1. Introduzione
Sì, il plurale nel titolo di questo articolo è corretto. Non si tratterà della teoria, ma
delle teorie dell’entimema nell’antichità. Infatti ce n’era una pluralità. Però oggi stesso,
quando si parla dell’entimema retorico, per lo più si presuppone quasi automaticamente
che si parli dell’entimema come noto dagli scritti di Aristotele. Molti presumibilmente
direbbero anche di sapere perfettamente ciò che era un entimema: un sillogismo imper-
fetto o incompleto nel quale viene omessa una delle premesse, e supporrebbero che que-
sta fosse la definizione aristotelica. Tuttora questa definizione si trova frequentemente in
manuali di retorica o di logica. Si tratta infatti di una definizione vecchissima e nobilitata
da una tradizione accademica di molti secoli. Nonostante qualche dubbio espresso di
buon’ora da singoli eruditi come Thomas de Quincey
1
o William Hamilton
2
quasi tutto
l’Ottocento era convinto di essa. Si trova esposta praticamente in tutti i manuali più auto-
revoli ottocenteschi di logica, però particolarmente nell’Introduction to Aristotle’s
Rhetoric di Edward M. Cope, che esplicitamente la attribuisce allo stesso Aristotele.
3
Ai nostri giorni, però, le cose si presentano differentemente. Le discussioni
novecentesche e degli anni duemila circa l’entimema sono state caratterizzate da un
riesame critico di questa dottrina del sillogismo ellittico o troncato (syllogismus
truncatus), la quale può dunque oggi considerarsi come definitivamente superata e
scavalcata rispetto ad Aristotele, almeno tra filologi e filosofi. Ricercatori come
MANFRED KRAUS
TEORIE DELL’ENTIMEMA
NELL’ANTICHITÀ
1
T. D
E
Q
UINCEY
, Elements of Rhetoric, in Blackwood’s Edinburgh Magazine 24 (1828), p. 886,
ristampato in Selected Essays on Rhetoric, ed. F. B
URWICK
, London 1967, p. 86.
2
W. H
AMILTON
, Logic: The Recent Treatises on that Science, in Edinburgh Review 56 (1833), pp. 211-215.
3
E.M. C
OPE
, An Introduction to Aristotle’s Rhetoric, London 1867, pp. 102-103.
on line dal 06/02/2014
Seaton, McBurney, Bitzer, Grimaldi, Sprute o Conley
4
ne avevano già scosso le fon-
damenta tanto da abbatterla anche senza il finale ‘colpo di grazia’ dato dal com-
mentatore della Retorica aristotelica Christof Rapp nel 2002.
5
Tuttavia dal punto di vista dello storico di retorica non c’è veramente nulla da
ridire sul modello del sillogismo troncato: è uno di vari modelli legittimi e storicamente
accertabili della struttura dell’entimema, per di più uno che per moltissimo tempo vige-
va praticamente senza concorrenza. Sarebbe però sbagliato proiettarlo (o voler far risa-
lirlo) alla teoria dell’entimema dello stesso Aristotele. Eppure oggi stesso è sempre così:
quando si parla della teoria dell’entimema, si intende la teoria aristotelica. Nessun’altra
teoria è mai in vista. Per questo ci sono ragioni storiche che approfondiremo più in giù.
È il punto di vista logico, non retorico, che si manifesta in questo modo di
vedere. Comunque, paradossalmente è proprio questa limitazione della prospettiva
all’unica teoria aristotelica che ha fatto trionfare la dottrina del sillogismo troncato.
Essa, però, ha nascosto tutta la verità di una discussione retorica antica veramente
multicolore circa l’entimema, nella quale la teoria aristotelica non era mai più che un
aspetto particolare, e, per dire la verità, per molto tempo neanche l’aspetto più impor-
tante. La nostra concezione dell’entimema invece è sempre stata e ancora è caratteriz-
zata quasi esclusivamente dall’entimema aristotelico, dapprima nella forma del sillogi-
smo troncato e poi per le molteplici rettificazioni di questa teoria. È intenzione delle
seguenti riflessioni schiudere questo restringimento e rifornire la discussione sull’enti-
mema di un fondo più largo e più storico.
2. Attestazioni pre-aristoteliche
Per spiegare il concetto dell’entimema, spesso si comincia dall’etimologia. La deriva-
zione sorta nel medioevo (secolo XII) e sempre molto popolare in manuali moderni, secon-
do la quale ‘entimema’ risalirebbe alla locuzione greca ejn qumw/~ che accennerebbe al fatto che
una delle premesse non venga pronunciata ma sia ritenuta «in mente»,
6
oltre che è linguisti-
camente impossibile, è oggettivamente assurda, poiché l’entimema è proprio l’argomento
pronunciato, non il taciuto. Correttamente il termine risale al verbo ejnqumei~sqai, che vuole
dire «farsi venire in mente», «considerare», «ponderare», «prendere a cuore» e dunque
rimanda al fatto che «s’immagina» e «si pondera» un argomento prima di essere espresso in
parole. Per quanto riguarda la formazione del termine, come un teorema è il risultato di un
processo di qewrei~n, l’entimema è il risultato di un processo di ejnqumei~sqai.
In un saggio recente il filologo classico olandese Jeroen A.E. Bons ha analizzato
le attestazioni più vecchie, pre-aristoteliche di ejnquvmhma ed ejnqumei~sqai in ambiente
18
Manfred Kraus
4
R.C. S
EATON
, The Aristotelian Enthymeme, in CR 28 (1914), pp. 113-119; J.H. M
C
B
URNEY
, The
Place of the Enthymeme in Rhetorical Theory, in Speech Monographs 3 (1936), pp. 49-74; L.F. B
ITZER
,
Aristotle’s Enthymeme Revisited, in QJS 45 (1959), pp. 399-408; W.M.A. G
RIMALDI
, Studies in the Philosophy
of Aristotle’s Rhetoric, Wiesbaden 1972; J. S
PRUTE
, Die Enthymemtheorie der aristotelischen Rhetorik,
Göttingen 1982; T.M. C
ONLEY
, The Enthymeme in Perspective, in QJS 70 (1984), pp. 168-187.
5
C. R
APP
, Aristoteles, Rhetorik. Übers. und erläutert, 2 voll. (Aristoteles, Werke in deutscher Über-
setzung, vol. 4.1/2), Berlin 2002, in particolare vol. 1, pp. 323-335; 358-362; vol. 2, pp. 223-248.
6
Cf. L.M.
