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Libero, anzi occupato.

Mentre i giornali normali sprecano spazio per notiziole come la guerra in Libano o lo scandalo Sismi, Littorio Feltri riserva ai lettori del suo giornale, curiosamente denominato “Libero”, uno scoop sensazionale: «Se Montanelli fosse vivo, lavorerebbe a Libero». Questa sì che è una notizia. Anzi, una doppia notizia. 1) Il principe del giornalismo, scomparso cinque anni fa, oggi scriverebbe sul quotidiano diretto da colui che nel ’94 balzò sulla poltrona del Giornale che aveva fondato e diretto per vent’anni e da cui era stato appena cacciato a pedate da Berlusconi perché ¬ spiegò - «non voglio ridurmi a trombetta di un editore in fregola di avventure politiche».
2) Sebbene Montanelli sia in Paradiso dal 2001, Feltri è riuscito a comunicare con lui e a strappargli la clamorosa confidenza. Magari con l’ausilio del Sismi e dell’agente Betulla, al secolo Renato Farina, che di Libero è ancora vicedirettore, nei ritagli di tempo fra la terza e la quarta guerra mondiale, anche se usava pubblicare i dossier-bufala dei servizi dai quali incassava un secondo stipendio. Ci sarebbe poi una terza notizia: Feltri ha una faccia di bronzo da competizione. Ma questa non è una notizia: la sanno tutti.
Nel ’74 Montanelli fonda il Giornale Nuovo, ma si guarda bene dall’assumere Feltri. Nel ’94, fra l’uscita dal Giornale e la nascita della Voce, manda articoli alla Stampa, al Corriere e persino all’Unità: mai la sua firma comparirà su un giornale di Feltri (Europeo, Indipendente, Giorno, Borghese, Libero). Che cosa pensa di Feltri, Montanelli lo dichiara al Corriere il 12.4. 95: «Il suo Giornale confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!». Perché mai, se pensava così da vivo, avrebbe cambiato idea da morto?
Nell’aprile ’93 Berlusconi annuncia a Montanelli che scenderà in campo e pretende il sostegno del Giornale. Montanelli rifiuta. Allora il Cavaliere comincia a trafficare per sostituirlo. Tenta di imporgli Feltri come condirettore, prepensionando Federico Orlando. Montanelli rifiuta. Allora Berlusconi decide di liberarsi anche di lui e si accorda segretamente con Feltri, che in estate lo confida a Massimo Fini e gli chiede di seguirlo. Fini rifiuta.
Quel che accade tre mesi dopo, nel gennaio ’94, lo racconta per l’ennesima volta Montanelli nel marzo 2001 al Raggio Verde di Michele Santoro. Feltri gli ha appena dato del voltagabbana. Il vecchio Indro, già malato, telefona in diretta per sbugiardarlo: «Voglio ringraziare Travaglio, il quale ha detto l’assoluta e pura verità. Debbo manifestare una certa sorpresa per quel che ha detto Feltri, il quale sa come andarono le cose. Dice che la mia condotta verso Berlusconi è stata ambigua. Gli rispondo che io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò il Giornale, e noi fummo felici di venderglielo su questo patto: “Tu, Berlusconi, sei il proprietario del Giornale; io, direttore, sono il padrone del Giornale, la linea politica dipende solo da me”.
Questo fu il patto fra noi due. Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, cercai di dissuaderlo. Ma tutto fu inutile. Mi disse: “Da oggi il Giornale deve fare la politica della mia politica”.Gli dissi: “Non ci pensare nemmeno”. Allora lui, nella maniera più volgare e più scorretta, riunì la redazione a mia totale insaputa, come ha raccontato Travaglio, e disse: “D’ora in poi il Giornale farà la politica della mia politica”. A quel punto me ne andai. Cosa dovevo fare? Se questo sembra a Feltri un modo di procedere democratico e civile,è affar suo. Io lo trovo di una volgarità e di una prepotenza … una segnalazione di certe tendenze che animano il Berlusconi politico che mi sgomentano».
Sul momento Feltri balbetta alcuni monosillabi, poi l’indomani gli spara addosso su Libero, con titoli del tipo: «Santoro getta in campo anche Montanelli», «Santoro arruola pure Montanelli»,«La commedia di Montanelli. Il giornalista e il Cavaliere: ecco chi davvero ha voltato gabbana». Insomma Feltri, noto voltagabbana, tratta Montanelli da vecchio rimbambito e spiega di non avergli replicato in tv perché «non è elegante polemizzare con un anziano». Oggi, confidando nell’amnesia generale, racconta che Montanelli scriverebbe su Libero. Come no: pur di affidare i suoi pezzi al vaglio di Betulla, sarebbe capace di resuscitare. - di Marco Travaglio 22.7.2006




