Raul Mordenti


(5 Lezione: 5/3/2002) Il formalismo e Jakobson



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(5 Lezione: 5/3/2002) Il formalismo e Jakobson.

Strutturalismo/Formalismo

Nel primo trentennio del secolo in Russia sorge una direzione di ricerca (chiamata poi da altri, con un senso leggermente spregiativo, "formalismo") che concentra lo studio dei fatti letterari sui meccanismi linguistici e formali della letteratura stessa, invece che sui contenuti, sulle biografie degli autori, etc oppure sui giudizi etici o estetici sulle opere.

Più interesssato ai fatti di lingua il Circolo linguistico di Mosca (1914-15: fra loro Roman Jakobson: 1896-1982, su cui torneremo),

Più interessato alla letteratura in quanto tale l'OPOJAZ (la Società per lo studio del linguaggio poetico: Pietroburgo, 1917: fra loro Viktor Sklovskj (1893-1984), Boris Ejchenbaum (1886-1959), Jurij Tynjanov (1894-1943).


Si cerca di studiare la "letterarietà" piuttosto che la letteratura", cioè si intende capire che cosa distingue il fatto letterario dagli altri eventi linguistici e comunicativi.

Si concentra dunque l'attenzione sui "materiali" linguistici utilizzati e soprattutto sui "procedimenti", verificando una unificazione tendenziale fra linguistica e critica letteraria (auspicata da Jakobson).

Al binomio (idealistico) forma/contenuto si sostituisce il binomio formalistico materiali/procedimenti.
Si elaborano per questo della categorie e analitiche nuove, si distingue ad esempio

Fabula da intreccio, essendo la prima… ed il secondo…


si definisce il concetto di "motivo" (riferito alla narrativa),

si chiarisce la funzione decisiva che ha il "ritmo" nella produzione poetica,

si definisce il concetto di "straniamento" come una delle procedure caratteristiche dell'arte (ad es. di Tolstoj)

(e, come sapete, Bertolt Brecht poggerà proprio su questo concetto di "straniamento" la sua poetica e il suo teatro, contrapponendolo al teatro "naturalistico" borghese, quel teatro che si finge "vero", e che proprio per questo esaurisce tutto all'interno dello stesso spettacolo le tensioni provocate dal dramma rappresentato, le quali si esauriscono dunque al calare del sipari e non modificano il pubblico, non lo interpellano, non lo mettono in crisi),


e (con Tynianov soprattutto) si recupera un modello (non storicistico) di evoluzione letteraria attraverso l'alternarsi di momenti di automatizzazione e di innovazione.
Uno dei testi fondativi di quelllo che sarà poi lo strutturalismo narratologico è il libro del russo Vladimir Propp, Morfologia della fiaba: Leningrado 1928, tradotto in America nel 1958, in Italia nel 1966 da Einaudi, con un intervento di Lévi-Strauss e una replica di Propp.

Propp sviluppa un'intuizione già di Goethe (studi sulla Morfologia), accorgendosi che, nello studio di un corpus determinato (quello dei racconti russi di magìa raccolti da Afanasiev) al di là della varietà dei nomi e dei luoghi e delle circostanze, le azioni compiute dai personaggi (che Propp definisce "funzioni") sono del tutto identiche; tali funzioni sono un numero assai limitato (Propp ne enumera 31); non solo, ma hanno anche una successione costante, può accadere infatti che qualcuna manchi, ma non può accadere che il loro ordine sia invertito; dunque, da questo punto di vista, le favole considerate hanno la medesima struttura, cioè una "struttura monotipica".


Fu fin troppo facile intrecciare queste ricerche con l'impianto strutturalista che in quegli anni si affermava, soprattutto ad opera di Lévi-Strauss.

Le Tesi di Praga e Jakobson

Le "Tesi" del Circolo Linguistico di Praga (1929: a Praga si era costituito nel 1926 un Circolo in cui confluirono alcuni dei formalisti russi in esilio) furono presentate in occasione del I Congresso dei filologi slavi (e dovute a un gruppo di cui fa parte anche Jakobson); queste "tesi" sono considerate il primo tentativo di rendere sistematiche queste teorie.


A partire da questa data l'originario formalismo può essere definito strutturalismo (e molti dei protagonisti appartengono infatti a tutte e due le esperienze che appaiono molto legate fra loro).

Si deve allo stesso Jakobson una chiarificazione del problema cruciale della poetica, cioè il tentativo di rispondere alla domanda: "Che cosa è che fa di un messaggio verbale un'opera d'arte?" (cit. in Biagini et Al., 2001, p. 43).

Per fare questo è necessario analizzare il linguaggio stesso "in tutta la varietà delle sue funzioni" (ibidem, p.44), e Jakobosn si accinge a questo compito partendo dall'analisi dei "fattori costitutivi di ogni processo linguistico, di ogni atto di comunicazione verbale."

