9. Per una valutazione conclusiva: la fortunA di pico e l’attualità del suo pensiero
L’influsso intellettuale di Pico fu di grande rilievo nel ‘500 e nel ‘600, lo testimoniano le numerose edizioni delle sue opere in questi anni.
Egli fu assai valutato dai seguaci della cabala cristiana i quali vedevano in lui se non il fondatore, almeno il suo grande divulgatore e sostenitore. Lo sviluppo dell’Umanesimo in Europa gli fu debitore. La sua opera influenzò, tra gli altri, Lefèvre d’Etaples, in Francia, John Colet e Thomas More, in Inghilterra, Johannes Reuchlin in Germania, Erasmo in Olanda.
La dottrina sull’uomo, accanto al progetto concordistico, la vastissima cultura, la proverbiale memoria, la posizione anti-astrologica, furono tutte tematiche riprese e dibattute tra i dotti europei.
Il fascino di Pico, la stessa sua storia personale burrascosa e straordinaria, completarono l’ammirazione, eppure resta il fatto che egli progettò molto, ma concluse poco. Se solo avesse avuto il tempo, il suo posto nell’ambito del pensiero del suo tempo sarebbe potuto essere probabilmente assai più ampio.
Vale così il giudizio su Pico del Campanella: “Io stimo più grande uomo per quello che doveva tosto fare che per quello c’ha fatto”.24 Ed anche quello del Savonarola: “se avesse più a lungo vissuto, avrebbe con i suoi scritti oscurato tutti gli uomini vissuti da otto secoli in qua”.25
Dopo il ‘600 Pico viene praticamente dimenticato, lo troviamo citato solo in qualche storia della filosofia dove si ricorda la disputa romana, la sua memoria e cultura, gli ambigui riferimenti alla magia e la posizione sulla cabala. Con il tempo magia e cabala finirono poi per tessere attorno a Pico un alone di mistero e di stregoneria che davvero non ha nulla a che vedere con la sua immagine.
Le vicende legate alla riforma protestante possono essere uno dei motivi di questo oblio. Troppo distante era infatti l’antropologia cristiana e il tentativo concordistico del conte di Mirandola dalla visione amartiocentrica di Lutero e dei riformati: “Zwingli, Lutero e Calvino si muovono in un’atmosfera di fatalismo metafisico e teologico che è lontano le mille miglia dal pensiero di Pico; questi non ha avuto bisogno di rinnegare il valore dell’uomo per esaltare Dio e Cristo e la grazia”.26 D’altro canto l’apertura conciliante e tollerante di Pico non poteva servire da riferimento per quanti, in campo cattolico, intendevano opporsi alle posizione dei protestanti.
Così Pico ebbe molti ammiratori, sicuramente, allora come oggi, ma non ebbe degli allievi, studiosi in grado di continuare la sua opera. Neppure il nipote GianFrancesco, quasi coevo, si impegnò sulla linea dello zio, data la sua decisa ed integralistica posizione savonaroliana. In un certo senso Pico restò così un isolato nell’ambito filosofico e lo sviluppo del pensiero occidentale finì per prendere strade che egli non avrebbe certamente fatto proprie.
Venendo più precisamente all’impegno per la concordia, al di là della suggestione e della nobiltà di un così grande tentativo, è necessario sottolineare, in sede critica, che così esposto il sistema religioso pichiano pecca, quanto meno, di ingenuità e di una eccessiva semplificazione della questione.
1. In linea di massima l’entusiasmo per la dignità dell’uomo può trovare consenziente il cristiano convinto della bontà della creazione nonostante la triste realtà del peccato sempre presente. Resta però tutto da dimostrare se davvero ogni sistema di pensiero possa dirsi portatore di verità e in che termini. In altre parole Pico esclude dal suo progetto alcune scuole, principalmente quelle scettiche e materialistiche, ma poi non scende ad un’analisi critica di quelle che accetta ed inserisce nel suo piano. Probabilmente gliene mancò il tempo, ma difficilmente si sfugge dall’impressione che Pico abbia forzato la sua idea pur di accogliere tutto e tutti e così prospettare un discorso il più ampio possibile.
