Giovanni pico della mirandola e IL suo impegno per la concordia



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5. La cristologia

Siamo evidentemente al cuore della teologia di Pico, per lui la “santissima teologia” è la teologia cristiana che ha al suo centro la cristologia. Si possono considerare, cioè, molte scuole di pensiero, anche tante religioni tutte contenenti in sè elementi di verità, ma vi può essere una sola vera teologia in senso pieno, quella cristiana, in quanto solo a partire dalla rivelazione di Cristo si può fare un discorso su Dio, compiuto e non frammentario. Conseguentemente vi può essere una sola vera religione degna in pienezza di tale nome.

Il riferimento ai testi di Pico diventa ora imprescindibile per quanto complesso, dato che Pico non intese, o non ebbe tempo, di elaborare un’opera di cristologia in senso stretto. Si impone dunque la necessità di tentare un’interpretazione cercando di recuperare tutti i luoghi, anche quelli apparentemente meno importanti, nei quali Pico si è riferito o ha inteso dire qualcosa su Gesù Cristo. Partiremo così dall’Heptaplus in quanto essa è l’opera che offre più dati su questo argomento, riprenderemo poi i riferimenti cristologici presenti nell’Oratio e nelle Conclusiones.

5.1. La cristologia dell’Heptaplus

L’Heptaplus, il celebre commento ai sette giorni della creazione, è sicuramente il testo più importante e sistematico per comprendere la cristologia pichiana, anche se esso non è pro­priamente un’opera di cristologia.

Nella struttura di quest’opera, Pico è attento a creare una simme­tria che costituisce di sette capitoli ognuna delle sette esposizioni che la compongono. Il settimo capito­lo è sempre cristologico, fa cioè riferimento a Gesù Cri­sto. È que­sta una indicazione di grande importanza. Per Pico, in­fatti, tutta la realtà creata che l’uomo cerca di comprendere fa­cendo uso della propria ragione, attraverso ricerche erudite con tutti i mezzi possibili, studiando e approfondendo il mondo della natura, ma anche la rivela­zione contenuta nel testo sacro, porta a Gesù Cristo nel senso che in lui troviamo la verità piena e assoluta di tutto ciò che esiste al punto che non sa­rebbe possibile comprendere il creato prescin­dendo dalla sua figu­ra. Gesù Cristo, infatti, ricapitola tutto in sé: “come l’uomo è la sintesi suprema di tutti gli es­seri inferiori, così il Cristo è la sintesi suprema di tutti gli uomi­ni”.9 Ne consegue che solo da Cristo potrà derivare ad ogni uomo la perfezione del bene in quanto egli solo è perfezione.

Cristo è l’uomo perfetto in cui lo Spirito è presente senza limi­tazioni, egli fa dono ad ogni uomo della sua perfezione. Egli è “il principio in cui Dio creò il cielo e la terra”,10 in lui sono state create tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili, egli è l’alfa e l’omega, principio e fine di tutte le cose. In Cristo abita la totalità divina, perciò egli è superiore agli angeli. La sua gra­zia tocca ogni uomo il quale, nell’accogliere tale dono, viene elevato al di sopra della natura angeli­ca.

L’uomo, a causa del peccato di Adamo, era degradato a bruto. In Adamo, infatti, siamo tutti peccatori, perciò l’uomo si rivolge alla carne e degenera tra i bruti. Ma in Gesù Cristo, “nuovissimo Adamo”,11 e per il dono della sua grazia, siamo adottati al rango di figli di Dio e dunque sollevati dalla bruttura del peccato. Tale grazia ci è meritata da Cristo per il fatto che egli ha adempiuto la volontà del Padre. Perciò se siamo figli di Adamo secondo la carne, siamo figli di Cristo secondo lo Spirito e per il suo sacri­ficio torniamo ad essere uomini ricevendo l’adozione a figli.