I "fattori" che Jakobson individua sono sei, e precisamente: un mittente (1) che invia un messaggio (2) ad un destinatario (3), ma perché questo avvenga è altresì necessario il riferimento ad un contesto (4), detto anche referente della comunicazione (che deve essere verbale, o meglio suscettibile di verbalizzazione), così come è del tutto necessario che esista un canale fisico (5), o contatto, che consenta la comunicazione stessa (fosse pure questo canale fisico l'aria che vibra nel caso della comunicazione orale); infine non si dà comunicazione se non esiste un codice (6) che sia comune, almeno parzialmente, a mittente e destinatario.

I sei fattori della comunicazione, secondo Jakobson, possono dunque essere rappresentati schematicamente nel modo seguente: V. SCHEMA 1

SCHEMA 1: Fattori della comunicazione linguistica (secondo Roman Jakobson):


(Contatto/Canale)

(Mittente)  (Messaggio)  (Destinatario)

(Codice)

(Contesto/Referente)


È molto importante capire che questi fattori esistono comunque sempre, dove si dia comunicazione, in ogni sua forma.

Ora, secondo Roman Jakobson, a ciascuno di questi sei fattori corrisponde, per dir così, una "funzione linguistica", o "funzione del linguaggio"; anche le funzioni esistono sempre, ma si tratta di vedere quale sia la "funzione predominante", perché da essa dipende la struttura che la comunicazione assume e il carattere del messaggio.

Dice Jakobson: "La diversità dei messaggi non si fonda sul monopolio dell'una o dell'altra funzione, ma sul diverso ordine gerarchico fra di esse." (ibidem, p. 44).

Possiamo dunque complicare il nostro schema aggiungendo (in grasseto) ai fattori del linguaggio le funzioni linguistiche (v. SCHEMA 2):


SCHEMA 2:

Fattori della comunicazione linguistica e Funzioni del linguaggio



(secondo Roman Jakobson):

(Contatto/Canale)



Fàtica

(Mittente)  (Messaggio)  (Destinatario)



Emotiva Poetica Conativa

(Codice)


Metalinguistica

(Contesto)



Referenziale

Al mittente (1) corrisponderà la funzione detta "espressiva" (o "emotiva"), che si concentra sul mittente stesso e mira ad un'espressione diretta dell'atteggiamento del mittente riguardo a quello di cui parla;

al messaggio (2) corrisponderà la funzione detta "poetica", giacché (come recita la quinta delle "Tesi di Praga") "..il principio organizzatore dell'arte, in funzione del quale essa si distingue dalle altre strutture semiologiche, è che l'intenzione viene diretta non sul significato ma sul segno stesso. Il principio organizzatore della poesia consiste nel dirigere l'intenzione sull'espressione verbale." (cit. in Biagini et Al., 2001, p. 38);

al destinatario (3) corrisponde la funzione detta "conativa", che mira appunto a persuadere, a muovere il destinatario del messaggio;

al contesto (4), o referente della comunicazione, corrisponderà la funzione "referenziale" (detta anche "cognitiva") che mira appunto ad informare, a far conoscere il contesto;

al canale fisico (5), o contatto, corrisponderà la funzione cosiddetta "fàtica", che mira a verificare che il canale esista e funzioni (come quando al telefono di dice: "Pronto…", oppure, per proporre un esempio meno scontato, quando sui nostri teleschermi, in un angolo, appare il logo del canale che trasmette);

infine, al codice (6) corrisponderà la funzione cosiddetta "metalinguistica", quando cioè la comunicazione linguistica riflette su se stessa e mittente e destinatario verificano se il codice della loro comunicazione è davvero comune ("Che vuoi dire?").

Si può dire anche che esistano forme grammaticali corrispondenti, a loro volta, a ciascuna coppia Fattore/funzione, e , a chi si interessa di letteratura, potrà interessare anche notare che esistono "generi", o piuttosto "macrogeneri" in cui sembrano prevalere alcune funzioni; infine, qualche anno fa, in questa stessa scuola, mi provai ad azzardare un'ipotesi (in verità senza molto successo: dunque ci riprovo con voi); mi pareva suggestivo spiegare che le funzioni di Jakobson funzionavano in realtà in modo oppositivo; secondo questa ipotesi ogni funzione non è tanto definita da se stessa quanto dal suo contrapporsi ad una funzione opposta, appunto, di cui riduce al minimo l'influenza e l'operatività.