DE
R
IJK
(ed.), Logica Modernorum, vol. 2.2, Assen 1967, p. 194; p. 363.
retorico, innanzitutto in orazioni d’Isocrate ed Alcidamante,
7
ed è arrivato al risultato
(non inatteso dal punto di vista etimologico) che in quei testi ejnquvmhma frequentemente
designa il contenuto mentale di un argomento, a differenza della sua espressione lingui-
stica in parole (ojnovmata), e quindi, parlando in categorie retoriche, l’oggetto dell’inven-
zione a differenza di quello dell’elocuzione. In nessun caso, però, secondo Bons, si trova
aggiunta una definizione o spiegazione formale del concetto. Perciò, Bons parla di una
fase «pre-riflessiva» nell’evoluzione dell’entimema ad un termine tecnico.
8
Dall’altra
parte, l’assenza di una definizione esplicita rimanderebbe ad una comprensibilità ele-
mentare del termine al livello della lingua corrente. È sfuggita, però, al Bons una testi-
monianza vecchia importantissima sulla quale ritorneremo più tardi.
3. Aristotele
Passando ad Aristotele, anzitutto si riscontra che neanche lui dà nessuna spiegazio-
ne etimologica del termine. Anch’egli sembra dunque presupporne una comprensibilità ori-
ginaria. Nelle sue opere, Aristotele tratta l’entimema in due luoghi diversi, da una parte nella
sua Retorica e dall’altra alla fine dei Primi Analitici, nella sua esposizione della conclusione
logica. All’interno della Retorica, però, si trovano ancora due discussioni dell’entimema in
due luoghi diversi e da prospettive diverse. Mentre nel secondo capitolo del primo libro
Aristotele esegue una discussione sistematica dell’entimema nell’ambito della sua concezio-
ne generale dei mezzi di persuasione, nei capitoli 22 a 25 del secondo libro ci dà soltanto
liste di tipi d’entimemi o d’entimemi apparenti basati sui cosidetti topoi, cioè schemi tipici
d’argomentazione. Tali schemi sono per esempio l’inferenza dal maggiore al minore (ciò che
risulta vero per il maggiore, risulterà ancora di più vero per il minore) o l’inferenza dal con-
trario (se per A vale il predicato x, per il contrario di A varrà il predicato non-x).
Risulta, però, una difficoltà imbarazzante dal fatto che da una parte ci sono evi-
denti affinità tra le rappresentazioni in Retorica I 2 e negli Analitici, ma dall’altra parte
certe discrepanze tra le discussioni in Retorica I 2 e II 22 a 25.
Allora, la Retorica aristotelica è un’opera molto complessa e di parecchi strati,
nella quale non solo confluiscono elementi teorici provenienti da varie branche filosofi-
che,
9
ma di cui anche la genesi è assai complicata, in quanto un primo abbozzo, che si
costituì probabilmente negli anni cinquanta o quaranta del quarto secolo a.C. durante il
primo soggiorno di Aristotele in Atene, venne poi ritoccato (forse a più riprese) duran-
te il suo secondo soggiorno negli anni trenta.
10
In fin dei conti, si tratta di un manoscrit-
to di lezione, di cui il rifacimento permanente è quasi naturale.
Alcuni hanno tentato di spiegare le discrepanze tra l’interpretazione topica dell’en-
timema nel secondo libro ed il suo trattamento sistematico nel primo supponendo la com-
Teorie dell’entimema nell’antichità
19
7
J.A.E. B
ONS
, Reasonable Arguments before Aristotle: The Roots of the Enthymeme, in F.H.
VAN
E
EMEREN
- P. H
OUTLOSSER
(ed.), Dialectic and Rhetoric: The Warp and Woof of Argumentation Analysis,
Amsterdam 2002, pp. 13-27.
8
B
ONS
, art. cit., p. 19.
9
Cf. C. R
APP
, Zur Konsistenz der aristotelischen Rhetorik, in J. K
NAPE
- T. S
CHIRREN
(Hrsg.),
Aristotelische Rhetoriktradition, Stuttgart 2005, pp. 51-71.
10
Cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 1, pp. 178-191; pp. 314-319.
presenza di vari strati genetici. Influenzato dalle trovate degli Analitici, Aristotele avrebbe
sostituito una prima concezione topica con un’analisi piuttosto sillogistica. Purtroppo,
proprio nei capitoli 22 a 25 del libro II si trovano allusioni ad accadimenti degli anni tren-
ta, i quali (tranne che siano intercalazioni posteriori) per contro rivelerebbero questi capi-
toli come tardivi.
11
Dall’altra parte, la fondazione della retorica nella dialettica come espo-
sta nel primo libro sembrerebbe spiritualmente vicina all’opera giovanile dei Topici, ciò che
escluderebbe un qualsiasi rapporto con gli Analitici molto più tardivi. I rimandi agli
Analitici, che si trovano a più riprese nei capoversi del primo libro dedicati all’entimema
da segni, potrebbero senz’altro essere interpolazioni.
12
Non bisognerebbe dunque, come
fanno Solmsen o Burnyeat, dichiarare l’intero passo un’interpolazione posteriore fatta
sotto l’influsso degli Analitici.
13
In breve, le cose sono piuttosto complicate.
Riguardo ad Aristotele, nel suo commentario il Rapp ha definitivamente estirpato
con argomenti convincenti la vetusta questione del syllogismus truncatus. In luogo di essa,
però, ha provocato una nuova controversia, in quanto decisamente basa l’intera concezio-
ne dell’entimema nella Retorica su un fondamento preanalitico e meramente topico nel
senso della dialettica dei Topici e la distacca rigidamente dalla concezione sillogistica degli
Analitici.
14
Con ciò certamente riesce a stabilire l’unitarietà e la consistenza della conce-
zione nella Retorica, rendendo superflua ogni speculazione di datazione o sviluppo.
Certo, nella Retorica, Aristotele definisce l’entimema come «una specie di syllo-
gismós» (sullogismovı tiı, Rhet. I 1, 1355 a 8; cf. I 2, 1356 b 3; 1357 a 16); ciò, però,
come ha dimostrato il Rapp,
15
non deve necessariamente significare il sillogismo svilup-
pato degli Analitici con tre proposizioni e tre termini, in quanto già i Topici – opera defi-
nitivamente preanalitica – conoscono un concetto di syllogismós, che definiscono come
«un discorso in cui, posti alcuni elementi, risulta per necessità, attraverso gli elementi
stabiliti, alcunché di differente da essi» (Top. I 1, 100 a 25-27).
16
Non hanno abbandona-
to questa definizione neanche gli Analitici ( An. pr. I 1, 24 b 18-20). Nella Retorica però
appare leggermente, ma significativamente modificata per l’ammissione di una conse-
guenza solo «nella maggior parte» accanto a quella necessaria (Rhet. I 2, 1356 b 16-18).