Dunque attraverso la croce di Cristo la natura corrotta e degra­data dell’uomo è redenta. È questo il mistero nascosto nei secoli ed ora rive­la­to. Per causa nostra il figlio di Dio è stato crocifisso. Infatti, dato che con la caduta dell’uomo era in pericolo tutta la natura, era necessa­rio che vi ponesse ri­me­dio chi aveva creato tutta la natura.

L’uomo si congiunge a Dio solo grazie alla mediazione di Cri­sto il quale ha congiunto in se stesso l’uomo a Dio. Cristo ricapitola in sé la totalità dell’esistenza, colui che crea e colui che è creato. Gli estremi, infatti, si possono riunire solo grazie ad un termine medio. Per questo si deve affermare che “non c’è sotto il cielo un altro nome in cui gli uomini debbano salvarsi”.12

Il ruolo centrale di Cristo per la salvezza di tutti gli uomini viene così affermato in termini molto chiari da Pico. Anche il mondo pagano si dovrà riferire a Cristo quale unica fonte di salvezza. Cristo doveva venire per gli ebrei, ma gli ebrei lo hanno rifiutato. Quanti però lo hanno accet­tato sono entrati a far parte del nuovo popolo eletto, da Oriente ad Occidente, mentre gli ebrei si sono così da esso autoesclusi. “Prima della venuta di Cri­sto non c’era presso la gente nessun frutto della vera religione. Presso gli israeliti vi fu qualche spe­ranza di vita e in parte essi co­nobbero la via della luce e coltiva­rono la vera religione, ma una re­ligione primitiva, imperfetta, in attesa di colui che è la via, la verità e la vita”.13 Quindi Cristo il­lumina e rivela in pienezza ciò che la ricerca religiosa umana poteva solo aver intuito in una forma pri­mitiva e imperfetta. Del resto già Aristotele aveva affermato che tutte le cose si accordano con la verità, dunque esse si accordano con Cristo che è la verità stessa.

Le Scritture antiche parlano di lui. Nella legge, nei salmi, nei libri dei profeti si parla di lui, basta avere occhi per vedere. Ma noi siamo ciechi e abbiamo bisogno della sua rivela­zione per accor­gerci di tutto questo. Cristo, infine, completa la legge che non era cattiva, ma neppure completamente buona.

Come si vede la cristologia di Pico così espressa si pone sulla linea di una ortodossia precisa ed affermata. Emerge qui in modo chiaro ed evidente la centralità di Cristo non solo nella storia della salvezza particolare, quella narrata dalla rivelazione biblica, ma anche nella storia della salvezza universale, quella che in linea di principio coinvolge ogni uomo. Creazione, incarnazione, passione, redenzione, grazia, salvezza, ritroviamo qui tutti i temi classici della cristologia, non senza il tentativo di recuperare quanto, nella storia dell’umanità, l’uomo religioso ha cercato di fare prima dell’incarnazione del Verbo.

Pico riprende così l’intuizione delle sue opere precedenti tendente a valorizzare la religiosità e l’ingegno umano ma non senza chiarezza: il primato è di Cristo, solo lui può salvare, solo lui annuncia ed è la verità, tutto il resto ha senso in quanto da lui portato poi a compimento. “Ed a ciò riflettano con cura quelli che, pur dicendo di credere a Cri­sto, ritengano che la religione comune o quella in cui ciascuno è nato, basti per rag­giungere la felicità. Non presti­no fede a me, non ai ragionamenti, ma a Giovanni, a Paolo, a Cristo stesso che dice “io sono la via; io sono la porta; chi non passa attraverso me è un ladro o un ban­dito””.14

5.2. Una teologia cristiana: l’Oratio

L’attenzione rilevante di Pico per l’argomento ora in esame, riguarda anche la sua concezione della teologia. Essa si precisa, infatti, come teologia cristiana. Pico, dunque, non afferma, di aver cercato tra le varie posizioni teologiche elementi di verità senza per altro condividerne una appieno. Egli non parla mai di più teologie da considerare e condividere. In senso stretto l’unica teologia, l’unico vero discorso su Dio, è quello cristiano, anche se, naturalmente, elementi di verità possono essere trovati anche in altre riflessioni e proposte religiose.