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Regione Piemonte: la giunta regolamenta l’attività degli informatori farmaceutici.

18.7.2006 - Nuove regole per l’attività degli informatori farmaceutici all’interno del servizio sanitario piemontese. Su proposta dell’assessore Mario Valpreda, la giunta regionale del Piemonte ha infatti approvato un documento teso a disciplinare tempi e modi del loro accesso all’interno degli ospedali e degli studi dei medici di famiglia, secondo quanto previsto dalle norme nazionali.
Innanzitutto, non sarà più ammessa la presenza degli informatori nei reparti di ricovero e di degenza e negli ambulatori specialistici. Gli incontri potranno avvenire solo mediante visite individuali o collegiali, comunque fissate su appuntamento, in orari e luoghi stabiliti da ciascuna azienda sanitaria, cui spetterà anche la vigilanza sul corretto svolgimento dell’attività, nonché la raccolta e la diffusione di informazioni scientifiche di confronto provenienti da fonti indipendenti.
Ai rappresentanti delle case farmaceutiche, inoltre, non sarà più consentito incontrare i medici di famiglia durante l’orario di visita dei pazienti. Ciascun medico dovrà prevedere dei momenti ad hoc da riservare agli informatori scientifici, che andranno comunicati all’azienda sanitaria locale di competenza, nonché resi noti al pubblico attraverso un cartello esposto nel proprio studio.
Infine, tutte le aziende farmaceutiche che intendono svolgere attività di informazione scientifica sul territorio regionale dovranno trasmettere al Settore assistenza farmaceutica dell’Assessorato l’elenco dei propri incaricati, certificando il possesso da parte di questi ultimi dei requisiti di legge per svolgere la professione. A loro volta, i rappresentanti dovranno essere tutti muniti di tesserino di riconoscimento con fotografia, che riporti nome e cognome, codice fiscale, logo e codice identificativo della ditta per cui lavorano, area terapeutica e aziende territoriali di riferimento.




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Viva Berlusconi.

Questo è un elogio spassionato del Cavalier Bellachioma. Se, dopo dodici anni di berlusconismo, il ministro della Giustizia del presunto "dopo-Berlusconi" si complimenta con lui perchè l'ha fatta franca un'altra volta nello scandalo Calciopoli, non rimane che arrendersi e riconoscere che ha ragione lui.

Ha vinto con un sistema talmente banale, ripetitivo e monotono da diventare noioso: il sistema di delegare le porcate agli altri, evitando di sporcarsi le mani. La tecnica del prestanome, della testa di legno, dello scudo umano. Che poi è la professione più diffusa sul mercato del lavoro, almeno in Italia.

Dapprincipio i prestanomi li pescava in famiglia: il fratello Paolo, lo zio Luigi Foscale, il cugino Giancarlo Foscale. Senza contare i figli di primo e secondo letto, sulle cui teste giurò per anni, esponendoli a pericoli indicibili. Mancavano solo le zie suore, riottose a certe incombenze. Poi l'offerta di parafulmini si allargò.

Ultimamente è saltato fuori il prestanome di ultima generazione, Leonardo Meani, che si divideva fra la professione di ristoratore e quella, decisamente più avvincente, di dirigente occulto del Milan addetto agli arbitri e (essendo questi quasi tutti occupati con Moggi) ai guardalinee. Ma senza incarichi ufficiali. Dietro le quinte. Nel suo stipendio era tutto compreso, anche la rinuncia alla faccia, alla dignità, a un minimo di autostima.