Il syllogismós della Retorica come anche dei Topici si spiegherebbe dunque, secon-
do il Rapp, come un semplice argomento deduttivo da premesse ad una conclusione, nel
quale né il numero delle premesse né quello dei termini è determinato in una maniera
qualsiasi.
17
La forza conclusiva del syllogismós (da tradurre come «deduzione» o «argo-
mento deduttivo») consisterebbe esclusivamente in un rapporto topico. Perciò, l’entime-
ma retorico appare come una specie del syllogismós dialettico, differenziato da quello
della dialettica stessa per il suo oggetto (cose che possono comportarsi in un modo o nel-
l’altro e circa le quali a giusto titolo si può consultarsi), e per i suoi destinatari (un pub-
20
Manfred Kraus
11
Cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 1, p. 180.
12
Cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 1, pp. 189-191.
13
F. S
OLMSEN
, Die Entwicklung der aristotelischen Logik und Rhetorik, Berlin 1929, pp. 13-27; M.F.
B
URNYEAT
, Enthymeme: Aristotle on the Logic of Persuasion, in D.J. F
URLEY
- A. N
EHAMAS
(ed.), A ristotle’s
Rhetoric: Philosophical Essays, Princeton 1994, pp. 3-55 alle pp. 31-38.
14
Cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 2, pp. 241-248.
15
Cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 2, pp. 59-67
16
Trad. G. C
OLLI
(a cura di), Aristotele, Organon. Introd., trad. e note, Torino 1955, p. 407.
17
Cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 2, pp. 62-64.
blico poco colto e di intelligenza limitata). È dunque «un syllogismós dialettico nell’uso
retorico».
18
Il numero delle premesse non essendo determinato, nessuna deficienza for-
male (la mancanza di una delle premesse) può essere decisiva. Anche se talvolta Aristotele
consiglia per l’entimema un’elocuzione raccorciata,
19
questo si deve alla virtù retorica
della brevitas come anche alla capacità limitata del pubblico; però non è tratto definito-
rio. Tutt’al più, l’entimema è deficitario in confronto al syllogismós scientifico, dal
momento che non fa inferenze da premesse evidenti o verificate, ma da premesse comu-
nemente ricinosciute, e quindi arriva a conclusioni solo probabili (ma nondimeno accet-
tabili e persuasive). Comunque sia, possiamo constatare che Aristotele basa l’entimema
su una forma logica deduttiva. Vedremo subito che questo non è una cosa ovvia.
Secondo il Rapp, nell’analisi dell’entimema nell’ambito della Retorica potremmo
dunque ignorare l’interpretazione sillogistica dei Primi Analitici. Ciò nonostante vale la
pena comparare brevemente i due brani.
Nella Retorica come anche nei Primi Analitici Aristotele determina come fonti del-
l’entimema da una parte il probabile (eijkovı) e dall’altra i segni o indizi.
20
In quanto all’en-
timema ricavato dal probabile, Aristotele non lo degna di molta considerazione. Nella
Retorica, non ne dà nemmeno un esempio, ed anche negli Analitici l’esempio rimane scar-
so («Gli invidiosi detestano, gli amati amano.»).
21
Si può, però, facilmente intuire che
un’inferenza dedotta da una premessa probabile, anche se lo schema formale della con-
clusione sia impeccabile, potrà tutt’al più trarre una conclusione ugualmente probabile.
È molto più interessante il caso dell’entimema ricavato da segni. Al riguardo, in
ambedue opere Aristotele distingue tre tipi diversi. Nella Retorica, però, li caratterizza
secondo il criterio della necessità o confutabilità delle inferenze e secondo la direzione
dell’inferenza o dal particolare all’universale o dall’universale al particolare, mentre negli
Analitici li attribuisce alle tre figure del sillogismo categorico sviluppate nel frattempo.
Anche se si nega con il Rapp ogni influsso qualsivoglia degli Analitici sulla Retorica, ciò
nonostante a prima vista salta agli occhi la similarità degli esempi citati:
1) Retorica I 2, 1357 b 10-21:
Tipo 1: I sapienti sono giusti, perché Socrate era sapiente e giusto. [cf. sotto 3
a
figura]
Tipo 2: È malato, perché ha la febbre (e sono malati coloro che hanno la febbre). [cf. sotto
1
a
figura]
Ha partorito, perché ha il latte (e hanno partorito coloro che hanno il latte). [cf. sotto 1
a
figura]
Tipo 3: Ha la febbre, perché respira rapidamente (e respirano rapidamente coloro che
hanno la febbre). [cf. sotto 2
a
figura]
22
2) Analitici Primi II 27, 70 a 11-24:
1
a
figura: (Le donne che hanno latte sono gravide); questa donna ha latte; dunque è gravida.
3
a
figura: (Pittaco è sapiente); Pittaco è eccellente; dunque i sapienti sono eccellenti.
2
a
figura: (Le donne gravide sono pallide); questa donna è pallida; dunque è gravida.
23
Teorie dell’entimema nell’antichità
21
18
R
APP
, op. cit. (2002), vol. 2, p. 229; cf. anche pp. 70-71.
19
Cf. per esempio A
RIST
. Rhet. I 2, 1357 a 16-21; II 22, 1395 b 25-27; III 18, 1419 a 18-19; cf.
S
PRUTE
, op. cit., pp. 130-132.
20
A
RIST
. Rhet. I 2, 1357 a 32; An. pr. II 27, 70 a 10.
21
A
RIST
. An. pr. II 27, 70 a 5-6; trad. C
OLLI
, op. cit., p. 270.
22
Trad. secondo M. D
ORATI
(a cura di), Aristotele, Retorica. Introd. di F. M
ONTANARI
, Milano 1996, p. 21.
23
Trad. secondo C
OLLI
, op. cit., p. 271.
Gli esempi sono quasi tutti espressi in modo raccorciato (le aggiunte fra parentesi
sarebbero i supplementi necessari nel sistema analitico-sillogistico). Ciò nonostante ci sono
corrispondenze evidenti. Uno degli esempi del tipo 2 (ossia della prima figura) è quasi
identico, e nel tipo 1 (ossia terza figura) soltanto Socrate è stato sostituito con Pittaco ed il
predicato «giusto» con l’abbastanza simile «eccellente». Le strutture degli esempi del tipo
3 e della seconda figura sono anch’esse chiaramente analoghe. L’Aristotele degli Analitici
dunque si sarebbe ricordato degli esempi della Retorica e li avrebbe reinterpretati in modo
sillogistico? Ma perché avrebbe già nella Retorica inventato precisamente quei tre tipi che
esattamente coincidono con i tre figuri sillogistici? Tutto per caso?
