L’amore nei miti greci



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L’AMORE NEI MITI GRECI

Con la parola amore si può intendere un'ampia varietà di sentimenti ed atteggiamenti differenti, che possono spaziare da una forma più generale di affetto sino a riferirsi ad un forte sentimento che si esprime in attrazione interpersonale.

Gli antichi Greci hanno individuato quattro forme primarie di amore: quello parentale-familiare (storge), l'amicizia (philia), il desiderio erotico ma anche romantico (eros), infine l'amore prettamente spirituale (agape).

Anche nei miti greci possiamo trovare queste differenti forme d’amore.



DEMETRA E PERSEFONE

Demetra, figlia di Crono e di Rea era la madre di Persefone, avuta dal fratello Zeus. Un giorno Persefone, mentre coglieva dei fiori con altre compagne si allontanò dal gruppo e all'improvviso la terra si aprì e dal profondo degli abissi apparve Ade, dio dell'oltretomba e signore dei morti che la rapiva perché da tempo innamorato di lei. Il rapimento si era compiuto grazie al volere di Zeus che aveva dato il suo consenso ad Ade per compiere la violenta azione amorosa. Demetra, accortasi che Persefone era scomparsa, per nove giorni corse per tutto il mondo alla ricerca della figlia sino alle più remote regioni della terra. Ma per quanto cercasse, non riusciva ne a trovarla, ne ad avere notizie del suo rapimento. All'alba del decimo giorno venne in suo aiuto Ecate, che aveva udito le urla disperate della fanciulla mentre veniva rapita ma non aveva fatto in tempo a vedere il volto del rapitore e suggerì pertanto a Demetra di chiedere a Elios, il Sole. Elios disse a Demetra che a rapire la figlia era stato Ade.Demetra, tradita dalla sua stessa famiglia di olimpici, abbandonò l'Olimpo e per vendicarsi, decise che la terra non avrebbe più dato frutti ai mortali così la razza umana si sarebbe estinta nella carestia. In questo modo gli dei non avrebbero più potuto ricevere i sacrifici votivi degli uomini di cui erano tanto orgogliosi. Si mise quindi la dea a vagare per il mondo per cercare di soffocare la sua disperazione, sorda ai lamenti degli dei e dei mortali che già assaporavano l'amaro gusto della carestia. Il suo pellegrinaggio la portò a Eleusi, in Attica, sotto le spoglie di una vecchia, dove regnava il re Celeo con la sua sposa Metanira. Demetra fu accolta benevolmente nella loro casa e divenne la nutrice del figlio del re, Demofonte. Attraverso Demofonte la dea riusciva in questo modo a saziare il suo istinto materno, soffocando il dolore per la perduta figlia. Decise anche di donare a Demofonte l'immortalità e di renderlo pertanto simile a un dio ma, mentre era intenta a compiere i riti necessari, fu scoperta da Metanira, la madre di Demofonte. A quel punto Demetra, abbandonò le vesti di vecchia e si manifestò in tutta la sua divinità facendo risplendere la reggia della sua luce divina. Delusa dai mortali che non avevano gradito il dono che voleva fare a Demofonte, si rifugiò presso sulla sommità del monte Callicoro dove gli stessi Eleusini gli avevano nel frattempo edificato un tempio. Il dolore per la scomparsa della figlia, adesso che non c'era più Demofonte a distrarla, ricominciò a farsi sentire più forte che mai e a nulla valevano le suppliche dei mortali che nel frattempo venivano decimanti dalla carestia. Alla fine Zeus, costretto a cedere alle suppliche degli uomini e degli stessi dei, inviò Ermes, il messaggero degli dei, nell'oltretomba da Ade, per ordinargli di rendere Persefone alla madre. Ade, inaspettatamente, non recriminò alla decisione di Zeus ma anzi esortò Persefone a fare ritorno dalla madre. L'inganno era in agguato. Infatti Ade, prima che la sua dolce sposa salisse sul cocchio di Ermes, le fece mangiare un seme di melograno, compiendo in questo modo il prodigio che le avrebbe impedito di rimanere per sempre nel regno della luce. Grande fu la commozione di Demetra quando rivide la figlia e in quello stesso istante, la terrà ritornò fertile e il mondo riprese a godere dei suoi doni. Solo più tardi Demetra scoprì l'inganno teso da Ade: avendo Persefone mangiato il seme di melograno nel regno dei morti, era costretta a farvi ritorno, ogni anno, per un lungo periodo. Questo infatti era il volere di Zeus. Fu così allora che Demetra decretò che nei sei mesi che Persefone fosse stata nel regno dei morti, nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata, dando origine all'autunno e all'inverno, mentre nei restanti sei mesi la terra sarebbe rifiorita, dando origine alla primavera e all'estate.

