Giovanni pico della mirandola e IL suo impegno per la concordia



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Conclusione

Pico e gli umanisti hanno inteso la teologia prima di tutto come studio della Bibbia, da affrontare secondo precisi criteri filologico-critici, grazie alla conoscenza delle lingue bibliche e sulla base interpretativa della tradizione dei Padri della chiesa, che essi studiavano e conoscevano molto bene. Superata una sterile teologia controversistica, Pico è così anch’egli sensibile al rinnovamento degli studi teologici attraverso un ritorno alle fonti della tradizione: la Scrittura e i Padri. È questa una duplice attenzione costantemente presente lungo il suo cammino intellettuale e chiaramente attestata nelle sue opere. Ma Pico ha cercato anche di andare oltre, sempre a livello di metodo. Egli ha cioè cercato un approccio complementare alla verità che fosse tale da mettere in luce il suo contenuto fondamentale e primordiale. Si spiega così l’approccio cabalistico, il ruolo della filosofia, lo studio delle lettere, la considerazione dell’intuizione poetica.

Il tutto converge, a livello di contenuto, attorno al tema del cristocentrismo. La centralità di Gesù Cristo emerge infatti sia dalla ricerca filosofica, concorde nell’indicare la verità, sia da quella cosmologica, si pensi alla centralità di Cristo nell’impianto dell’Heptaplus, sia dalla cabala, per la quale le verità della fede cristiana erano già presenti nei testi dell’Antico Testamento, sia dalla teologia poetica, che esalta le opere dei grandi autori dell’umanità.

Se poi tutto converge in Cristo è anche vero che tutto da lui si diparte: la creazione, l’esistenza della chiesa, la vita morale di ogni persona, come le operette etico-ascetiche dell’ultimo Pico, ma anche la sua stessa vita concreta, mettono in risalto.



7. l’impegno per la concordia

7.1. La conciliazione filosofica

“Una delle grandi linee dell’Umanesimo è quella della pace e della riconciliazione dei diversi”.17

Come abbiamo visto nella seconda metà del secolo XV, Pico fu tra i più decisi assertori di questa posizione e tra i più coerenti nel mettere in evidenza una così forte convinzione che tendeva a valutare sempre positivamente ciò che riguarda l’uomo, qui, in particolare, il suo uso di ragione, manifestatosi nella varietà e nella ricchezza dei vari sistemi di pensiero.

Nel suo progetto Pico ha prima di tutto cercato un fondamento filosofico universale alla religione cristiana. Esso non si ri­duceva ad un autore o ad un sistema di pensiero, ma si basava, in­vece, su una filosofia concorde che do­veva così servire da substrato prezioso per l’accoglienza della religione, della religione cristiana.

Dunque non una filosofia, bensì la filosofia nel suo insieme doveva essere ancilla theologiae, secondo la classica posizione della scolastica medievale.

La visione della reductio ad unum gli veniva qui in soccorso e lo aiutava a comprendere il senso delle variegate posizioni filosofiche che, a prima vista, si presentano spesso come mere giustapposizioni.

Questa unità filosofica doveva essere poi propedeutica ad una seconda affermazione tipica dell’impianto pichiano, quella della concordia religiosa.

Abbiamo già dovuto notare però che Pico, nelle sue opere, non realizzò molto del suo disegno essendo riuscito a trattare solo la questione del rapporto Uno\molteplice, Uno\Dio tra Platone e Aristotele. È vero che non ne ebbe il tempo per la morte in giovane età, ma è anche vero che tra la pubblicazione del De ente et Uno, 1491, e la sua scomparsa, 1494, passano tre anni nei quali questo argomento non viene più a tema, quasi Pico avesse voluto sospendere il suo progetto non solo per dedicarsi a tematiche di tipo biblico, ascetico e morale, come di fatto fece sotto l’influsso del Savonarola, ma anche per ripensare e riflettere con più attenzione sul suo disegno conciliatore. Ma questa è solo una ipotesi.

Si dovrebbe dunque segnalare l’incompiutezza dello sforzo pichiano. Il conte si lasciò guidare da una idea di fondo, la reductio ad unum, che non seppe però adeguatamente gestire e trattare nell’ambito filosofico, non essendo riuscito ad andare al di là di qualche dimostrazione ed affermazione di fondo.

7.2. La concordia religiosa

Il punto di partenza di Pico è qui chiaro e coerente con la sua fede cristiana: la verità è Cristo. L’espressione più completa di questa verità sarà perciò presente nella teologia cristiana. Ciò non toglie però -ecco l’intuizione fondamentale- che si possano trovare manifestazioni di questa verità anche al di fuori della tradizione cristiana. Pico trova conferma di questo nelle opere di filosofia, e teologia, in scrittori e poeti antichi e moderni. Per lui gli spiriti più attenti dell’umanità avevano scoperto, nei limiti delle loro possibi­lità e in una forma loro personale, quanto il Pa­dre intendeva rivela­re in Cristo, cioè la verità. Questo sapere su­periore non si coglie, dunque, facendo la sintesi dei vari saperi e delle varie opinioni, ma trovando in ogni testo ciò che esprime la verità, tra l’altro in una forma sempre dinamica e nuova.