Si ammette che l’ordine è differente, poiché nella Retorica i tipi sono categorizzati
secondo il criterio della direzione dell’inferenza dal particolare all’universale (i due primi
tipi) o inversamente (il terzo). Eccone una lettura in modo topico (secondo i principi del
Rapp) che proporrei io in via sperimentale: si potrebbe dire che nel primo tipo un sogget-
to particolare (Socrate) viene sostituito con (e esteso ad) il suo genere più universale (ope-
razione non ammissibile nel sistema topico, che quindi genera un’inferenza confutabile),
mentre nel secondo tipo il predicato viene esteso da una specie particolare (ad esempio: il
febbricitare) al suo genere universale (la malattia) (operazione ammissibile, che quindi
porta ad un’inferenza necessaria). Nel terzo tipo invece il predicato viene ristretto dal gene-
re universale (respirazione rapida) ad una specie particolare (respirazione febbricitante),
operazione altrettanto poco ammissibile che dunque genera anch’essa un’inferenza confu-
tabile. Penso perciò che sia inutile la proposta di Hermann Weidemann di far cambiare
posto i tipi 2 e 3 per arrivare ad una ripartizione più consistente delle due categorie.
24
Mi
sembra invece che tutto sia perfettamente a posto. Inoltre si deve dire che neanche negli
Analitici le tre figure sono citate nel solito ordine numerico.
Esaminiamo i singoli esempi: il tipo 2 è l’unico tipo che conclude per necessità,
purché le premesse sono vere (ciò che è sempre presupposto negli esempi di Aristotele).
In Aristotele, una tale inferenza cogente si chiama tekmhvrion («prova»). Ne risulta però
un problema, perché così non si configura un argomento probabile, ma un sillogismo vali-
do. Questo era sempre l’argomento principale di coloro che affermavano che l’unico
modello del sillogismo troncato possa stabilire una differenza tra sillogismi ed entimemi.
C’è, comunque, un’altra differenza fondamentale: gli entimemi anche di questo tipo
impiegano termini individuali («questa persona», «questa donna»), ciò che, secondo
Aristotele, non è ammissibile in un sillogismo proprio. L’entimema, però, qua argomento
retorico, è costretto a fare esattamente questo, perché l’oratore sempre mira ad un caso
specifico che richiede una soluzione. A lui, asserzioni generiche non servono a niente.
25
Un tale termine individuale compare anche nel tipo 1 («Socrate» ossia
«Pittaco»). Quando si esamina più da vicino questo tipo di inferenza, si vede che in real-
tà rappresenta quasi perfettamente lo schema di un’inferenza induttiva, e a causa del ter-
mine individuale precisamente nella sua variante retorica secondo Aristotele, cioè a
forma del esempio.
26
Socrate e Pittaco sono esempi che attestano la compresenza rego-
22
Manfred Kraus
24
H. W
EIDEMANN
, Aristoteles über Schlüsse aus Zeichen (‘Rhetorik’ I 2, 1357b1-25), in R. C
LAUSSEN
- R. D
AUBE
-S
CHACKAT
(Hrsg.), Gedankenzeichen: Festschrift für Klaus Oehler, Tübingen 1988, pp. 27-34; cf.
R
APP
, op. cit. (2002), vol. 2, pp. 200-201.
25
Cf. anche S
PRUTE
, op. cit., p. 76.
26
Cf. A
RIST
. Rhet. I 2, 1356 b 12-16.
lare di due predicati e dunque ne suggeriscono una qualsiasi coesione. Eppure, come
dice lo stesso Aristotele, ci sono anche abbastanza esempi contrari.
27
Se infine passiamo al tipo 3, riscontriamo che si tratta di un’esemplificazione
d’un terzo tipo d’inferenza, cioè della cosiddetta abduzione ossia inferenza da un sinto-
mo osservato alla sua sussunzione sotto una regola generale che spiegherebbe il sintomo
come caso speciale. Medichi e giuristi sono pratici di questo tipo d’inferenza. Sanno
bene che è fallibile, anzi fallibilissima, ma anche utilissima per trovare il migliore tratta-
mento per il caso in questione.
Considerati così, i tipi 1 e 3 non visualizzerebbero propriamente deduzioni, ma
induzioni o abduzioni. L’unico tipo 2 rappresenterebbe una vera deduzione. Ciò, però,
quadra precisamente con il fatto che riguardo a quei due tipi Aristotele constata con
qualche imbarazzo che non siano proprio deduttivi (ajsullovgistoi), poiché si trovano
sempre esempi contrari, e che particolarmente il tipo 3 sia il più debole ed incerto di
tutti.
28
Si deve dunque essere accorto del fatto che la natura deduttiva di quei tipi d’in-
ferenza è problematica. Come precisa egli stesso, in queste inferenze, anche se le premes-
se sono valide, le conclusioni sono soltanto probabili (benché affatto plausibili). In quan-
to entimemi, comunque, si comportano come se fossero deduttivi, il tipo 3 traendo con-
clusioni positive (mentre proveranno gli Analitici che nella seconda figura in modo vali-
do si possano trarre soltanto conclusioni negativi), il tipo 1 traendo conclusioni genera-
li da esempi particolari (mentre secondo gli Analitici in questa figura siano ammissibili
soltanto conclusioni particolari).
Una tale analisi dei tipi di entimemi in Retorica I 2 trova un appoggio convincen-
te nel commento altrimenti irritante di Aristotele in Retorica II 25, secondo cui gli enti-
memi scaturiscano da quattro fonti (invece di due, come affermava in I 2): dal probabi-
le, dai tekméria, dai segni e dai esempi.
29
L’entimema ricavato dal probabile corrispon-
derebbe all’entimema dall’ eikós, e quello dal tekmérion all’inferenza da un segno irrefu-
tabile del tipo 2, l’entimema dal segno semplice (shmei~on) al tipo 3, e l’entimema dal
esempio al tipo 1. Non disturba in nessun modo che Aristotele anche dice che l’entime-
ma dall’esempio argomenta in realtà da un caso speciale ad un altro.
30
L’oratore certa-
mente non può arrestarsi all’asserzione generale che gli offre un’induzione, ma poi deve
applicarla deduttivamenta al caso in questione.
31
Come riassunto riteniamo che evidentemente il tentativo di Aristotele di basare
l’entimema retorico interamente su un fondamento deduttivo non in ogni punto si rea-
lizza senza problemi.
