Tabù, eufemismo e disfemismo in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno



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MASARYKOVA UNIVERZITA
FILOZOFICKÁ FAKULTA
Ústav románských jazyků a literatur

Tabù, eufemismo e disfemismo
nel
Bertoldo e Bertoldino col Cacasenno

Magisterská diplomová práce

Vedoucí práce: PhDr. Jan Pavlík


Monika Skokanová
Brno 2010

Prohlašuji, že jsem diplomovou práci vypracovala samostatně s využitím uvedených pramenů v bibliografii a tištěná verze je totožná s verzí elektronickou.

Panu PhDr. Janu Pavlíkovi děkuji za pečlivé a odborné vedení. Jeho podnětné rady a cenné připomínky napomohly vzniku této práce.
Indice:

5 PREFAZIONE



TABÙ, EUFEMISMO E DISFEMISMO

7 1. INTRODUZIONE

8 2. TABÙ LINGUISTICO

12 2. 1. CATEGORIZZAZIONE DEL TABÙ

15 2. 2. EUFEMISMO

19 2. 3. DISFEMISMO


25 2. 4. MECCANISMI LINGUISTICI


30 3. CONCLUSIONE

TABÙ NEL BERTOLDO E BERTOLDINO COL CACASENNO

31 1. CATEGORIZZAZIONE DEL TABÙ


31 1.1. TABÙ MAGICO-RELIGIOSO

41 1. 2. TABÙ SESSUALE

45 1. 3. TABÙ SCATOLOGICO

55 1. 4. TABÙ SOCIALE

71 2. DISFEMISMI

71 2. 1. IMPRECAZIONI


73 2. 2. OSCENITÀ

74 2. 3. INSULTI

76 2. 4. MINACCE

78 2. 5. MALEDIZIONI

78 2. 6. GERGO - SLANG

80 3. CONCLUSIONE

83 BIBLIOGRAFIA








PREFAZIONE



Cacasenno? «Erminio udendo questo nome ridicoloso di Cacasenno ne prese grandissimo gusto,[…]».1 Linsolito nome del protagonista ha attirato anche la nostra attenzione. La Novella di Cacasenno è la terza parte in una specie di saga di tre generazioni connesse alle tradizioni popolari italiane. La prima e la seconda parte nascono dalla penna di Giulio Cesare Croce, famoso cantastorie bolognese nato a San Giovani in Persiceto nel 1550, che si è ispirato dall’anonimo Dialogus Salomonis et Marcolphi.

Nella prima parte Le sottilissime astuzie di Bertoldo viene presentato il personaggio chiave, un mostro sapiente che riesce a conquistare il re e la sua corte. Lo scrittore, facendo un salto indietro di mille anni, conduce il suo personaggio contadino alla corte dei Longobardi con il loro re Alboino, conosciuto nella storia per la sua crudeltà spietata. Alboino che: «si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona»2 viene confrontato con «un villano, chiamato per nome Bertoldo»:3 e lo spietato re diventa un «babuino»,4 che invece di esser salutato con un inchino di testa, viene onorato «con le natiche»5 di Bertoldo. Questo villano astuto, con la capacità di aver sempre la risposta pronta oltre la spiegazione logica per ogni cosa che fa, riesce non soltanto a cavarsela con il re Alboino ma per di più viene da lui ammirato e rispettato.


Nonostante tutta la saggezza di Bertoldo al contrario il piccolo figlio Bertoldino sembra matto. Il protagonista della seconda parte, Le piacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino, prende tutto al rovescio, sollazza i suoi antagonisti cortigiani e fa dispiaceri a sua madre Marcolfa: «[…] fino a quest'ora la corte t'abbia scorto per un buffalaccio, e già gli hai cominciato a dar da ridere e gliene darai ogn'ora più. Bertoldino. Le corti ridono dunque esse ancora? Ma dove hanno elle la bocca?».6
I racconti escono dalla stampa nel 1606 e tre anni dopo lo scrittore, che ha sul suo conto oltre seicento opere, muore all’età di cinquantanove anni a Bologna. Bertoldo e Bertoldino, questi due personaggi non lasciano in ozio il coetaneo bolognese Antonio Banchieri (1568 - 1634) che sotto lo pseudonimo Camillo Scaligeri della Fratta dà la vita al terzo eroe. Tutti e due gli scrittori, che vivono a cavallo fra il XVI e il XVII secolo a Bologna, soffocati dalle censure della Controriforma mostrano la sapienza della bassa classe sociale dove trionfano intuito, fiuto e sagacia. Questo mondo di persone quasi sempre analfabete ha una sua cultura fatta di proverbi, detti, indovinelli, favole e storielle saporite anche di materia fecale. Svincolandosi così dalle moralità medievali questi tre eroi successivi con il loro linguaggio diretto, espressivo e grossolano, con le battute comiche e grottesche ma contemporaneamente aggressive e spietate, con il loro linguaggio basso si contrappongono ai modi della corte miope e ottusa. Noi scruteremo questi tre personaggi celebri con il loro linguaggio farcito di espressioni veementi.