In tal modo il conte “alla luce della verità che gli rifulge nell’animo, scorge i segni più o meno evi­denti della manifesta­zione di essa in tutti gli autori e le scuole studiate ed interpreta quei segni per colo­ro che erano disposti a riflettere, ad arricchire il proprio animo”.18 E così l’unità di sostanza tra i filosofi, l’unità della visione cosmologica, per la quale non vi è giustapposizione tra i mondi creati, sono come un preludio all’ultima e definitiva reductio ad unum, quella riguardante le varie espressioni della religiosità umana lungo i secoli.

Come Pico intendesse impostare questo delicato discorso lo sappiamo con certezza almeno da un confronto da lui portato a termine, e cioè dal modo in cui egli intendeva il rapporto tra l’ebraismo e il cristianesimo. Qui la tesi è la seguente: la verità cristiana si trova presente nei testi della religione ebraica, dell’Antico Testamento, e non solo come annuncio e profezia. Conseguentemente, con la venuta di Cristo, gli ebrei, a motivo della testimonianza dei loro stessi libri sacri, avrebbero dovuto, nella sostanza, aderire al cristianesimo, poiché di esso parlarono i loro Padri. Si spiega solo in questo modo l’entusiasmo di Pico per la cabala, essa era infatti uno strumento straordinariamente adatto a dimostrare una così forte convinzione.

Per quanto riguarda l’accordo con la religione musulmana, non troviamo affermazioni esplicite. È però difficile pensare che Pico non l’abbia ritenuto possibile. Egli infatti concepiva la concordia religiosa anche come passaggio per giungere alla pace tra gli uomini, e a quel tempo, da questo punto di vista, non era certo il pericolo ebraico, bensì quello musulmano a far temere l’Europa cristiana, specialmente dopo la presa di Costantinopoli da parte delle truppe di Maometto II nel 1453.

È evidente che qui la prospettiva di concordia si fa ben più complessa del rapporto cristianesimo-ebraismo, eppure è lecito pensare che Pico avrebbe applicato anche alla religione islamica lo stesso metodo che lo portava a cogliere una positività nella religione ebraica. Il che, evidentemente, non vuol dire accettare tutto di quanto i musulmani affermano, ma significa saper vedere nel complesso della loro dottrina elementi di unità con quella cristiana, tanti o pochi che siano. Pico era convinto che essi avrebbero riguardato contenuti dottrinali essenziali.

In conclusione riteniamo Pico consapevole che il suo cristianesimo non poteva essere semplicemente e solo una ulteriore manifestazione dell’unica verità, fosse anche, per ora, la più perfetta. In questo caso lo stesso cristianesimo sarebbe destinato ad essere superato. Pico era invece convinto dell’assolutezza della fede cristiana, della definitività del messaggio di Cristo, tale da non poter essere più superato.

Si impone comunque una ulteriore precisazione. Pico non è stato un irenico sognatore, ma uno studioso attento ed assiduo. Egli era dunque consapevole che solo i dotti lo avrebbero potuto seguire nelle sue argomentazioni. Forse in seguito, ma in un secondo momento, la pace religiosa si sarebbe potuta realizzare. Per ora egli se da un lato cercò questi approcci tentando di far emergere quanto di positivo poteva trovare, dall’altro lato mantenne una chiara posizione di condanna verso gli ebrei, i musulmani e comunque gli adoratori di falsi idoli e di falsi simulacri, che erano poi per lui gli adoratori del demonio.

Ecco perché nell’elenco dei sette nemici della chiesa da combattere troviamo anche l’ebraismo anticristiano e l’islamismo. È dunque nemico chi “onora la Legge Mosaica secondo il rito dei malvagissimi ebrei, o segue il nefando Maometto, asservito ai suoi detestandi voleri”,19 ma è un nemico da far ravvedere non con la forza, bensì con la ragione, facendogli vedere come anche la sua religione contenga, sia pure in maniera implicita e nascosta, ciò che il cristianesimo rivela in pienezza. In pratica l’idolatria del pagano non sta tanto nel fatto di seguire la propria religione, quanto nella convinzione in una verità che sarebbe diversa da quella cristiana.

In linea di principio questo metodo potrebbe essere applicato a qualsiasi tradizione religiosa. Certamente Pico non poteva immaginare la vastità e la diversità delle testimonianze di fede nel mondo, e dunque la complessità del fenomeno religioso umano, basti pensare che in questi anni le grandi scoperte geografiche sono appena agli inizi. E’ tuttavia certo possibile segnalare una sua eccessiva semplificazione del fenomeno, il che però non toglie la suggestione del tentativo.



