile scorso presso L’Auditorium Comunale della Cittadina calabrese, ad un anno dai gravi fatti che hanno visto lavoratori immigrati ribellarsi al caporalato ed alle inumane condizioni di vita cui erano relegati, ma alla fine trovarsi in conflitto anche con una parte della popolazione cittadina. Ha aperto l’incontro dibattito l’Assessore alla Lavoro del Comune di Rosarno, Michele Brilli che valutando positivamente l’iniziativa, compreso il sondaggio realizzato in precedenza su alcune centinaia di cittadini stranieri e italiani della città. Il rappresentante istituzionale ha sottolineato l’impegno dell’ Amministrazione nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori migranti presenti , pur nelle difficoltà in cui versa il settore agricolo sul territorio unitamente alle difficoltà di accoglienza non adeguatamente supportate dalle Amministrazioni esterne. Da parte sua Giuseppe Zito, segretario della Camera sindacale UIL di Reggio Calabria, ha moderato i lavori sottolineando sottolineando di affrontare la tematica legata all’inserimento lavorativo in un’ottica globale che affronti le esigenze di lavoratori, piccoli proprietari terrieri e cittadinanza locale, quest’ultima sempre generosa nell’ambito dell’accoglienza. “Nessuna ragione è sufficiente a giustificare un qualsiasi atto di violenza” con queste parole il segretario regionale della UILA, Antonio Merlino ha aperto la sua sentita relazione , la quale, partendo dalla Calabria , terra di emigrazione rifiuta la criminalizzazione indiscriminata non solo del marchio razzista della gente di Rosarno, ma anche delle imprese agricole operanti sul territorio, le quali, costrette a vendere le arance a 7 centesimi al chilo non hanno margine alcuno di guadagno e spesso non sono in grado di dare un adeguato compenso a chi le raccoglie. Il sospetto, dice, che qualcuno più in alto sfrutti sia i lavoratori che gli imprenditori agricoli. Con questo piccolo progetto patrocinato dall’ UNAR, la UIL, afferma Angela Scalzo, del dipartimento Nazionale Politiche migratorie, ha voluto porre in evidenza le problematiche di quel territorio, che trovano molte similitudini in altre località agricole, ed il rapporto fra autoctoni ed immigrati, con l’intento di promuovere un dialogo interculturale utile a ristabilire condizioni di equilibrio nel lavoro e nella convivenza turbata a gennaio 2010. L’obiettivo è stato quello di fare emergere, attraverso i risultati, quantitativi e qualitativi, del sondaggio UIL –UILA realizzato nei due mesi precedenti fra i piccoli proprietari terrieri, lavoratori immigrati agricoli e cittadini autoctoni, sul territorio di Rosarno , il sintomo dei danni che i fenomeni di dumping sociale possono produrre, anche in termini di incomprensione tra stranieri ed italiani e, allo stesso tempo, un prodotto degli annosi problemi di cui soffre l'agricoltura meridionale. Hassan El Mazi, del Patronato ITAL di Reggio Calabria, rivolgendosi ai numerosi immigrati in madre lingua araba e francese ha evidenziato il grande ruolo dei giovani, lavoratori e non, nell’attuale situazione nord africana, sottolineando la mancata accoglienza e l’egoismo dei paesi europei e dell’Italia in particolare. A questo ha aggiunto la grande solidarietà calabrese nell’accoglienza, come dimostra il comune di Caulonia, con la presenza del vice sindaco, e di molti altri piccoli comuni della Piana di Gioia Tauro. Accoglienza distorta dai fatti di Rosarno, imputabili ad una mancanza di politiche di sviluppo agricolo , alla criminalità organizzata e spesso alla scarsa presenza dello Stato. E’ poi intervenuta Simona Plateroti, responsabile dell’Ufficio immigrati UIL- UILA dell’area rosarnese, che ha sottolineato il ruolo della categoria UIL dei lavoratori agricoli , da sempre attenta al lavoro migrante, promuovendo una informazione capillare sul territorio richiamando l’attenzione sul processo di trasformazione multietnica in ambito lavorativo e sociale.

Attraverso l’utilizzo dei “media” (attraverso uno specifico spot realizzato con Tele Reggio) nella lotta contro discriminazioni e razzismo, abbiamo proposto, in ambito progettuale, una serie di azioni atte ad abbattere quel mondo di stereotipi e pregiudizi discriminanti nei confronti dei cittadini stranieri. Le conclusioni di Marco Buemi, in rappresentanza dell’UNAR, hanno infatti sottolineato l’importante ruolo esercitato dai Mass Media. L’intento dell’Ufficio Nazionale Anti discriminazioni Razziali, che ha assunto quale motto “uguaglianza in azione”, è quello di promuovere una cultura della legalità e di rifiuto del razzismo, soprattutto in ambito lavorativo, anche attraverso l’utilizzo dei media. Favorire, altresì, un nuovo linguaggio in materia di immigrazione, come propone la “Carta di Roma”, promossa dalla Federazione Nazionale della Stampa, nonché la capacità di quest’ultimi di amplificare la sensibilizzazione in maniera capillare sul territorio, risponde anche agli obiettivi dei protocolli promossi dall’UNAR, unitamente al coinvolgimento degli Enti locali di comuni, provincia e Regioni italiane.