4. La Retorica ad Alessandro
Infatti è dovuto ad un punto di vista distorto da millenni di tradizione aristoteliz-
zante che stiamo sempre predisposti a presupporre che un entimema dovrebbe essere
Teorie dell’entimema nell’antichità
23
27
A
RIST
. Rhet. I 2, 1357 b 13-14.
28
A
RIST
. Rhet. I 2, 1357 b 13-25; cf. R
APP
, op. cit. (2002), vol. 2, pp. 204-207.
29
A
RIST
. Rhet. II 25, 1402 b 13-14.
30
A
RIST
. Rhet. II 25, 1402 b 16-18.
31
A
RIST
. Rhet. I 2, 1357b 30-35.
qualcosa come un argomento deduttivo. Nei suoi stessi tempi Aristotele potrebbe presu-
mibilmente essere stato piuttosto isolato con questo approccio. In un’opera praticamen-
te contemporanea alla Retorica di Aristotele come nella cosiddetta Retorica ad Alessandro,
attribuita ad Anassimene di Lampsaco, troviamo un concetto completamente diverso:
Per entimema s’intende tutto quanto è in contrasto non solo col discorso e con
l’agire ma anche con tutti gli altri aspetti. Se ne individueranno in gran numero
svolgendo un’analisi nel modo indicato a proposito della specie oratoria dell’in-
vestigazione, ed osservando se il discorso o le azioni compiute siano in contrasto
con ciò che è giusto o legittimo o utile o onorevole o possibile o facile o verosimi-
le, o con l’indole del locutore o col consueto svolgimento dei fatti. Di questo tipo,
dunque, devono essere gli entimemi da cogliere a danno degli avversarî. Quelli
opposti invece li dobbiamo esporre a nostro vantaggio, mostrando che le nostre
azioni e i nostri discorsi si oppongono a ciò che è ingiusto, illegittimo, dannoso,
ai costumi degli uomini perfidi, e, in breve, a quanto è considerato malvagio.
Ognuno di questi entimemi deve essere addotto nel fraseggio più breve possibile
ed espresso nel modo più succinto possibile.
32
Il rapporto cronologico delle due opere è abbastanza complesso. Secondo Pierre
Chiron la Retorica ad Alessandro forse presupporrebbe un primo abbozzo della Retorica
aristotelica, mentre la versione finale dell’opera aristotelica, in particolare riguardante la
dottrina sui mezzi di persuasione, in cambio già risponderebbe alla Retorica ad
Alessandro, assimilandone ampiamente l’inventario concettuale e terminologico, però
reinterpretandolo ed integrandolo nel suo proprio sistema.
33
Infatti, l’inventario terminologico dei due autori con riferimento ai mezzi di per-
suasione sembra abbastanza parallelo. Ambedue parlano di entimemi, esempi, probabi-
lità, indizi, tekméria. Anche in Anassimene troviamo dunque tutti i termini centrali della
teoria aristotelica dell’entimema. Ci sono, però, grandi differenze nei dettagli.
34
A differenza d’Aristotele, nella sua sezione sugli argomenti Anassimene non ne
presenta una classificazione sistematica, ma soltanto una lista ordinata, nella quale com-
paiono anche l’entimema ed il tekmérion. Eppure definisce l’entimema diversamente
come dimostrazione di una contraddizione o incongruenza fra il discorso e l’agire del-
l’avversario ossia di una contraddizione di essi con gli scopi finali come il giusto, il legit-
timo, l’utile, l’onorevole, il possibile eccetera, ossia, con riferimento a parole ed atti del
oratore stesso, della loro incompatibilità con ogni nozione negativa.
Quest’entimema sostanzialmente aggressivo e confutativo, definito come argo-
mento per contraddizione, è delimitato da una parte dal tekmérion, che anch’esso è defi-
nito tutt’altrimenti come una prova indiziaria, nella quale sulla base di qualche contrad-
dizione all’interno del discorso o fra il discorso e l’agire dell’avversario si desume una
inconsistenza generale della sua argomentazione. Dall’altra parte l’entimema è delimita-
to dalla gnome, in quanto quest’ultima non si basa esclusivamente su contraddizioni:
24
Manfred Kraus
32
Rhet. Alex. 10, 1430 a 23-37; trad. inedita di G. P
ASINI
(con gentile permesso del traduttore).
33
P. C
HIRON
, Relative Dating of the Rhetoric to Alexander and Aristotle’s Rhetoric: A Methodology
and Hypothesis, in Rhetorica 29 (2011) 3, pp. 236-261.
34
Cf. M. K
RAUS
, How to Classify Means of Persuasion: The Rhetoric to Alexander and Aristotle on
Pisteis, in Rhetorica 29 (2011) 3, pp. 263-279.
Inoltre, l’entimema è differente dall’indizio di incoerenza ( tekmérion) per il fatto
che l’indizio di incoerenza è un elemento di contraddizione nel discorso e nel-
l’agire, ma l’entimema comprende anche gli elementi di contraddizione che
riguardano altri aspetti; oppure perché non dipende da noi individuare l’indizio
di incoerenza qualora non esista un contrasto relativo all’agire e ai discorsi, men-
tre è possibile per gli oratori ricavare l’entimema da molti spunti. La differenza
fra le sentenze e gli entimemi consiste nel fatto che gli entimemi s’imperniano solo
sui contrasti, ma è possibile coniare sentenze sia combinandole con contrasti sia
formulandole semplicemente per conto loro.
35
Accanto a ciò, in Anassimene l’entimema (come anche la gnome) ha anche la fun-
zione di concludere un’argomentazione più larga con un finale effetto stilistico brillante.
36
Anche Aristotele, però, sembra conoscere una tale concezione dell’entimema
come argomentazione rifutativa basata su contraddizioni.
37
Si deve dunque presumere che
questa concezione dell’entimema è la più vecchia, e che è Aristotele che introduce radi-
cali novità. Aristotele trasforma l’entimema da un argomento destruttivo e rifutativo in un
argomento costruttivo e deduttivo, reinterpretando le probabilità, indizi e tekméria, che
in Anassimene sono ancora tipi di argomenti autonomi, come sottospecie o fonti di un
tale entimema deduttivo. La più grande trasformazione definitivamente tocca il tekmé-
rion, che da un indizio d’inconsistenza diviene un argomento di segno irrefutabile.