Così l'emotiva sarebbe la funzione che abolisce, o riduce al minimo, il riferimento al contesto della comunicazione, cioè la funzione referenziale (1 Emotiva <-> 4 referenziale); la funzione conativa, per funzionare al meglio, deve a sua volta ridurre al minimo grado la riflessione sulla comunicazione stessa e sul codice che la organizza (3. Conativa <-> 6. Metalinguistica: ed in effetti sia i comandi che la pubblicità forse funzionano in assenza di riflessione sul codice, che altrimenti non potrebbero funzionare); la funzione poetica funziona solo se viene messo totalmente in ombra il canale fisico della comunicazione, perché in tal modo risalta il messaggio stesso (2 Poetica <-> 5 Fàtica) e questa potrebbe essere la ragione, materialistica, della persuasività duratura delle estetiche di tipo idealistico, che tendono a sottovalutare, o addirittura a negare, l'importanza del Canale, come di ogni aspetto materiale e fisico, per la comunicazione di tipo estetico.

Questa opposizione a due a due delle sei funzioni di Jakobson, ridotte dunque a tre coppie, presentava ai miei occhi anche il vantaggio di dare vita (graficamente) ad una elegante figura geometrica, e precisamente ad una stella a sei punte (v. SCHEMA 3):

SCHEMA 3:
1.Emotiva

2.Poetica 3.Conativa




6. Metalinguis. 5. Fàtica


4. Referenziale

Persuada o no una simile ipotesi, del tutto aperta e sperimentale28, essa dovrebbe servire essenzialmente a richiamare l'attenzione sul carattere operativo, ai fini della comunicazione, delle nostre riflessioni, che sono sempre generalizzazioni, e dunque approssimazioni. E tuttavia noi che siamo addetti alla comunicazione possiamo imparare, anche dallo schema di Jakobson, a riflettere sulla natura della comunicazione che mettiamo in atto, a domandarci ogni volta almeno due cose, davvero fondamentali (e forse tre):


  1. quale sia la funzione che deve prevalere, data la natura specifica dell'atto comunicativo che stiamo progettando o attuando;

  2. quali siano le caratteristiche linguistiche, e formali, che corrispondono alla funzione dominante che abbiamo prescelto e assunto;

  3. e infine, ma solo se condividiamo la mia ipotesi che ho definito "oppositiva", quali siano invece le caratteristiche linguistiche che dobbiamo cercare di evitare il più possibile, o di ridurre al minimo, nel nostro atto comunicativo.

Vorrei spiegarmi con un esempio: nel corso del I ciclo avevamo progettato di scrivere insieme, e di mettere in rete, i curricula di tutti gli specializzandi (un'idea a cui abbiamo poi rinunciato, perché non particolarmente gradita agli interessati). Ebbene i testi prodotto erano davvero i più svariati e contraddittori, oscillando dalla tipologia dell'autobiografia fino a quella dell'auto-necrologio (magari con foto, come ancora si usa al Sud). Le idee ci si chiarirono quando ci chiedemmo insieme: che tipo di testo è un curriculum (e più precisamente un curriculum rivolto a trovare lavoro)? Quale funzione linguistica in esso deve prevalere? Apparve chiaro che il curriculum è un testo semioticamente assai complesso, che "finge" di presentarsi come un testo referenziale (dedicato a fornire informazioni) ma che in realtà intende operare come un testo conativo (che aspira a convincere il destinatario della nostra personale eccellenza fra tutti i candidati possibili). Da questo derivano alcune importanti conclusioni, prima fra tutte che non è bene servirsi di un curriculum solo, fisso per tutti, ma è preferibile scrivere un curriculum diverso ogni volta (o quasi) tenendo ben presente il destinatario e le sue esigenze…

Questo è peraltro lo schema riassuntivo di tutto quanto abbiamo detto (v. SCHEMA 4):


SCHEMA 4: Tavola riassuntiva





Fattori

Funzioni

Forme grammaticali

"Generi" (tipologie)

Funzione opposta

1

Mittente

Emotiva

Interiezioni ("ahimé!")

Recitazione

Lirica ("pura")

Diario/Autobiografia?


Referenziale

2

Messaggio

Poetica




Ogni forma di

Arte ("letteratura")



Fàtica

3

Destinatario

Conativa

Imperativi

Vocativi


(non possono subire una prova di verità)

Retorica

Pubblicità



Metalinguistica

4

Contesto

Referenziale (Cognitiva)

Indicativi

Dichiarazioni

Descrizioni

(possono subire una prova di verità)



Reportage

Trattatistica

Saggistica

(= Romanzo?)



Emotiva

5

Canale

Fàtica

Parti stereotipe dei dialoghi

("dimmi…"; "che cosa?…")



Chiamata

In causa del lettore



Poetica

6

Codice

Metalinguistica

Spiegazioni

Critica letteraria

Prefazioni

Note


Conativa



Riferimenti bibliografici della lezione:





  • E. Biagini - A. Brettoni - P. Orvieto, Teorie critiche del Novecento. Con antologia di testi, Roma, Carocci, 2001;

  • U. Volli, Il libro della comunicazione, Milano, Il Saggiatore, 1994;


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