15 mila medici stranieri, +30% in dieci anni

Aodi (Amsi): “Aumenteranno ancora. Senza cittadinanza è ancora impossibile lavorare nel pubblico”


Roma – 26 aprile 2011 - Sono quasi 15 mila i camici bianchi stranieri in Italia. Medici e dentisti iscritti all’ordine e in continuo aumento, sono aumentati del 30%  negli ultimi dieci anni passando dai 10.900 di gennaio 2001 ai 14.737 di oggi. Secondo i dati dell'Enpam, l'Ente nazionale di previdenza e assistenza della categoria, i più numerosi sono i tedeschi (1.070). Seguono: svizzeri (868); greci (864); iraniani (756); francesi (646); venezuelani (630); romeni (627); statunitensi (617); sauditi (590); albanesi (552). Si concentrano soprattutto in Lombardia (2.588), Veneto (1.425) Emilia Romagna (1.408) e Piemonte (1.019). Tanti anche gli iscritti agli ordini professionali del Lazio (2.303). Foad Aodi, presidente dell' Associazione di medici di origine straniera in Italia (Amsi) e consigliere dell'Ordine dei medici di Roma, ritiene che inumeri siano destinati ad aumentare. "Se le iscrizioni annuali a Medicina continueranno a essere 6.200 l'anno, presto l'Italia avrà un gran bisogno di camici stranieri. Secondo le nostre stime nei prossimi 7 anni, il numero dei medici stranieri aumenterà di circa il 40%". Il presidente dell’Amsi sottolinea che"Il 65-80% dei medici stranieri lavora nel privato. Questo perché - spiega - senza la cittadinanza i medici extracomunitari non possono fare concorsi pubblici e questo ha impedito a molti di inserirsi veramente. Noi - denuncia Aodi - siamo per un'immigrazione qualificata, che è l'opposto di quella irregolare, ma chiediamo che dopo cinque anni di lavoro legale in Italia si possa finalmente accedere ai concorsi pubblici, anche senza cittadinanza”. “A lavorare nel pubblico – aggiunge  - sono soprattutto gli stranieri arrivati negli anni '60, '70 e '80 - provenienti soprattutto da Iran, Grecia, Palestina, Giordania - che si sono laureati e specializzati in Italia. E che in buona parte, nel frattempo, hanno pure ottenuto la cittadinanza". Quanto ai settori di specializzazione, Aodi rivela che “i professionisti stranieri sono soprattutto pediatri, medici di famiglia, ginecologi e specialisti che operano nell'area dell'emergenza. Lavorano soprattutto nelle cliniche private, in quelle a lunga degenza, nei centri di fisioterapia e riabilitazione e - conclude - all'interno dei laboratori di analisi".




Stranieri in Italia: reddito basso e dichiarazioni in aumento


Numero di contribuenti stranieri in crescita al Sud e al Centro, ma nelle stesse zone il loro reddito medio annuale è molto basso

26 aprile 2011 - Sono tanti gli stranieri presenti in Italia, tuttavia il livello di integrazione sembra essere ancora incompleto e non troppo semplice da migliorare. Il dato che è stato diramato ultimamente rispetto ai livelli contributivi degli stranieri in Italia fa pervenire un livello di redditi troppo basso se posto in relazione con il numero delle persone presenti nel nostro Paese. In particolare, i redditi percepiti sembrerebbero non essere capaci di fare fronte alle necessità di vita in un paese non troppo economico come il nostro, visto che stando a quanto dichiarato, il reddito medio annuo degli stranieri sarebbe di 12.507 euro. Proprio come accade con gran parte dei redditi dei contribuenti nazionali, dunque, ecco l’emersione del fenomeno dell’evasione colpisce anche i cittadini non italiani. Dal 2009 sono state presentate da contribuenti stranieri ben 3,26 milioni di dichiarazioni. Un dato che riflette una notevole crescita. Si tenga conto che dal 2005 al 2009 tali dati sono cresciuti di quasi il 33%, in particolare si sono registrati incrementi del 55% in Calabria, del 51% nel Lazio e del 47% in Liguria. La quota delle dichiarazioni dei redditi provenienti da contribuenti non italiani corrisponde ad una quota dell'8% del totale nazionale, il 5,1% dei redditi denunciati al Fisco, con quasi 40 miliardi. Se si guarda la distribuzione del reddito medio cu si rende conto di come esso vari anche in relazione alla posizione geografica delle attività o dei lavori portati a termine: gli stranieri domiciliati in Lombardia hanno dichiarato mediamente 14.944 euro, in Calabria invece ci si ferma a 7.875 euro. Il 50% dei contribuenti stranieri denuncia meno di 10mila euro, e appena il 25% raggiunge un reddito tra i 15mila e i 25mila euro. A tali dati vanno inoltre aggiunti i lavoratori che avendo dichiarato meno di 8mila euro all'anno, rientrano come previsto dalla normativa nazionale nella cosiddetta “No tax area”, ovvero non devono presentare obbligatoriamente una dichiarazione dei redditi. A ciò si aggiunga infine coloro i quali restano nel cono d'ombra dell'economia sommersa. Il dato insomma è ancora poco chiaro, ciò che è certo è che esso restituisce una fotografia di una situazione politico-economica che nel nostro Paese e con il nostro sistema fiscale diventa particolarmente difficile anche solo da controllare.