Lo si è visto al processo dell'Olimpico, dove l'avvocato rossonero De Luca lo ha letteralmente polverizzato dinanzi ai giudici: più lo insultava, lo scherniva, lo vetrificava, più Meani - seduto lì accanto - annuiva con la faccia mogia e con le labbra curvate all'ingiù. "Ma guardatelo, ma l'avete visto bene? Ma vi pare che uno così potesse contare qualcosa? Ma questo è un millantatore, un chiacchierone, uno che parla tanto e conclude nulla". E lui, il destinatario di cotanti complimenti, faceva di sì col testolone e all'uscita commentava con la stampa tutto giulivo: "mi pare che siamo andati bene".

Mutatis mutandis, la sua funzione al Milan era quella di Suslov al Cremlino ai tempi di Stalin: quando il baffone era nervoso, lo convocava in  ufficio e gli scaricava una raffica di calci nel sedere, finchè non si era sfogato. Qualcuno potrà domandarsi come possa funzionare, dinanzi ad una cosa seria quale dovrebbe essere la Giustizia, un giochetto talmente miserevole, invece funziona eccome. Beata ingenuità: funziona eccome, almeno quando c'è di mezzo Bellachioma.

Corruzione Fininvest della Guardia di Finanza: le tangenti c'erano eccome, tre versamenti da 100 milioni di lire da altrettante società del gruppo. Berlusconi però viene assolto (insufficienza di prove): unico condannato Salvatore Sciascia, capo dei servizi fiscali della holding, lui stesso ex finanziere. Nono solo pagava all'insaputa dei superiori, ma pare che addirittura si autotassasse dal suo magro stipendio (a 100 milioni a botta) pur di non disturbare il cavaliere con fastidiose richieste di denaro. Il tutto non per proteggere se stesso, ma il Cavaliere dalle verifiche fiscali. Quando si dice la dedizione.

Depistaggio sulle indagini Guardia di Finanza per tappare la bocca ai finanzieri corrotti: se ne occupa l'avvocato Fininvest Massimo Maria Berruti, previa visita a Berlusconi a Palazzo Chigi. Berruti condannato per favoreggiamento a Berlusconi, mentre il favoreggiato, Berlusconi, viene assolto: evidentemente quella sera, a Palazzo Chigi, si parlò di giardinaggio.

Fondi neri per l'acquisto della Medusa Cinema: 10 miliardi di lire finiti sui libretti al portatore della famiglia Berlusconi, tutto provato. Ma Berlusconi è assolto in appello per insufficienza di prove: viene condannato il manager Carlo Bernasconi, perchè Silvio è così ricco che potrebbe anche non essersi reso conto che il suo collaboratore gli aveva versato 10 miliardi in nero: "La molteplicità dei libretti riconducibili alla famiglia Berlusconi - scrivono i giudici, molto spiritosi - e le notorie rilevanti dimensioni del patrimonio di Berlusconi postulano l'impossibilità di conoscenza sia dell'incremento sia soprattutto dell'origine dello stesso". Molto credibile, no?

Corruzione dei giudici che poi davano ragione a Berlusconi facendogli guadagnare centinaia di miliardi. Previti condannato per aver pagato giudici con soldi Fininvest. Berlusconi in parte prescritto per le sue "attuali condizioni di vita sociale e individuale", in parte assolto. Anche Previti, che diamine, prendeva iniziative all'insaputa del capo (e per giunta, con i soldi del capo). Un po' come Leonardo Meani. Vatti a fidare degli amici. - 18.7.2006 di Marco Travaglio






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IMBROGLIARE LE LEGGI intervento di Rodolfo Roselli su Radio Gamma 5 del 19.7.2006

Se ancora ce ne fosse bisogno, la prova incontestabile che in Italia le leggi non sono eguali per tutti, è la diffusa abitudine di concedere e richiedere privilegi per gruppi ristretti di persone e, quindi, creando le categorie di cittadini di serie A e di serie B.