Del resto in tre testi della prima parte di quest’opera, egli cita i vangeli.15

Questi riferimenti ci confermano che qui la teologia non è, allora, intesa genericamente, essa è la teologia cristiana, basata sulla ri­velazione cristiana. È proprio questa, dunque, la “santissima teologia”16 di cui parla Pico.


5.3. In sintesi

Dall’analisi delle opere di Pico emerge dunque il dato cristologico come aspetto portante della riflessione intellettuale del mirandolano.

Pico fa poi propria la cristologia paolina, specie quella della lettera ai Colossesi. L’incarnazione del Logos, l’aver voluto assumere la natura umana, è la prova più evidente della grandezza dell’uomo, della dignitas hominis.

La cristologia ruota attorno ai due temi della creazione e della redenzione. Essi non sono accostati o giustapposti, ma rispondono ad un disegno unitario. Se infatti il fine dell’uomo è la comunione con Dio ottenuta attraverso Cristo, ciò significa che la natura umana fin dagli inizi è da lui segnata, diversamente egli non potrebbe essere l’unico mediatore e il salvatore universale. Per questo Pico recupera in tal modo la dottrina di Paolo sul ruolo di Cristo nella creazione: essa spiega bene tale verità. Inoltre il rifiuto dell’uomo attraverso il peccato provoca una lacerazione che Cristo stesso ricompone, quasi in una seconda creazione che riporta tutto allo stato originario. Da qui la sua ribadita centralità nella storia dell’umanità. Se dunque Cristo è all’inizio e al centro, egli sarà anche alla fine, e proprio in quanto fratelli di Cristo gli uomini potranno godere dell’eredità eterna.

Per tutti questi motivi si deve a Cristo e a lui solo lode e gloria, a lui va indirizzata la nostra preghiera la quale potrà essere anche mediata da segni e simboli che rievochino in noi la sua presenza, come nel caso della adorazione della croce e delle immagini sacre.

6. LA CHIESA, LA GRAZIA, I SACRAMENTI, L’ASCETICA, IL MONDO PAGANO

La chiesa costituisce il popolo nuovo dei credenti, il nuovo popolo eletto che sostituisce la sinagoga e il popolo ebreo. Riprendendo l’immagine paolina nello scritto agli Efesini, Pico nell’Heptaplus descrive la chiesa come la sposa dello sposo-Cristo. Essa è la luna, mentre lui è il sole. La chiesa ha il compito di annunciare la verità che ha ricevuto da Cristo. Tale fu il dovere degli apostoli sui quali essa è stata fondata. Il loro annuncio nella storia è stato continuamente accompagnato dalla testimonianza dei martiri. La chiesa è formata dagli ebrei convertiti i quali erano i più perfetti, e dai pagani convertiti, i quali sono i più numerosi: essi hanno cambiato la loro vita e hanno riconosciuto in Cristo l’unico vero pastore.

Per Pico è pacifico che la chiesa sia strutturata gerarchicamente e abbia il compito-potere di insegnare e di definire la verità rivelata al punto che se vi sono contrasti con l’insegnamento dei filosofi, è certissimo che essi devono essere abbandonati per seguire ciò che essa indica e afferma. Pico dunque riconosce pienamente l’autorità del papa e a lui ritiene di doversi sempre, moralmente ed intellettualmente, sottomettere.

La chiesa realizza la propria missione nell’essere presenza di Cristo suo capo e nel trasmettere la grazia che egli ci ha meritato, principalmente attraverso i sacramenti.

Anche il tema della grazia ha un taglio decisamente cristologico. Questo perché la grazia che salva è dono di Cristo, non è mai conquista dell’uomo.

Per raggiungere la propria realizzazione l’uomo può solo confidare nella grazia del Signore, non essendo minimamente nelle sue possibilità, a motivo del peccato, il raggiungere tale traguardo. Solo Cristo, infatti, che è Dio e uomo, può portare un uomo ad unirsi a Dio.