Nel mito di Demetra e Persefone troviamo la storge, ovvero l’amore familiare. Si può infatti notare quanto l’amore che unisce Demetra alla figlia sia potente e quanto possa influenzare, non solo la sua vita, ma anche su quella degli altri, umani e dei. Si sente tradita e affranta, pensando al tradimento dei suoi due fratelli e, pur di colmare il suo istinto materno, preferisce trasformarsi in una semplice umana e far da nutrice a Demofonte. Privata anche del suo lavoro di nutrice è disperata e logorata dal dolore, divisa tra il desiderio di vendetta e l’abbandono a se` stessa, rifiutando il suo potere divino e lasciando allo sbaraglio l’umanità. Solo quando riabbraccia Persefone, si sente completa e riporta la vita sulla Terra, come se le sue emozioni fossero connesse alla natura. Riusciamo quindi a percepire quanto l’amore di una madre sia forte: Demetra abbandona tutto, l’Olimpo, la famiglia, il potere, pur di riavere indietro sua figlia.



Ratto di Proserpina; 1621 – 1622; Gian Lorenzo Bernini.

L’AMICIZIA E LA NASCITA DELL’ULIVO

Nel tempo in cui sulla terra non esisteva ancora l’albero dell’ulivo, né gli uomini godevano dei suoi frutti, vivevano nella Loconia, due giovani amici buoni e belli: Eispnelas, il maggiore, e Aitas, il minore. Abitavano entrambi fuori dal villaggio e frequentavano con grande assiduità il non lontano santuario di Apollo. Mai i due adolescenti mancavano alle Iacinzie, che vi si celebravano ogni estate in onore del dio e del suo giovane amico Giacinto. Il dio, da parte sua, ogni anno gioiva nel vedere quale profondo e sincero affetto unisse i due amici. Una volta, finite le cerimonie del primo giorno di festa, Eispnelas e Aitas si fermarono davanti all’altare del dio e, spinti da una forza sconosciuta, formularono in cuor loro la stessa, identica preghiera: ”Apollo, divino Kouros, che proteggi ed ascolti i giovani che a te si rivolgono con cuore sincero, sii propizio a questo mio caro amico ed a me e fa sì che la nostra amicizia non venga mai cancellata da Kronos che tutto divora. Ti scongiuro, splendente Signore dell’Armonia, ascolta la mia preghiera!”. Apollo ne rimase profondamente commosso e decise di esaudirli: mentre i due amici, abbracciati e felici, uscivano dal santuario, li trasformò in un meraviglioso ulivo, già carico di frutti. Alcuni mercanti ebrei, venuti per la festa dal vicino porto di Gizio, vedendo il prodigio, esclamarono: ”El aia…!”, che nella loro lingua significa: “È stato Dio…!”. Gli abitanti del luogo pensarono bene di usare l’esclamazione degli stranieri,΄ελαία, per indicare il nuovo albero dai preziosi frutti. Albero che divenne subito segno di benedizione, di benessere e di pace. Albero di cui gli uomini non avrebbero mai più potuto fare a meno. Come dell’amicizia.

In questo mito abbiamo, invece, la philia, o amicizia. I due giovani sono uniti da un profondo e reciproco affetto. Questo rapporto, che non ha nessuno sfondo omosessuale, è riconosciuto puro anche dal dio Apollo, tanto che lo consacra e lo rende immortale, trasformando i due giovani in una pianta di ulivo. Oggi si sottovaluta la forza dell’amicizia, non considerando questo sentimento un tipo di amore e definendo quest’ultimo come la relazione che unisce un uomo e una donna. Se in un compagno o in una compagna troviamo infatti qualcuno che ci attragga, fisicamente o psicologicamente; in un amico troviamo un compagno di avventure, un sostenitore, un aiutante, un ascoltatore, un consigliere…

Questo ci fa quindi capire quanto possa essere importante e sincera una delle sfumature dell’amore.