“Non si tratta qui di stabilire una censura culturale che impedisca lo sporgersi del teologo nell’alveo dei filosofi e dei grandi pensatori religiosi: esso permette di cogliere alcune loro profondità. Anzi, forse solo il teologo sa riconoscere nel fondo le verità ulteriori che il filosofo realizza nella sua sapienza; il credente con gioia saluta i segni di Dio ovunque presenti e la luce delle multiformi rivelazioni dello Spirito. Ma in questa ricerca è necessario un supplemento di rigore, affinché non avvenga di capire tanto, da giungere a capire troppo e a compiere annessioni che sono ingiustificate, tanto da provocare giustamente la reazione di chi si trova annesso, ma non intende esserlo, tenendo alla propria specificità”.27
2. Se però di superficialità si può parlare, va aggiunto che si deve anche in parte giustificare l’atteggiamento di Pico che, figlio del suo tempo, era sinceramente convinto di molte cose che il filosofo o il teologo moderno sottoporrebbero subito al vaglio critico. Basti pensare alle convinzioni di quegli anni circa l’antichità dei testi di Ermete, Orfeo, degli oracoli caldaici, testi importanti in quanto stavano alla base della teoria della prisca theologia, o alla altrettanto convinta antichità della cabala ebraica.
3. Se poi fu effettivamente valido nell’intento e nell’intuizione di fondo, l’interpretare l’Antico Testamento come annuncio e preparazione della venuta di Cristo, troppo forzata è la cosa quando Pico afferma la presenza, nella religione degli ebrei, dei contenuti della religione cristiana. Siamo così di fronte ad una sorta di assorbimento che sembra del tutto indebito. Se intesa solo in questo senso la proposta di Pico non sarebbe certo oggi accettata. Un conto è, infatti, affermare la convinzione della presenza di elementi di verità, e dunque di impliciti o espliciti riferimenti, o possibili rimandi, a colui che è la verità, nelle altre tradizioni filosofiche o religiose, altro conto è asserire che, come per esempio nel caso dell’ebraismo, in realtà esse costituirebbero un cristianesimo nascosto, incipiente o camuffato.
Non si ottiene la concordia annullando le differenze. Un dialogo interreligioso basato su un principio simile sarebbe oggi condannato ad un fallimento immediato.
4. A fronte dunque di una apertura lodevole, dobbiamo anche registrare una messa in atto discutibile. L’incontro tra le religioni deve avvenire nella chiarezza delle diversità, e lo sforzo per il raggiungimento di una concordia, di una pax religiosa, non passa attraverso l’annullamento e l’azzeramento delle differenze.
Però si apre qui, in questo periodo, un filone di pensiero e di attenzione alla religiosità umana e alle tradizioni religiose diverse da quella cristiana che ha effettivamente come punto di arrivo la dottrina del Vaticano II o comunque le varie espressioni della teologia delle religioni del XX secolo, e questo è un pregio da sottolineare.
Naturalmente non tutto quello che è stato scritto da Pico e da altri del suo tempo potrebbe essere oggi accettato, eppure non si può dimenticare il loro contributo soprattutto per l’effetto di novità che ebbe in quegli anni. Non si intende fare del conte di Mirandola l’ispiratore di questa teologia, ciò sarebbe certamente esagerato e fuori luogo, ma forse si deve anche a pensatori come Pico lo stimolo per una ricerca e per una impostazione nuova di questo arduo problema, si pensi solo alla questione della salvezza di chi non è cristiano, che sembra comunque aver trovato oggi le linee giuste di riflessione per un dibattito adeguato al fine di giungere ad una soddisfacente soluzione.
Sartori don Alberto
Docente di Teologia fondamentale
presso lo studio teologico di Treviso-Vittorio Veneto, sezione di Vittorio Veneto
Largo del Seminario 2
31029 Vittorio Veneto (TV)
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