Raul Mordenti


(3 Lezione: 20/2/2002) La preistoria della Semiotica seconda parte: da S. Agostino a Ockham



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(3 Lezione: 20/2/2002) La preistoria della Semiotica seconda parte: da S. Agostino a Ockham

Saltiamo disinvoltamente come è nostra abitudine, una decina di secoli, autorizzati in questo salto dal fatto che la latinità sembra partecipare dei fondamenti della filosofia greca, che abbiamo sommariamente passato in rassegna ieri.

Divideremo anzi, per no stancarvi troppo come ieri, la lezione di oggi in due parti: nella prima proseguiremo la beve storia della preistoria della Semiotica; nella seconda cominceremo a introdurre il grande tema dell'influenza che la tecnologia della stampa ha sulla comunicazione umana.

Agostino


S. Agostino di Ippona (354-430 d.C.) come sapete, era un collega, che si era occupato di comunicazione in modo professionale come docente di retorica. Non ci sorprenderà dunque che si sia occupato di segni. Fra l'altro la teoria dei segni di Agostino (soprattutto quella espressa nel De doctrina christiana) funziona da modello per tutto il medioevo perché è adottata nel diffusissimo libro delle Sentenze di Piero Lombardo, che si apre al I dei suoi quattro libri con l'affermazione agostinaiana "Omnis doctrina vel rerum est vel signorum" (traduzione: ).

È Agostino il primo a unificare in uno stesso sistema la teoria dei segni e la teoria del linguaggio. Esiste un "genere" dei segni di cui i segni linguistici sono "specie" (come sono altre specie i gesti, le insegne, etc.); e ciò, come vedremo, somiglia molto alla fondazione saussuriana della semiotica, che avverrà sedici secoli dopo Agostino.

Naturalmente anche il pensiero semiologico di Agostino è dominato dall'idea cristiana di una realtà superiore e invisibile che però è la realtà vera, un problema che si manifesta direttamente nella interpretazione della Sacra Scrittura. Per il cristiano, e in generale per il medioevo, tutto l'universo è un "segno" che trova fuori di sé il suo significato. La semiotica è dunque una semantica (teoria del significato) e questa è a sua volta una ermeneutica (teoria dell'interpretazione).

Il mondo medievale è interamente semiotico ed anche interamente semantico, tutto significa e tutto ha un significato, un significato più vero della realtà terrena ed apparente delle cose umane. Non a caso nel Medioevo cristiano si usa spesso la metafora del "libro" per parlare del mondo creato, perché nel mondo Dio si manifesta in modo sensibile, ma assolutamente reale, esattamente come nella Bibbia. Parlando in termini lotmaniani di "sistema culturale" modellizzante è ora il sistema culturale religioso che modellizza l'intero mondo delle percezioni e del pensiero; dunque è un modello paradigmatico: ogni cosa significa, oltre che se stessa, un'altra cosa (ad esempio gli animali, o le pietre, o le piante, o i comportamenti umani): tutto è segno di qualcos'altro.

Basterà pensare che il dibattito medievale intorno al signum ruota intorno alla questione dei sacramenti, di cosa essi siano segno, in che rapporto stiano i segni sacramentali con la grazia che il sacramento dispensa, e così via. Il sacramento stesso è d'altronde (per Agostino) "sacrae rei signum" (dove la cosa sacra è l'effetto gratuito di Dio, la grazia).

Anche il segno di Agostino è dunque anzitutto una sorta di rinvio, è un aliquid stat pro aliquo, e più precisamente è "res, praeter speciem quam ingerit sensibus, aliud aliquid ex se faciens in cogitatione venire" (De doctrina christiana, II, 1, 1), che potremmo tradurre, un po' alla buona, così:

"è una cosa che, al di là dell'apparenza che si presenta ai sensi, fa venire in mente (a partire) da sé un altro qualcosa".

(La traduzione Calabrese-Mucci, p. 226 è invece: "Una cosa che, più che l'impressione che essa produce, fa venire di per sé alla mente qualche altra cosa").

In questo senso il segno è in realtà segno mentale. E non ci sorprenderà che il processo reale della significazione sia per Agostino sempre un processo (per così dire) dall'alto verso il basso, cioè dalla verità del pensiero verso la comunicazione agli altri della cosa per mezzo di segni sensibili.

Esistono dunque tre livelli di analisi, che seguono un percorso di progressiva astrazione verso la verità: il verbum è sì una sostanza vocale ma questa è solo un rinvio alla sua sostanza razionale, cioè alla sua capacità di "estrarre dalla memoria" un significato, ed è lavorando su questo secondo livello che si può giungere a concepire la verità; si noti che mentre il primo livello (quella della vox verbi) è determinato dalla caratteristiche delle diverse lingue, accade al contrario al segno mentale:

"il pensiero formato dalla cosa che conosciamo è una parola che non è né greca, né latina, né di alcuna altra lingua (verbum nullius linguae). Ma come è necessario trasmetterla alla conoscenza di coloro ai quali parliamo, si adotta un segno attraverso il quale essa è significata." (De Trinitate, 15, par. 10-11).