Fatta una legge, che dovrebbe essere valida per tutti,tutte le scuse sono buone per aggirarla e, se necessario, per modificarla a misura delle necessità e dei desideri di singole persone.

Le leggi che fa il Parlamento, sono una cosa, le leggi effettive che si applicano, sono quelle che ognuno riesce a farsi da sé.

Gli attuali partiti sono i costruttori di questa illegalità diffusa, che mortifica ogni velleità di rispettare la sovranità popolare, esiste solo la sovranità dei partiti.Questi partiti, che non hanno né valore costituzionale e neppure giuridico, pretendono invece che gli elettori firmino,con il loro voto, una cambiale in bianco, ei avere il monopolio dell’attività politica.

Per fare politica il popolo non ha bisogno dei partiti, perché senza complicate architetture costituzionali, basta portare il potere decisionale sempre più in basso, sino ai gruppi familiari, fino alle comunità locali. Questo è esattamente il contrario di quello che oggi avviene, oggi il potere decisionale è spostato all’interno delle segreterie, ove avvengono i compromessi che servono loro, per mantenere il potere. Compromessi fatti non per il bene della comunità, ma a beneficio d’interessi particolari che, fatalmente, si trasformano in privilegi.

Questo ripugnante modo di fare politica, non solo è totalmente antidemocratico, ma avvelena i rapporti reciproci, perché l’avversario, che minaccia il potere personale,non è un individuo con il quale sia possibile una serena discussione su proposte ed idee, ma un individuo da odiare e, se possibile da eliminare, anche ricorrendo alla violazione della sua privacy.

La democrazia non è stata mai figlia di sanguinose rivoluzioni o conflitti, i principi liberali o socialisti sono strumenti utili per coagulare genti lontane per cultura, storia e religione. Le rivoluzioni o le guerre, dette di liberazione, con le atrocità comunque connesse, sono semplicemente servite a sostituire interessi particolari con altri interessi particolari, insomma a cambiare destinazione dei privilegi particolari. I principi liberali e socialisti fanno parte del corredo genetico delle nostre genti, non dei partiti attuali.

Basta rileggere uno dei tanti statuti medioevali delle nostre comunità per accorgersi che questi erano indirizzati ad assicurare il benessere comune, e non a sancire astratti principi, permettevano la salvaguardia dei più deboli nei confronti dei poteri forti.

Principi che ritroviamo ancora più indietro nel tempo, negli antichi centri rurali dove,l’organizzazione cittadina romana, non pretendeva di cancellare la precedente base etnica e gli antichi costumi.

Basti pensare che il verdetto riportato nella lamina bronzea di Polcevera del 117 a.C., rinvenuta vicino a Genova, ci ha fatto sapere che i legati liguri, eletti dalle tribù, e inviati a Roma per trattare una contesa, non avevano alcun potere decisionale ma si limitavano a riportare quanto ascoltato, ai rispettivi consigli, ove lì, e solo lì, sarebbero state prese le decisioni.

La prova che, del bene della comunità, i partiti se ne infischiano, è data dallo scontro che da anni si verifica sulla previdenza. La battaglia politica non riguarda la riforma di regole generali, ma la difesa, da parte di ciascun partito, dei privilegi elargiti a determinate categorie di loro elettori , ogni volta che un gruppo di partiti è stato al governo.

In questo modo i pensionati sono stati forzosamente divisi in quattro classi. E parlo di classi non a caso, in quanto queste sono entità da utilizzare una contro l’altra per la consueta lotta di classe..

Quelli del nord, più precisamente le pensioni d’anzianità, cioè circa 4,3 milioni di persone, che beneficiano di privilegi concessi a differenti categorie, giocando sugli anni minimi d’anzianità necessari.

Quelli del sud, con le pensioni d’invalidità, circa 3,5 milioni di persone, che godono di altri privilegi, non solo perché queste pensioni sostituiscono, in modo permanente i sussidi di disoccupazione, disincentivando la ricerca di nuova occupazione, ma anche perché i privilegiati dipendono da commissioni mediche e giudici locali, che usano direttamente io indirettamente i loro giudizi come strumenti elettorali personali.

