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Infine CI. 5, 4, 23, 6 stabilisce che una donna nata da una scaenica che
abbia continuato a svolgere la professione fino alla morte può comunque
contrarre matrimonio, per rescriptum principis, con uomini con cui prima le
era impedito di sposarsi.
CI. 5, 4, 23, 6 Sed et si a scaenica matre procreata, quae usque ad mortem
sua in eadem professione duravit, post eius obitum preces imperatoriae
clementiae obtulerit et divinam indulgentiam meruerit liberationem
maternae iniuriae et nubendi licentiam sibi condonantem, istam quoque
posse sine metu priorum legum in matrimonio illis copulari, qui dudum
scaenicae filiam uxorem ducere prohibebantur. [a. 520-523] (
23
).
3. Cenni alla regolamentazione pregiustinianea del prossenetismo
A questo punto della trattazione si rivela necessario precisare quale
significato venga attribuito al termine “lenocinium” nel corso
dell’evoluzione del diritto romano: se nella legislazione giustinianea degli
anni 533-534 questo crimine ha le caratteristiche dello sfruttamento della
prostituzione, va detto che si tratta pur sempre di un’accezione
relativamente recente, databile all’epoca tardoclassica; infatti in diritto
classico, come confermano i giuristi di età severiana, al termine lenocinium
era attribuito un significato alquanto diverso.
Sotto questo nome rientravano singole fattispecie criminose,
contemplate per lo più come favoreggiamento o complicità in adulterio
e
sottoposte al trattamento stabilito dalla lex Iulia de adulteriis per le unioni
sessuali illecite: la pena prevista per il crimen lenocinii era infatti la relegatio
in insulam, come per l’adulterio (
24
).
(
23
) Per i paragrafi 7 e 7a di CI. 5, 4, 23 si veda capitolo II, paragrafo 1.
(
24
) F.
G
ORIA
, Ricerche su impedimento da adulterio e obbligo di ripudio da Giustiniano a Leone
VI, II, “Lenocinium mariti”, adulterio e relativo impedimento nel diritto bizantino fra Giustiniano
e Leone VI, in SDHI, XXXIX, 1973, pp. 333-384, precisa che il diritto della Compilazione
non solo punisce qualsiasi forma di guadagno ricavato dall’adulterio della moglie, ma
130
In via esemplificativa, incorrevano nel reato di lenocinio il marito o
la moglie che avessero ricavato un guadagno dall’adulterio dell’altro
coniuge,
l’uomo che non avesse ripudiato la propria moglie colta in
flagrante adulterio nei termini fissati dalla lex Iulia (redemptio adulterii) o
avesse patteggiato per mettere a tacere il delitto
e così via
(
25
). Giustiniano
fa esplicito riferimento alla fattispecie di lenocinium mariti in Nov. 117, 9, 3
del
542, disponendo che una donna può legittimamente divorziare dal
marito se costui, tendendo insidie alla sua castità, abbia cercato di
spingerla all’adulterio con altri uomini: potest marito ab uxore mitti repudium
(…) si maritus uxoris castitati insidiatus aliis eam adulteram temptaverit tradere.
obbliga anche al divorzio, sotto pena di condanna criminale, il marito che abbia colto sul
fatto la consorte infedele o comunque abbia avuto una prova irrefutabile dell’adulterio.
Nelle Novelle Giustiniano apporta alcune modifiche a questa materia: Nov. 117, 8, 2 vieta
al marito il divorzio per adulterio fino a che non abbia ottenuto una condanna penale
della moglie colpevole e lo sottopone alle stesse sanzioni (pecuniarie e corporali) previste
per l’adultera nel caso non sia riuscito a fornire prova certa del crimine (Nov. 117, 9, 4);
con Nov. 134, 10 si consente al marito di riprendere la convivenza matrimoniale con la
moglie entro due anni dalla di lei condanna per adulterio, senza incorrere nella pena per
lenocinio prevista dalla lex Iulia: questa disposizione riflette il desiderio di Giustiniano di
favorire la riconciliazione del marito con la moglie adultera.
(
25
) Si riportano in nota alcuni passi del Digesto estremamente significativi. A proposito
di lenocinium mariti: D. 48, 5, 2, 2 (Ulp. 8 disp.): Lenocinii quidem crimen lege iulia de adulteris
praescriptum est, cum sit in eum maritum poena statuta, qui de adulterio uxoris suae quid ceperit,
item in eum, qui in adulterio deprehensam retinuerit. Sul lenocinium mulieris: D. 48, 5, 34, 2
(Marcian. 1 de publ. iudic.): Si uxor ex adulterio viri praemium acceperit, lege iulia quasi adultera
tenetur. Sullo sfruttamento premeditato, da parte del marito, delle relazioni adulterine
della moglie: D. 48, 5, 30, 3 (Ulp. 4 de adult.): Qui quaestum ex adulterio uxoris suae facerit,
plectitur: nec enim mediocriter deliquit, qui lenocinium in uxore exercuit; nonché D. 48, 5, 11, 1
(Pap. 2 de adult.): Mulieres quoque hoc capite legis, quod domum praebuerunt vel pro comperto
stupro aliquid acceperunt, tenentur. Sul marito che continua a tenere con sé la moglie colta
in flagrante adulterio, in spregio alla lex Iulia: D. 48, 5, 30, pr. (Ulp. 4 de adult.): Mariti
lenocinium lex coercuit, qui deprehensam uxorem in adulterio retinuit adulterumque dimisit:
debuit enim uxori quoque irasci, quae matrimonium eius violavit. tunc autem puniendus est
maritus, cum excusare ignorantiam suam non potest vel adumbrare patientiam praetextu
incredibilitatis: idcirco enim lex ita locuta est “adulterum in domo deprehensum dimiserit”, quod
voluerit in ipsa turpitudine prehendentem maritum coercere.
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