8. LA SUGGESTIONE DEL TENTATIVO PICHIANO DI UNA CONCORDIA RELIGIOSA

Valutare un’impresa tanto ponderosa è cosa ardua, soprattutto per i tanti secoli di distanza che ci separano dai tempi in cui Pico visse.


1. È possibile affermare che le esigenze di Pico sono sostanzialmente anche le nostre. Oggi come allora è urgente, prima di tutto, giungere alla rottura degli steccati per arrivare ad un dialogo costruttivo, dato che la pace sociale non può non passare attraverso una pace religiosa. La presenza di tanti credo, inoltre, interroga il cristiano, per il quale è poi necessario superare un atteggiamento di sprezzante superiorità e di colonialismo presenti nel passato.

Aver intuito questioni così fondamentali sembra essere un pregio rimarchevole del conte di Mirandola. Quanto però fosse difficile a quei tempi avere aperture di questo tipo ce lo dimostra tutta la contrastata vicenda intellettuale del nostro.



2. Un secondo pregio è di carattere metodologico. Pico aveva ben chiaro che una apertura tollerante ai credenti di altre religioni non significava svilimento del cristianesimo, una sorta di purificazione dalle sue presunte incrostazioni dogmatiche. Il suo tentativo non fu quello di arrivare ad una religio super partes in grado di mettere tutti d’accordo. Se così fosse il suo tentativo sarebbe del tutto inaccettabile, come è ovvio, per il teologo cristiano. Pico allora non sposta la centralità di Cristo, barattandola con un’altra centralità, per esempio quella di un generico Dio, per poter trovare un qualche supposto denominatore comune fra tutte le religioni, ma, al contrario, cerca, da cristiano, di interrogarsi sul vasto fenomeno religioso dell’umanità che non può essere frutto solo di errori, chiusure e peccato.

3. È Cristo che porta a compimento in maniera assoluta il genere umano in quanto per­fezione somma di tutti gli uomini, è lui l’unico vero mediatore tra Dio e gli uomini poiché assume in sé la divinità e l’umanità. È lui che, all’opera fin dalla creazione del mondo, segna costantemente della sua presenza l’umanità intera. Chi vuole raggiungere l’unica vera felicità, quella soprannaturale, de­ve allora accogliere Cristo, deve farsi uno con Cristo, come dice lo stesso Pico ci­tando l’apostolo Paolo e l’evangelista Giovanni.

4. Questo costante riferimento a Cristo preserva il mirandolano da una ulteriore critica che pure, genericamente, può essere fatta ai pensatori dell’Umanesimo, quella cioè di aver “naturalizzato” il cristianesimo in una specie di sapientia perennis di portata morale, dove Aristotele e Platone avrebbero la rilevanza maggiore e dove si finì per secolarizzare la teologia riducendo il vangelo ad etica. L’attenzione di Pico per la cultura, per le opere dei grandi non intende mai essere finalizzata a questo scopo.

5. L’umanesimo di Pico si incentra così sulla figura di Cristo, il suo è un umanesimo cristiano, non antropocentrico, un uma­ne­simo che riconosce Dio come centro dell’uomo e comprende il tema del peccato e della redenzione, della grazia e della libertà. Con Cri­sto si inaugura la redenzione che vale anche per i gentili che vivono rettamente e per i filosofi che vivono secondo natura, la stessa reli­gione degli ebrei era preludio a quella cristiana.

6. Tutta la storia dell’umanità converge allora in Cri­sto come alla suprema verità. Scrive il Garin: “Se tutto è parola di Dio, se sono lettere del Signore gli astri del cielo e gli elemen­ti, i fenomeni della vita e le voci della natura, i sensi degli uo­mini e i loro concetti, se le varie religioni so­no il modo con cui i vari popoli hanno tradotto l’unico appello di­vino, chi raggiunga l’alfabeto di Dio, nella coincidenza di lettere e numeri, troverà non solo la radice unitaria delle cose, ma il fonda­mento della conco­rdia delle religioni e delle filosofie”.20 La radice è Cristo e il fonda­mento è ancora e sempre Cristo.

7. Dio è l’irraggiungibile. Nel parlare di Dio, Pico tende a volte verso una teologia negativa, ma, grazie a Cri­sto, il divino si svela all’uomo. “Cristo è il Logos, la Sapienza per cui il creato si manifesta, è il principio in cui ebbe origine, è il divino con cui si comunica, è il Dio che rag­giunge. Il Cristo è uomo perché nell’uomo si compendia il tutto, è più che uomo perché ne è l’anima, la verità, la sostanza, la vita, il significato eterno”.21

Con il Cordier si può dunque affermare che Pico “veut réali­ser une sinthèse complète de toutes les doctrines, de toutes les écoles anciennes et récentes, pour faire éclater la vérité du christianisme et entraîner les hésitants à y adhérer totale­ment”,22il s’agit de prouver que la religion du Christ est la vraie, en montrant com­ment elle a été révélée et conservée dans tous les peuples, mal­gré les tendances différentes de chacun d’entre eux, malgré les vicissi­tudes humai­nes”.23




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