APOLLO E DAFNE

Dafne, figlia e sacerdotessa di Gea e del fiume Peneo, era una giovane ninfa che viveva serena passando il suo tempo a deliziarsi della quiete dei boschi e del piacere della caccia la cui vita fu stravolta a causa del capriccio di due divinità: Apollo ed Eros. Racconta infatti la leggenda che un giorno Apollo, fiero di avere ucciso a colpi di freccia il gigantesco serpente Pitone alla tenera età di quattro giorni, incontra Eros che era intendo a forgiare un nuovo arco e si burlò di lui, del fatto che non avesse mai compiuto delle azioni degne di gloria.

Il dio dell’amore, profondamente ferito dalle parole di Apollo, volò in cima al monte Parnaso e lì preparò la sua vendetta: prese due frecce, una spuntata e di piombo, destinata a respingere l'amore, che lanciò nel cuore di Dafne e un'altra ben acuminata e dorata, destinata a far nascere la passione, che scagliò con violenza nel cuore di Apollo. Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi alla ricerca della ninfa, perché era talmente grande la passione che ardeva nel suo cuore che ogni minuto lontano da lei era una tremenda sofferenza. Alla fine riuscì a trovarla ma Dafne appena lo vide, scappò impaurita e a nulla valsero le suppliche del dio che gridava il suo amore e le sue origini divine per cercare di impressionare la giovane fanciulla. Dafne, terrorizzata, scappava tra i boschi. Accortasi però che la sua corsa era vana, in quanto Apollo la incalzava sempre più da vicino, invocò la Madre Terra di aiutarla e questa, impietosita dalle richieste della figlia, iniziò a rallentare la sua corsa fino a fermarla e contemporaneamente a trasformare il suo corpo: i suoi capelli si mutarono in rami ricchi di foglie; le sue braccia si sollevarono verso il cielo diventando flessibili rami; il suo corpo sinuoso tenera corteccia; i suoi delicati piedi si tramutarono in robuste radici e il suo delicato volto svaniva tra le fronde dell'albero. Dafne si era trasformata in un leggiadro e forte albero che prese il nome di Lauro. La trasformazione era avvenuta sotto gli occhi di Apollo che disperato, abbracciava il tronco nella speranza di riuscire a ritrovare la dolce Dafne.Il dio quindi proclamò a gran voce che la pianta dell'alloro sarebbe stata sacra al suo culto e segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori.Così ancor oggi, in ricordo di Dafne, si è solito cingere il capo di coloro che compiono imprese memorabili, con una corona di alloro.

I Greci identificarono con l’eros l’amore romantico e passionale. Vediamo, appunto, Apollo attratto da Dafne a tal punto che la sua assenza provoca al dio una sofferenza fisica. Questo amore, così irruento e incontrollabile, porta conseguenze negative e la perdita della persona amata. Anche oggi, un rapporto incentrato sul desiderio di possedere, causa sofferenza e voglia di fuggire proprio come in Dafne.