E’ la grazia che dà la salvezza, essa consente alla natura umana di realizzare il proprio destino. Ancora: è la grazia che ci consente di andare a Dio e rifletterci in lui. La grazia, allora, realizza la natura dell’uomo la quale ha Dio come inizio e a lui tende come fine, essa, la grazia, conduce all’unione con Dio, piena realizzazione e felicità eterna per l’uomo.

Nelle opere di Pico solo qua e là troviamo qualche riferimento ai sacramenti, ma non vi è ragione di pensare che il conte ne rifiutasse il valore e la pratica, semplicemente egli non intese prendere in considerazione in maniera sistematica questo argomento. Comunque per Pico i sacramenti sono il canale principale della grazia, nel senso che attraverso di essi la grazia meritataci da Cristo raggiunge l’uomo.

Dopo le vicende della disputa romana, tornato a Firenze, nella pace dei colli fiesolani, Pico si dà alla contemplatio. Le sue opere tradiscono ora sempre più l’amore per l’ascesi e la mistica il cui cammino richiede un grande rigore morale. I suoi testi portano con sè riferimenti che richiamano di continuo la dimensione etica, la necessità di salire a Dio etc. I suoi commenti ai Salmi segnalano in maniera evidente l’intenzione di ricavare insegnamenti morali dalla lettura della Scrittura ed è ora soprattutto questa la caratteristica della sua esegesi.

Più precisamente ascetici sono invece alcuni brevi scritti composti da Pico dopo il 1492 e pubblicati postumi. Sull’importanza e sulla necessità della preghiera, necessaria per raggiungere il sommo bene che è Dio, scrive la Doctissima in orationem dominicam expositio, che consiste nel commento al Pater. Per aiutare il cristiano a vivere la propria fede facendo proprie le virtù e vincendo la battaglia contro il male e le tentazioni, Pico propone tre brevi schemi da seguire nella lotta. Essi sono. Regulae XII, partim excitantes, partim dirigentes hominem in pugna spirituali; Spirituales pugnae arma XII e De duodecim conditionibus amantis.

Qui il modello supremo è Cristo che, umilmente, muore sulla croce e in ultima analisi la lotta spirituale è proprio conformazione al Cristo crocifisso.

Pico non intende ora negare la grandezza dell’uomo, certo sono qui assenti le esaltazioni dell’Oratio, ma non c’è contraddizione, semmai la grandezza dell’uomo sta proprio nel poter seguire una strada, quella tracciata da Cristo, che gli consenta di potersi realizzare in pienezza nell’ascesa a Dio. Così l’Oratio e gli scritti ascetici si integrano a vicenda.

La considerazione del mondo pagano ricalca, sostanzialmente, in Pico la posizione paolina della lettera ai Romani. I pagani non sono sempre degli empi, dei peccatori, degli idolatri, o meglio non lo sono necessariamente. Essi, pur non conoscendo ancora la pienezza della rivelazione che è Cristo, e nemmeno quella dell’Antico Testamento, beneficiano comunque della legge naturale che si trova scritta nei loro cuori e che è stata loro donata dal Dio creatore di tutti.

Pico era però ben consapevole di riti e tradizioni inaccettabili propri delle genti pagane, quali l’adorazione dei demoni, del cielo, delle stelle o dei pianeti, e nell’Heptaplus troviamo un forte giudizio contro di essi.

Ma vi sono anche i pagani convertiti. Alcuni provengono proprio da quei culti aberranti seguendo i quali avevano perso per un certo tempo anche la luce della legge naturale, altri, invece, hanno trovato in essa, una preparazione ad accogliere Cristo.

Conseguentemente non tutto è negativo nel mondo pagano, l’apertura di Pico alla prisca theologia esprime proprio la convinzione che anche in essi vi siano elementi di verità e operi lo Spirito Santo.




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