Anche in questo caso sarebbe dunque possibile costruire un triangolo simile a quello degli stoici, i cui vertici si chiamerebbero: dictio, dicibile (ricordate il lektòn storico?) e la res.

dicibile

dictio res


E, si noti, per illustrare le modalità dell'incarnazione del Verbo divino, Agostino adotta proprio l'esempio del modo con cui il segno verbale discende nella parola sonora (nella vox verbi)20.

Di grande importanza storica è anche lo sforzo agostiniano di procedere ad una classificazione dei segni (il segno ha tre determinazioni: la socialità, la intenzionalità, il canale fisico); e inoltre si deve distinguere in essi l'essere naturale o convenzionale:

"I segni naturali sono quelli che, senza intenzione né desiderio di significare, fanno conoscere di per sé, qualcos'altro di più di ciò che essi sono. È così che il fumo significa il fuoco" (..) Segni convenzionali sono quelli che tutti gli esseri viventi fanno gli uni agli altri per mostrare reciprocamente, per quanto possono, i moti del loro animo, cioè tutto ciò che sentono e tutto ciò che pensano. La nostra sola ragione di significare cioè di produrre segni, è quella di rendere chiari e di trasferire nello spirito altrui ciò che porta nel proprio spirito chi produce il segno." (ibidem, II, I, 2-3).

In questa impostazione non stupisce che Agostino riconosca un primato assoluto, anche se non un'esclusiva, ai segni linguistici:

"L'innumerevole moltitudine dei segni che permettono agli uomini di chiarire il loro pensiero, è costituita dalle parole. Di fatto, tutti questi segni è con le parole che ho potuto enunciarli, ma le parole non avrei potuto in alcun modo enunciarle con questi segni." (Ibidem, II, I, 5)..

Ma soprattutto Agostino sembra anticipare il moderno concetto di codice (e anche la definizione di Morris21 da cui siamo partiti ieri):

"Perché una cosa funzioni come segno, bisogna che l'interprete sappia che essa è segno" (De Trinitate, X, 1-2)

La Scolastica

Siamo all'XI secolo, e al grande sforzo di Anselmo d'Aosta di elaborare una filosofia in grado di dimostrare razionalmente l'esistenza di Dio (su cui noi non ci soffermeremo).

È dello stesso secolo il grande dibattito fra nominalisti e realisti: in particolare gli "universali" appartengono all'Essere o solo al linguaggio? Per i nominalisti essi sono flatus vocis, cioè non esiste una ontologia fuori dalla logica e questa è fatta di parole, di nomi appunto ("nomina nuda tenemus"). Questa è anche la tesi di Pietro Abelardo (a tutti voi noto per le sue disavventure amorose con Eloisa) che è fra i fondatori della logica medievale (e, non caso, è traduttore e commentatore del De interpretatione di Aristotele).

Vedi Calabrese-Mucci, p.230

La convenzionalità del processo di significazione, e l'indipendenza del piano semiotico-linguistico dal piano ontologico è dimostrato dalla possibilità di formulare proposizioni inesistenti nella realtà, per esempio è possibile dire che ci sono delle rose d'inverno, cioè dire una cosa che non esiste.
Nel XIII secolo assistiamo alla grande fioritura della "logica moderna" (come gli stessi Autori la definiscono); strano destino della parola "moderno"….

La semiotica viene intenzionalmente ricondotta dentro la logica, e le sue leggi.

Così anche in retorica il sermo modernus è quello, tipico della scolastica, e dunque dei domenicani, fatto di distinzioni e parti, che si contrappone al sermo antiquus, o apostolico, più libero e narrativo (praticato ancora dai grandi predicatori francescani nel XV secolo: pensate a S. Bernardino). E bisognerà attendere Savonarola per…
Con S.Tommaso d'Aquino (1220 ca.-1274): il problema del segno è da lui impostato in maniera del tutto aristotelica, ma cercando di conciliare (come accade sempre in Tommaso) l'impianto dell'aristotelismo con il cristianesimo. Per esempio i segni della Scrittura che tipo di segni sono? Essi sono parole ma non equivoche e non allegoriche, bensì rigorosamente univoche e referenziali; se la Bibbia dice che qualcosa è avvenuto ciò significa che quel qualcosa è effettivamente avvenuto; ma, a sua volta, quel qualcosa, è a sua volta un segno, cioè non un evento o un referente reale, e anzi più precisamente un segno del linguaggio divino, voluto da Dio perché noi leggessimo il suo volere e il nostro dovere; se ci domandassimo dov'è o cos'è il referente reale di questo secondo segno la risposta sarebbe che esso è in mente Dei. Dunque la Scrittura è una semìa sostitutiva, per dir così di secondo grado, costituita da segni che rinviano ad altri segni "che hanno sempre Dio come punto di riferimento".22

Gli storici della filosofia ci hanno insegnato che queste dispute e sottigliezze sono in realtà la grande scuola in cui il pensiero occidentale si forma per preparare la propria capacità di astrazione e di induzione logica.