Apollo e Dafne; 1622 – 1625; Gian Lorenzo Bernini

AMORE E PSICHE

Psiche era la più giovane, ma soprattutto la più bella di tre sorelle. La sua bellezza era così grande ed eterea da suscitare l’ira della più vanitosa tra le dee: Afrodite. Accecata dalla collera e dall’odio, colei che era riconosciuta proprio come la dea della bellezza, decise di vendicarsi della fanciulla e chiese ad Amore di aiutarla. Il suo piano era quello di far innamorare Psiche di un uomo di umili condizioni.Il dio dell’Amore accettò il compito assegnatogli dalla madre, ma appena vide Psichene rimasetalmente affascinato da innamorarsene egli stesso, perdutamente. Laportò con sé nel suo palazzo, ma senza rivelarle la propria identità. Anche Psiche siinnamorò diquesto giovane misterioso che ogni sera si recava a farle visita, ma solo al calar delsole,per impedirle di capire chi fosseinrealtà. Una notte, Psiche, presa dalla curiosità e spinta dalle invidiose sorelle, decise di scoprire il volto dell’uomo che l’aveva fatta innamorare, illuminò il viso di Amore con una lanterna mentre lui dormiva. Cupido, svegliato da una goccia di olio bollente che cadde dalla lampada sulla sua spalla, rimase così deluso dal gesto della ragazza, da arrivare ad abbandonarla.Psiche cadde preda della disperazione e iniziò a vagare per tutto il mondo alla ricerca del suo amato. Fu così che arrivò al palazzo di Afrodite per chiederle aiuto. La bellissima dea sottopose la fanciulla a quattro prove impossibili da superare, ma che lei affrontò con successo grazie all’aiuto di essere divini. La prima prova consisteva nel dividere un enorme mucchio di semi in vari gruppi a seconda del tipo dei semi, il tutto prima che la dea tornasse da una festa. Fu una formica che, avendo pietà di lei, andò a chiamare le sue compagne e in men che non si dica riuscirono a dividere tutti i semi per gruppi omogenei. La seconda prova prevedeva di prelevare e portare a Venere la lana di alcune pecore dal vello d’oro. Ma mentre Psiche correva verso le pecorelle per portare a termine la sua missione, una canna la fermò svelandole che, in realtà, quegli ovini erano belve feroci che avrebbero dilaniato il suo corpo, e le consigliò di aspettare la sera e di scuotere i cespugli tra cui pascolavano, per prendere la lana che vi era rimasta impigliata. Psiche riuscì così a superare anche questa prova. La terza prova consisteva nello scalare le ripidissime pareti di un monte e riempire un’ampolla con l’acqua di una fonte sacra. In questo caso fu un’aquila reale ad aiutarla: le strappò l’ampolla dalle mani e andò lei stessa a riempirla, per poi riportarla alla ragazza. Per superare la quarta prova venne aiutata dai consigli di una torre parlante: la fanciulla doveva andare negli Inferi e chiedere a Proserpina di mettere in un vaso un po’ della sua bellezza. Attraverso una serie di peripezie Psiche riuscì a raggiungere anche in questo caso il suo obiettivo.Dopo aver superato tutte e quattro le prove, Psiche si vide esausta e sciupata, la sua bellezza non era più la stessa. E fu a quel punto che decise di aprire il vaso per tornare ad essere bella come sempre, benché le fosse stato detto di non aprirlo per nessun motivo, pena la morte. La fanciulla aprì dunque il vaso, ma all’interno non trovò altro che un sonno profondo che la fece addormentare all’istante.Intanto, Amore, anch’egli preso dalla nostalgia per la propria amata, iniziò a cercarla dappertutto, finché non la scorse adagiata a terra, da dove la sollevò, rinchiudendo il sonno nel vaso e la svegliò pungendola con una delle sue frecce. A quel punto decise di portarla sull‘Olimpo per chiedere a Zeus di farla diventare immortale. Il dio di tutti gli dei accettò e le fece bere un bicchiere di ambrosia. Raggiunta l’immortalità Psiche divenne la moglie di Amore, dal quale ebbe una figlia che chiamarono Voluttà.

Trattiamo infine, con la magnifica storia di Amore e Psiche, l’amore puro e spirituale, l’agape. La bellissima e ingenua Psiche, sebbene non abbia mai visto suo marito, ne è innamorata. Questo significa che per lei non è importante solo la bellezza di Eros, ma anche la sua personalità; il suo amore va al di là dell’aspetto fisico e le imprese che deve affrontare per ricongiungersi ad Amore ne sono la prova. Lei infatti, guidata dal desiderio di rivedere suo marito, sfida persino la vanitosa dea Afrodite. Alla fine, però, la sua attesa e la sua perseveranza vengono premiate da Zeus, che le permette di coronare il suo sogno d’amore.

Questo insegnamento, come quelli contenuti anche negli altri miti, possono rivelarsi veritieri anche nella vita quotidiana.

Amore e Psiche; 1788 – 1793; Antonio Canova



Giulia Bruna Pezzotti 1AC
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