Quelli che, nel 1995, con la riforma Dini, avevano maturato 18 anni d’anzianità, favoriti dal calcolo della pensione su base retributiva, come un rilevante privilegio rispetto si giovani, le pensioni dei quali saranno misurate in modo diverso.

E infine rimane fuori la classe dei giovani che si affacciano oggi sul mercato, che pagheranno il mantenimento delle precedenti classi privilegiate dai partiti, sia in quanto riceveranno una pensione più bassa, sia perché dovranno pagare più tasse, proprio per pagare le pensioni delle tre precedenti categorie.

Così i partiti salvano i privilegi a danno della logica, e creano distorsioni illegali di ogni genere.

Ma chi contribuisce in modo indiscutibile alla difesa di tutti i privilegi è proprio il comportamento del Parlamento. Questo dovrebbe servire per limitare le spese dello stato, e invece è diventato esso stesso una fonte per incrementare le spese statali, anch’esso spende e spande secondo logiche clientelari, definite al chiuso delle segreterie dei partiti, e mai in aula. Una delle leggi di Bilancio, che partita con 46 articoli, passando alla Camera è diventata di 68 articoli, e arrivata al Senato diventa di 95 articoli dei quali 75 modificati e 20 nuovi di zecca, costituendo un pasticcio utile solo a spremere quattrini dalle tasche del popolo per riversarli ai privilegiati.

E il dibattito in Parlamento su questa legge diviene una farsesca commedia, recitata sapendo che la discussione è già priva di ogni utilità, che sono totalmente inutili le 1500 votazioni alla camera, in 9 giorni, con 90more di dibattito e 220.000 fogli di carta usati per gli emendamenti, sapendo perfettamente che nessuno li leggerà mai.

In Francia, la legge di bilancio è immodificabile, perché il Parlamento è obbligato alla copertura effettiva finanziaria di ogni proposta aggiuntiva di spesa.

Le ragioni di questo o quel provvedimento, non vengono pesate secondo le reali motivazioni o secondo buon senso, ma secondo il peso del potere di ciascun partito, sia di destra che di sinistra. L’opposizione, oltre a proteggere le sue lobby, agisce sistematicamente per dispetto, e non per logica, opera per boicottare tutto, ogni riforma istituzionale,e ogni proposta governativa, solo per paralizzare tutto, in attesa e con la speranza che le successive elezioni consentano loro di privilegiare le loro lobby, e così via.

E così il Parlamento, non è espressione della volontà degli elettori, ma solo esprime la volontà delle corporazioni, con una produzione legislativa lenta e con leggi che nascono ambigue, contraddittorie, di difficile interpretazione e di ancor più ardua applicazione.

E’ di conseguenza evidente la crisi dei partiti e dei sindacati, per difetto di adeguata legittimazione e cultura. Cultura politica che infatti manca a tutti i livelli e che si manifesta, anche negli episodi di minore rilevanza. Una cultura che, per lo meno, dovrebbe suggerire la spontanea volontà di essere rispettosi delle leggi e di non esibire come loro successi l’allargamento dei privilegi che difendono.

Questa esibizione di privilegi ci hanno così fatto assistere a tanti episodi squallidi.

Come as esempio quello del luglio 1988, ove il ministro dei lavori pubblici Enrico Ferri, varò il decreto che limitava lka velocità delle auto a 110 km./h. Ebbene a gennaio del 1989, il ministro, fu scoperto che correva a 180 km/h con due auto di scorta sull’autostrada Venezia-Trieste. Questo comportamento si è ripetuto a tal punto che i cittadini fotografarono e denunciarono,, le auto del ministro che, sistematicamente s’infischiava della sua stessa legge. Il ministro rispose in questo modo : “lui a volte superava i limiti di velocità, per motivi di sicurezza e, anzi , diceva che le macchine blindate riservate, non avrebbero dovuto neanche fermarsi ai semafori”.