Fra questi logici spicca Guglielmo da Occam (Ockham), 1290-1349, è francescano come Bacone e insegna ad Oxford; è lui uno dei più evidenti referenti storici del personaggio protagonista del Nome della rosa di Eco, Guglielmo da Baskerville; Ockham riprendendo la definizione aristotelica, precisa la natura e lo statuto del concetto.

La scienza formula le sue proposizioni non sulle cose materiali, ma sui concetti, (si distingue dunque ancora una volta fra referente e significato); i concetti sono dunque dei segni delle cose, una sorta di artifici mnemonici, utili per classificarli e raggrupparli in categorie più generali. Ma per comunicare, gli uomini usano poi dei segni linguistici (questi convenzionali e artificiali), che sono dunque segni dei segni, cioè segni dei concetti.

Il segno è definito (aristotelicamente) come:

"Tutto ciò che una volta appreso, fa venire a conoscenza qualche altra cosa."23


Per Ochkam, puro nominalista, i termini mentali (concetti, intenzioni o passioni dell'anima) significano dunque naturalmente (sono il segno naturale) delle cose conosciute; in questo senso il concetto è segno delle cose, senza alcuna mediazione, mentre le parole, i segni linguistici (proferiti o scritti), sono puramente convenzionali:

"Il concetto significa qualche cosa primariamente e naturalmente, e la parola significa secondariamente quella cosa stessa…" (Summa Logicae, I, 2).


Tant'è vero che gli angeli (una cosa seria nel Medioevo cristiano) hanno anch'essi, come noi, dei segni mentali (primari o naturali), solo che a differenza di noi possono comunicare direttamente con quelli, senza dover ricorrere ai segni lingukstici (secondari e convenzionali).24

Su questa base anche Ockham distingue fra i segni: intanto ripropone la distinzione stoica (ricordate?) fra segni "categorematici" (il cui significato è definito in sé: ad es. "uomo", "animale", "bianchezza") e segni "sincategorematici" (il cui significato dipende dalla collocazione nella frase, o proposizione; ad es. "ogni", "nessuno", "tranne", "soltanto" e simili):


"Per dirlo propriamente il sincategorema non significa nulla, ma quando è aggiunto ad altre parole, rende queste parole significanti"25.
E, ancora, distingue analiticamente all'interno dei segni, dando vita ad una vera e propria (monumentale) semiotica sistematica e descrittiva: segni mentali (o naturali) e segni convenzionali (arbitrari), a loro volta distinti in segni verbali e scritti; e ancora: fra segni connotativi e quelli assoluti, fra univoci ed equivoci, "di prima imposizione" e "di seconda intenzione" e così via. (Cfr. Calabrese-Mucci, pp.235-236). Capiamo insomma perché Eco ami tanto Ockham.

La rivoluzione della stampa


Cfr. appunti mss 1999-2000

Riferimenti bibliografici della lezione:


  • U. Eco, Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975;

  • A. Maierù, Signum negli scritti filosofici e teologici fra XIII e XIV secolo, in * Signum, Atti del IX Colloquio Internazionale (Roma, 8-10 gennaio, 1998), a cura di Massimo Luigi Bianchi, Firenze, Olschki, 1999, pp. 119-141;

  • O. Calabrese - E. Mucci, Guida a la semiotica. Con un saggio di Luis J. Prieto, Firenze, Sansoni, 1975;



Appunti non usati

Ruggero Bacone (1214-1299, francescano, da non confondere con Francis Bacon!) critica l'idea secondo cui il segno è necessariamente qualcosa di sensibile:

"Il segno è ciò che, offerto al senso o all'intelletto, rappresenta qualcosa all'intelletto stesso, giacché non ogni segno si offre al senso, come vuole la comune descrizione del segno, ma qualche segno si offre al solo intelletto, secondo la testimonianza di Aristotele che dice che le passioni dell'anima sono segni delle cose."26

Ci può essere anche qualcosa che è segno di se stesso, e Bacone adduce (assai modernamente, per noi) i cibi o le merci esposte a mo' di insegna dai negozianti o dagli artigiani che sono (per dir così) segno di se stesse27.

(In realtà la vetrina nasce assai più tardi, e WB, in Parigi capitale del XIX secolo, se ne accorge per primo, e ci spiega che essa determina una modificazione profonda nella comunicazione, perché la merce esposta…parla… con il cartellino del prezzo…etc.; dunque la merce ora è davvero autonoma, dal suo produttore come dal negoziante, è merce capitalistica, feticcio ).


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