Il fatto che è piuttosto il modello d’Anassimene che rappresenta la concezione
originale e tradizionale si può anche desumere dalla testimonianza più antica del termi-
ne «entimema» (quella che il Bons aveva tralasciata). Nell’Edipo a Colono di Sofocle
(messo in scena postumamente nel 401), nel verso 292 col termine ejnqumhvmata il coro
caratterizza un’argomentazione
38
del vecchio Edipo, con la quale egli ha rimproverato gli
Ateniesi per avere respinto la sua richiesta di asilo in lampante contraddizione con il loro
tradizionale comportamento xenofilo:
A che giova la gloria, a che la bella
fama, quand’ella è falsa? Atene, dicono,
è la piú pia fra le città, capace
solo essa è di salvar l’ospite afflitto,
di tutelarlo solo essa; e per me,
dove andò questo vanto? Ecco, da questi
seggi levare mi faceste, ed ora
via mi scacciate, pel terror del nome
mio solamente.
39
Quindi, le due concezioni contemporanee eppure tanto diverse di Anassimene e di
Aristotele coesistono più o meno isolate l’una dall’altra. A causa della mancanza quasi tota-
Teorie dell’entimema nell’antichità
25
35
Rhet. Alex. 14, 1431 a 28-38; trad. secondo P
ASINI
(con modifiche).
36
Cf. Rhet. Alex. 32, 1439 a 20; 35, 1441 a 19; a 39; b 10-11; 36, 1442 b 38; 1443 a 2; b 41-42.
37
Cf. A
RIST
. Rhet. II 22, 1396 b 22-28; II 23, 1400 a15 e in particolare b 26-33.
38
E. R
OMAGNOLI
(a cura di), Sofocle, Edipo a Colono, Bologna 1936 qui traduce «preghiere»; in un
altro brano più tardi nella medesima tragedia (v. 1199), però, più felicemente rende la stessa parola come
«argomenti».
39
S
OPH
. Oed. Col. 258-265; trad. R
OMAGNOLI
.
le di documenti della tradizione retorica ellenistica è difficile accertare la quale di esse diven-
ne la più influente nel periodo conseguente. La testimonianza della più antica tradizione
romana, però, sembra accennare che infatti la concezione rifutativa fece più grande effetto.
5. La retorica romana
Si deve aspettare il periodo più tardo della tecnografia retorica ciceroniana per
trovare per la prima volta il termine enthymema in un testo latino. Quintiliano, però, ci
avverte del fatto che qualche cosa equiparabile all’entimema era in circolazione sotto il
nome di contrarium. Infatti, nel più antico trattato di retorica romana, nella cosiddetta
Retorica ad Erennio (ca. 85 a.C.), si trova un brano che tratta di questo contrarium, però
non nell’ambito della dottrina dell’argomentazione, ma nel contesto delle figure stilisti-
che, dove il contrarium è definito come «ciò che di due cose diverse conferma brevemen-
te e facilmente l’una colla contraria», e dunque come uno strumento simultaneamente
stilistico ed argomentativo.
Purtroppo, l’autore anonimo non ci dà più di spiegazioni. Invece presenta una
lunga lista di esempi:
- Chi è sempre stato nemico dei suoi interessi, come puoi sperare che sia amico
agli interessi d’altri?
- Perché pensare che possa essere fedele nell’inimicizia, chi hai conosciuto infe-
dele nell’amicizia?
- O come puoi sperare che, giunto al potere, sia trattabile e capace di riconoscere i pro-
pri torti uno che da privato ebbe una intollerabile superbia?
- Come che si tratterà del mentire nell’assemblea uno che mai ha detto la verità
nelle conversazioni e tra amici?
- Temiamo di scontrarci nella pianura con costoro, che abbiamo snidati dalle colline?
- Questi che, quando erano di più, non potevano essere pari a noi, temiamo che
ci superino ora che sono di meno?
40
Il denominatore comune di tutti questi esempi evidentemente è che (come in
Anassimene) si fa vedere una contraddizione nel pensare o agire dell’avversario. Inoltre
attira l’attenzione il fatto che tutti i esempi sono formulate in modo di domande retoriche.
Con questo si può confrontare un passo nei Topici di Cicerone (45 a.C.), nel
quale infine si trova esplicitamente il termine «entimema»:
Quando infine si sia negata la congiunzione di alcune cose e di esse se ne siano
assunte una o più, di guisa che deve essere negato quel che rimane, questo è chia-
mato «terzo modo di dimostrazione». Da questo terzo modo son derivate quelle
conclusioni constanti di opposti che sono proprie dei retori e che essi chiamano
entimemi: […] Di tale specie sono i seguenti versi:
- questo temere, quest’altro non giudicare oggetto di timore?
- colei che di nulla accusi tu la condanni?
26
Manfred Kraus
40
Rhet. Her. 4.25; trad. G. C
ALBOLI
(a cura di), Cornificio, Retorica ad Erennio, trad. it., Bologna 1969,
pp. 84-85.
- colei che ritieni abbia ben meritato tu dici che ha mal meritato?
- ciò che tu sai non giova nulla; ciò che tu non sai danneggia?
41
Cicerone qui spiega l’entimema come la variante retorica di un certo tipo di sil-
logismo della logica proposizionale stoica, il cosiddetto terzo modo «indimostrabile».
42
In questo tipo di sillogismo, dalla negazione di una congiunzione di proposizioni e dal-
l’assunzione di uno di questi elementi, si deduce la negazione dell’altro (formalizzato
come ¬ (p ^ q); p —> ¬ q; esempio tipico: Non simultaneamene è giorno ed è notte; però
è giorno; dunque non è notte). Non dà chiarimenti neanche Cicerone. Anche lui si
accontenta di esempi che prende da una tragedia sconosciuta romana (forse una Medea).
Subito salta agli occhi la conformità di questi esempi con quelli della Retorica ad
Erennio: anche qui la dimostrazione di una contraddizione nel pensare o agire; anche qui
l’espressione in domande retoriche. Inoltre, a differenza dall’esempio tipico della logica
stoica, negli esempi di entrambi autori l’imputata incompatibilità di due proposizioni in
ogni caso si fonda su un rapporto topico.
43
Per esempio, che qualcuno non possa simul-
taneamente essere nemico dei suoi interessi ed amico agli interessi d’altri, non vale per
legge di natura, ma in virtù del topos dal minore al maggiore (dovrebbe infatti esser anco-
ra più nemico degli interessi d’altri).
44
Sembra dunque che si riveli qui un tipo d’entimema generalmente tipico della
retorica romana più antica, un tipo decisamente non ispirato dalla concezione aristoteli-
ca, ma che continuerebbe piuttosto la tradizione originale dell’Anassimene. In effetti, in
quei tempi la Retorica d’Aristotele era poco conosciuta. Neanche la logica categorica ari-
stotelica, che era a base della sua descrizione analitica dell’entimema, a quell’epoca non
era troppo divulgata. Prevalse invece la logica proposizionale stoica, alla quale qui attin-
ge anche Cicerone.