Altrettanto certo è poi che se l reddito medio corrispondesse al reddito reale tali risultati sarebbero molto preoccupanti in termini di miglioramento del processo di integrazione.  
Razzismo



"Italia al 2° posto in Europa per discriminazione"

Roma – 26 aprile 2011 – Secondo l’ultimo rapporto dell’Enar, l’agenzia non governativa contro il razzismo, l’Italia è al secondo posto in Europa  per tasso di maltrattamenti, aggressioni e violenze a sfondo razziale. Il dossier “Enar Shadow Report” su dati relativi al 2009/2010, è stato presentato nei giorni scorsi al Parlamento europeo e si basa su dati non ufficiali ma forniti da associazioni e Ong impegnate nel campo della lotta alla discriminazione. Secondo questo dossier, in Italia la maggior parte delle vittime di discriminazione sono cittadini provenienti dall’Africa, rom e sinti. Per l’associazione gran parte delle responsabilità spettano alla politica di “anti immigrazione“ intrapresa dal Governo che viene associata ad una “retorica xenofoba” di alcune istituzioni politiche,  oltre alla “legge 94 che ha criminalizzato l’immigrazione clandestina”. Al centro dell’accusa dell’Enar non manca la contestazione alla politica dei respingimenti in mare degli immigrati, svolti tra l'altro senza gli adeguati controlli per verificare chi sia in possesso dei requisiti necessari per richiedere l’asilo. Molti dubbi vengono sollevati anche per i casi di controllo dei cittadini immigrati ritenuti sospetti. Il rapporto Enar dedica un intera sezione al caso dell' "Ethnic profiling", citando casi di presunta discriminazione come i  controlli della polizia che lo scorso anno fecero molto discutere durante l’operazione White Christmas, quando vennero perquisite le abitazione di molti stranieri per verificarne i permessi di soggiorno nel bresciano. Al centro della critica all'Italia anche le misure contro i rom e i sinti basate,  secondo l’agenzia, quasi esclusivamente con la pratica degli sgomberi forzati. Secondo l’Enar, dunque, non  sono stati compiuti sforzi per combattere il razzismo  ne  il problema è stato affrontato in modo efficace per favorire l'inclusione sociale dei migranti. Tra le raccomandazioni contenute nella relazione, i principali risultano quelli di "adottare una politica di immigrazione basata sul pieno riconoscimento dei diritti dei migranti e di non affrontare il problema  solo come una questione di sicurezza." Dall'Enar  richiedono  inoltre "l’approvazione di una legge organica per la protezione dei richiedenti asilo politico e di abbandonare il principio del respingimento in mare". M.I.



Scarica qui il rapporto completo



Immigrati irregolari: la responsabilità del datore di lavoro


di Roberto Grementieri

Milano, 27 Aprile 2011 - Il Tribunale di Milano, con due distinte sen­tenze, interviene in tema di sanzioni sull’oc­cupazione di clandestini con permesso di soggiorno falso stabilendo la responsabilità del datore di lavo­ro per non aver verificato l’autenticità dei permessi di soggiorno consegnati dai lavoratori. Nella prima sentenza (Tribunale di Milano, sez. IV, 19.12.2010, n. 14390), il Giudice osserva che la legislazione pone a carico dei datori di lavoro un onere specifico di diligenza nel compimento delle formalità connesse all’assunzione, onere che nel caso di lavoratori stranieri è particolarmente accentuato in ragione delle problematiche connesse con la corretta identificazione degli interessati. La circostanza che il datore di lavoro si limiti a ricevere dal prestatore straniero una semplice fotocopia del permesso di soggiorno, senza pretendere l’originale e senza preoccuparsi di verificarne l’autenticità presso gli organi competenti, denota di per sé stessa il difetto di ogni elementare diligenza in capo al medesimo datore. Nella seconda pronuncia (Tribunale di Milano, sez. I, 14.1.2011, n. 431), il Giudice osserva che ai fini dell’applicabilità delle sanzioni sul lavoro sommerso, la registrazione nelle scritture obbligatorie di un lavoratore con generalità diverse da quelle effettive è del tutto equiparabile alla omessa registrazione del lavoratore effettivamente occupato.


La responsabilità del datore di lavoro è ravvisabile allorquando egli accetti la semplice fotocopia del permesso di soggiorno e non abbia chiesto di visionare l’originale.




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