Nel 2002, la maggioranza parlamentare,nell’ambito del decreto legge sulle scorte parlamentari, fece approvare un articolo (5 bis) che autorizza presidenti, ministri e altre non troppo specificate autorità, a usare luci abbaglianti e sirene ululanti al fine di agevolare la marcia dell’autoveicolo. Insomma , per motivi di sicurezza di pochi, come affermò l’on. Mantovano di AN, si consentiva quello che era vietato ai normali cittadini, che evidentemente non avevano necessità di eguale sicurezza.

Queste prevaricazioni, oltre tutto, non sono neppure originali, ma ricordano quello che accadeva a Roma ai tempi di Cesare Augusto. Quando passavano i cavalli dell’Imperatore ,a chi non sapeva scansarsi per tempo ,arrivavano sulla testa frustate. Ma prima era meglio, perchè di Cesare Augusto ne avevano uno, mentre oggi tutti si sentono dei Cesare Augusto.

Questa decantata sicurezza è solo una sciocchezza che nasconde un alibi, un rifugio, un camuffamento. Il semaforo bruciato, il sorpasso azzardato, la sgommata dell’auto del ministro è un punto di orgoglio del suo status, evidenzia la gerarchia e il suo rango, insomma una forma palese di disprezzo verso comportamenti democratici eguali per tutti.

Ed hanno ragione, perché questi individui, non si ritengono eguali a tutti gli altri cittadini.

Intorno alla Camera dei Deputati a Roma esiste un’area che, di fatto, è una zona franca, dove è impensabile che i vigili urbani facciano multe.. Hanno , giustamente, paura di giocarsi il posto.

Con la sua Porche, l’on. Gabriella Carlucci, ha speronato un autobus mentre viaggiava su una corsia preferenziale a via del Tritone a Roma, ed ha contestato anche la contravvenzione, facendo intervenire addirittura l’assessore al traffico e il presidente del Primo Municipio. Cose analoghe hanno fatto sulla via Ostiense sia l’ex ministro Bottiglione, sia l’ex sottosegretario Miccichè.

Ma i privilegi non solo non saranno mai abrogati, ma tenderanno sicuramente ad aumentare come hanno dimostrato le richieste dei deputati nel 2003, in sede di bilancio consuntivo della Camera.

L’on. Antonio Boccia della Margherita, ha chiesto una sala dedicata alla visione delle partite di calcio, con maxischermo e relativi abbonamenti alle tv satellitari. L’on. Mario Pepe di Forza Italia, si è congratulato per l’attivazione di un servizio di fisioterapia usato da tutti i deputati, in quanto tali, e non perché valutati bisognosi , come avviene per i comuni cittadini. A tale proposito la Camera, come istituzione, ha stipulato una convenzione che permetterà d’estendere questo servizio non solo ai 630 deputati, ma probabilmente anche ai 600 giornalisti accreditati, ai 750 collaboratori e ai circa 2000 dipendenti.

Ovviamente i parlamentari hanno il privilegio di un’ agenzia interamente dedicata ai loro viaggi in tutto il mondo, che possono organizzare a loro discrezione, (si dice per servizio). Così si viene a scoprire che i viaggi per missione dei parlamentari sono costati a noi, nel 2001,1.833.421 euro, nel 2002, 2.725.000 euro, nel 2003 circa 2.914.000 euro (circa 6 miliardi di vecchie lire. Poiché nel 2002 sono state effettuate 342 missioni, ogni missione è costata mediamente 7978 euro, cioè circa 15 milioni di vecchie lire ciascuna, in aggiunta al resto.

Con tutti questi privilegi, vincere un’elezione, per chiunque, diviene vincere al lotto, e si capisce perché ci riescano i più furbi, i più avventurieri e non i più bravi.

Di conseguenza diviene inevitabile radere al suolo la figura del politico di mestiere e l’apparato burocratico dei cosiddetti partiti di massa. Deve nascere il cittadino che intende occuparsi di politica per una frazione della sua vita, e che intende comunque restare cittadino, componente di una società, e che abbia l’umiltà di essere amministratore delle decisioni prese dal popolo.



Non esiste il primato della politica, contrabbandato per coprire l’apologia della partitocrazia, esiste sempre il primato del popolo sovrano e non lo dico io, lo dice la Costituzione.




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