Questo cambio di paradigma verso un approccio stoico nella logica e retorica
potrebbe addirittura essere responsabile della nascita della dottrina del sillogismo tron-
cato, come hanno ipotizzato concordemente Myles Burnyeat e Lawrence D. Green.
45
Infatti, secondo la logica stoica non è ammissibile nessun’imperfezione di conclusività
logica nemmeno in ambito retorico. Ogni imperfezione dell’entimema in rapporto al sil-
logismo deve dunque essere non di contenuto, ma di forma, cioè di forma di raccorcia-
mento o omissione. Esattamente tali raccorciamenti (e variazioni stilistiche come le
domande retoriche) si trovano regolarmente nei esempi di Cicerone come anche dell’Ad
Erennio. Al consolidamento di questa teoria hanno poi particolarmente contributi i com-
mentatori greci d’Aristotele (soprattutto Alessandro d’Afrodisia).
46
Teorie dell’entimema nell’antichità
27
41
C
IC
. Top. 54-55; trad. M. B
ALDASSARRI
(a cura di), Cicerone, Testi dal Lucullus, dal De fato, dai
Topica, con introd. e trad. commentata, Como 1985, pp. 57-59.
42
Cf. B. M
ATES
, Stoic Logic, Berkeley e Los Angeles 1953, pp. 67-74; M. F
REDE
, Die stoische Logik,
Göttingen 1974, pp. 127-167; S. B
OBZIEN
, Stoic Syllogistic, in OSAPh 14 (1996), pp. 133-192 alle pp. 134-141
43
Cf. M. K
RAUS
, From Figure to Argument: Contrarium in Roman Rhetoric, in Argumentation 21
(2007), pp. 3-19.
44
Cf. A
RIST
. Rhet. II 23, 1397 b 14-17.
45
Cf. B
URNYEAT
, art. cit., pp. 44-46; L.D. G
REEN
, Aristotle’s Enthymeme and the Imperfect Syllogism,
in W.B. H
ORNER
- M. L
EFF
(ed.), Rhetoric and Pedagogy: Its History, Philosophy, and Practice: Essays in Honor
of James J. Murphy, Mahwah, NJ 1995, pp. 27-32.
46
Cf. G. P
ATZIG
, Die aristotelische Syllogistik, Göttingen 19693, pp. 80-81.
6. Sviluppi di epoca imperiale
Già poco dopo Cicerone, tuttavia, si osserva nei retori dell’epoca imperiale anche
una rinascita della concezione aristotelica. A causa di varie incompatibilità delle diverse
teorie, in molti autori ne risulta una disperata confusione di interpretazioni o un pastic-
cio di teorie poco armonizzate.
47
Un esempio molto tipico dal tardo primo secolo d.C. ci dà nessun altro che
Quintiliano, il cui capitolo sull’entimema a questo riguardo non lascia niente a desiderare:
In effetti l’entimema (che noi possiamo pur tradurre come commentum o com-
mentatio, poiché non si può altrimenti, ma sarà meglio usare la parla greca) ha un
primo senso in cui significa «tutto ciò che viene concepito dalla mente» (ora però
non parliamo di questo), un secondo, in cui significa «proposizione dotata di una
ragione», e un terzo in cui significa «determinata conclusione di una prova di
ragionamento, raggiunta sulla base di elementi conseguenti o contrari», benché
intorno a questo si riscontri poco accordo. C’è infatti chi la conclusione sulla base
di conseguenti la chiama epichirema, e si potrebbe trovare che la maggior parte
degli studiosi è convinta a voler accogliere come entimema solo quello che con-
sta dei contrari; perciò, Cornificio lo chiama contrarium. Altri lo hanno chiamato
sillogismo retorico, altri sillogismo imperfetto, poiché consterebbe di parti non
ben distinte né di numero uguale a quelle del sillogismo regolare; ma tanta preci-
sione non viene certo chiesta a un oratore.
48
Evidentemente, Quintiliano conosce il significato originale di enthymema come
«pensiero» o «considerazione», ma non trova un termine latino adequato per esprimer-
lo. Poi presenta una sobria giustapposizione dell’entimema deduttivo di consequenza e
dell’entimema rifutativo di contraddizione, ma non manca di aggiungere che in realtà
solo quest’ultimo a giusto titolo rivendicherebbe il nome «entimema». Che ciò allude
all’entimema-contrarium della Retorica ad Erennio e di Cicerone, si può vedere dalla cita-
zione esplicita di questa parola chiave. Però non è assente neanche il riferimento alla teo-
ria dell’entimema come sillogismo formalmente incompleto, ciò che attesta il fatto che
all’epoca questa teoria era già conosciuta.
Altri autori greci e latini del periodo confermano il reperto in Quintiliano, in quan-
to stereotipicamente contrappongono un entimema «deittico» (dimostrativo) ed un enti-
mema «elenctico» (refutativo).
49
In alcuni autori, però, come nell’Anonimo Segueriano o
in Apsine, già riemerge più marcatamente anche la concezione originale aristotelica.
50
Come esempio tipico per i manuali greci di retorica della tarda antichità possiamo
infine citare il trattato De inventione datato agli anni circa 200 e erroneamente attribuito al
retore Ermogene. A ciò che in questo trattato si chiama entimema è assegnata una funzio-
ne molto particolare nella costruzione di aggregati argomentativi più larghi e complessi:
28
Manfred Kraus
47
Cf. K
RAUS
, Enthymem, in G. U
EDING
(Hrsg.), Historisches Wörterbuch der Rhetorik, vol. 2,
Tübingen 1994, pp. 1197-1222 alle pp. 1208-1209.
48
Q
UINT
. Inst. Or. 5.10.1-3; trad. S. C
ORSI
, Marco Fabio Quintiliano, La formazione dell’oratore, trad.
e note di S. C
ORSI
(libri V-VI) e di C.M. C
ALCANTE
(libri VII-VIII), Milano 1997, vol. 2, p. 811.
49
Cf. K
RAUS
, art. cit. (1994), p. 1209.
50
Cf. Anonyme de Séguier, Art du discours politique, Texte établi et traduit par M. P
ATILLON
, Paris
2005, §§ 146 e 157; Apsinès. Texte établi et traduit par M. P
ATILLON
, Paris 2001, cap. 8.
L’entimema gode della riputazione di particolare acutezza [...]. Per confutare una
tesi proposta bisogna prima dare un’obiezione o un controargomento, e poi con-
fermarli per mezzo di un epichirema che risale alle circostanze speciali, poi ela-
borarlo nello stesso modo come abbiamo detto che si debba fare l’elaborazione
di un epichirema, ed alla fine aggiungere all’elaborazione un entimema.
51
Una tesi proposta dall’avversario prima è ribattuta con una tesi contraria, la quale
poi si conferma per mezzo di un epichirema (argomento causale) efficiente.
Quest’ultimo è poi elaborato con vari altri argomenti, per essere alla fine coronato da un
entimema accentuato, a volte anche da un cosiddetto epentimema, che ambedue essen-
zialmente consistono nell’accentuazione enfatica di un’antitesi. Tutto ciò è chiaramente
messo in luce dall’esempio che dà il Pseudo-Ermogene:
Tesi: «È difficile scavare un canale attraverso il Chersoneso.» – Confutazione per
mezzo di obiezione: «Non è affatto difficile scavare.» – Epichirema: «Infatti scave-
remo attraverso la terra; sarà un gioco da bambini.» – Elaborazione per mezzo di
esempio: «Anche il re dei persiani, per forza, scavò un canale attraverso il Monte
Athos.» – Entimema: «Lui scavò la montagna, noi scaveremo la terra.» – [...]
Epentimema (facoltativo) dal motivo: «Lui lo fece per ribadire il suo predominio,
noi invece per non lasciarci maltrattare per repressione.»
52
Questo procedimento ha un nucleo ovviamente dialettico, però esibisce anche
elementi di amplificazione retorica. Comunque, anche la concezione dello Pseudo-
Ermogene è basata sull’accentuazione di una contrarietà o antitesi; anch’essa vede la fun-
zione principale dell’entimema come argomento rifutativo. Inoltre, esattamente come la
Retorica ad Alessandro cinquecento anni prima, attribuisce all’entimema la funzione di
concludere una larga sequenza di argomentazione con una coda concisa e acutamente
accentuata. Riemergono qui tradizioni a lungo termine, tradizioni che continuamente
rimasero presenti in maniera subliminale accanto alla teoria deduttiva aristotelica. Si
vede come la tradizione di un entimema basato su contraddizioni e contrarietà, attesta-
to dai tempi di Anassimene, continuò a esistere fino all’antichità più tarda.
La concezione aristotelica, dall’altra parte, dal suo rinascimento all’epoca impe-
riale, si associa sempre più strettamente con l’idea del sillogismo troncato, che con l’au-
torità dei commentatori di Aristotele si trova trasmessa presso molti autori.
53
Boezio,
Cassiodoro ed Isidoro di Siviglia trasmettono la tesi del syllogismus imperfectus al
medioevo latino,
54
e a partire dall’emersione della logica nova aristotelica (cioè degli
Analitici) nel secolo XII, la formula che da una glossa marginale si era infiltrata nel testo
degli Analitici, cioè che l’entimema sia un sillogismo «incompleto» (sullogismo;ı
ajtelhvı
), non si potrà più estirpare dalle interpretazioni. Anzi, appoggiata sul nome
autorevole del «filosofo», questa teoria del raccorciamento d’un sillogismo di una delle
premesse prevalse su ciascun’altra teoria più originale, sia la teoria rifutativa di
Anassimene, sia la teoria deduttiva di Aristotele.
Teorie dell’entimema nell’antichità
29
51
P
S
.-H
ERMOG
. Inv. 3.8; trad. M. K
RAUS
.
52
P
S
.-H
ERMOG
. Inv. 3.8-9; trad. M. K
RAUS
.
53
Cf. K
RAUS
, art. cit. (1994), p. 1209.
54
Cf. K
RAUS
, art. cit. (1994), p. 1210.
7. Conclusione
Come risultato si può ritenere che nell’antichità la teoria deduttiva aristotelica
dell’entimema non era l’unica teoria, tanto meno la teoria corrente o autorevole.
Nell’ambito della sua propria epoca, apparve piuttosto come teoria eccezionale e inno-
vativa, che nel corso dei secoli pure era in pericolo di cadere nell’oblio. Solo nel medioe-
vo e nell’età moderna avanzò alla posizione di teoria quasi unicamente nota e respinse
nell’oscurità la teoria rifutativa. Deve al illustre nome di Aristotele il suo grande succes-
so, che acquistò, però, al prezzo dell’appendice illegitima del sillogismo troncato.
A
BSTRACT
Aristotle’s deductivist concept of the enthymeme (much less so its later interpretation as
a truncated syllogism), although prevalent nowadays, appears not to be representative of ancient
rhetoric as a whole. The earliest, pre-Aristotelian meaning of ‘enthymema’ is ‘thought’ or ‘consid-
eration’, referring to the propositional content of an argument. Aristotle’s own reconstruction of
the enthymeme as a deductive argument (be it topical or syllogistic) from probable premises
seems rather a peculiar innovation. For contemporaneously the Rhetoric to Alexander presents a
different (most probably more traditional) concept of the enthymeme as a confutative argument
based on some manifest contradiction. It is rather this latter concept that is reflected also in
Roman rhetoricians such as the Auctor ad Herennium or Cicero, and in late ancient sources,
whereas Quintilian, as early imperial rhetoric in general, appears to be familiar with both inter-
pretations.
Das deduktive Enthymemkonzept des Aristoteles (geschweige denn dessen spätere
Deutung im Sinne eines verkürzten Syllogismus), obgleich heute nahezu ausschließlich bekannt,
ist offenbar nicht repräsentativ für die antike Rhetorik insgesamt. Als früheste, voraristotelische
Bedeutung von ‘enthymema’ erweist sich ‘Gedanke’ oder ‘Überlegung’, bezogen auf den propo-
sitionalen Inhalt eines Arguments. Die Konzeption des Aristoteles, die das Enthymem als (sei es
topische oder syllogistische) deduktive Schlußfolgerung aus wahrscheinlichen Prämissen deutet,
erscheint eher als spezifische Neuerung. Denn die gleichzeitige Rhetorik an Alexander bietet ein
abweichendes, vermutlich älteres Verständnis des Enthymems als eines refutativen Arguments
mittels Aufzeigung eines Widerspruchs. Dies letztere Konzept begegnet auch in der römischen
Rhetorik, etwa beim Auctor ad Herennium oder Cicero, und in spätantiken Quellen. Quintilian
wie überhaupt die frühkaiserzeitliche Rhetorik scheint mit beiden Konzeptionen vertraut.
K
EYWORDS
: contradiction, deduction, enthymeme, syllogism, refutation.
30
Manfred Kraus
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