TABÙ, EUFEMISMO E DISFEMISMO



1. INTRODUZIONE

«Il punto di partenza di uno studio come questo, sono le ragioni psicologiche che vietano di pronunciare una data parola.».7 Il presente lavoro prende in considerazione le ragioni psicologiche per poter analizzare dettagliatamente il tabù linguistico come giustamente sostiene anche Marta Appiani: «Non è possibile cercare di approfondire la comprensione del tabù linguistico se non si capisce a fondo che cosa sia il senso del pudore.».8 Lo scopo principale della presente tesi consiste nell’analizzare il tabù linguistico, l’eufemismo e il disfemismo occupandosi delle origini, delle caratteristiche e delle conseguenze di questi fenomeni linguistici. Le immagini di un oggetto possono essere generate ed elaborate da una lingua in molteplici modi. Il parlante, di fronte ad un’interdizione, deve scegliere, di volta in volta, se evitarla, se invece è meglio descrivere tutto con termini più decorosi, o anche di sfruttare le potenzialità di un tabù senza ricorrere a circonlocuzioni. Il tabù linguistico riguarda le tematiche diverse: divinità, animali, singole parti del corpo umano, attività sessuali, funzioni scatologiche e altri fenomeni. Le parole che si riferiscono agli oggetti-tabù possono essere usati per scopi diversi presentando così anche i complessi meccanismi linguistici che vengono via via impiegati.



2. TABÙ LINGUISTICO

Nel diciannovesimo secolo, la parola polinesiana tabù9 è spesso menzionata nell’etnologia (J. G. Frazer), nella psicologia (W. Wundt, S. Freud)10 sino ad influenzare la linguistica con l’analisi dei primi casi di interdizione nelle lingue indoeuropee, nel loro stadio più antico. In linguistica la parola tabù è spesso adoperata in modo ambiguo: una parola è tabù se è colpita da interdizione (merda) o se un oggetto o una persona sono sacri e il loro nome non può essere menzionato (Dio in ebraico). Praticamente, il tabù linguistico consiste nell’impossibilità di trattare certi argomenti che suscitano angoscia.


Il linguista spagnolo M. C. Gómez si serve del lavoro di L. M. Grimes11 che mostra l’ambivalenza del tabù graficamente:
El Deseo de la violación



Lo sacro ─ El tabù ─ Lo séptico ‌

‌ ‌ │

El Miedo
Secondo Nora Galli de’ Paratesi, il significato originario della parola tabù: «è ‘separato’, ‘tenuto lontano’»12 e con il tempo arriva a comprendere «tutto ciò a cui l’uomo non può accedere senza suo gravissimo rischio.».13 La linguista spiega anche che: «Un oggetto o una persona o un nome tabu sono tali perché dotati di poteri soprannaturali.».14
M. Appiani sostiene che il tabù linguistico si riferisce al fenomeno secondo cui il solo immaginare di pronunciare alcune parole suscita fobia e minaccia la nostra integrità psicofisica. Non a caso i tabù si riferiscono spesso a termini della cosiddetta area magico-religiosa. Va altresì notato che il pudore, oltre al timore, si associa all’inibizione di certi argomenti. M. Appiani rileva che il pudore: «è particolarmente implicato nel fenomeno del tabù linguistico. Le parole soggette a tabù infatti sono proprio quelle che si collocano al di fuori dei confini del pudore.».15
Anche A. Dąbrowska ravvisa il collegamento tra pudore e tabù: «jest to prastary zakaz, narzucony z zewnątrz, spreciwiajacy się s najsilniejszym chęciom człowieka».16 Il timore viene sempre mescolato al pudore e sarebbe quindi difficile stabilire il primato tra i principali fattori del tabù, ma possiamo senz’altro collegare le radici del tabù linguistico e le diverse associazioni del fenomeno alle società primitive in quanto allora si credeva che la parola avesse poteri magici.
M. C. Gómez assegna le origini del tabù linguistico alla mentalità primitiva «de los pueblos salvajes».17 Secondo lui esiste: «un arraigado temor a la palabra verdadera, la creencia en un podet más o menos sobrenatural, inmanente en el mundo.».18 In questo modo si potrebbe parlare della totale identificazione di un nome dell’oggetto con la cosa che il nome rappresenta e significa. Infatti, il linguista spagnolo arriva così al principio dell’arbitrarietà e alla motivazione del segno secondo ‘la définition saussurienne’ riportando un’inquadratura del Cours de linguistique générale: «no niego la arbitrariedad del signo, pero debo reconocer que, en el campo en que me muevo, ésta es tan tenue que defenderla es negar las bases que sustentan el tabú lingüístico.».19
M. C. Gómez parla poi del diagramma di B. Malinowski che indaga nelle lingue primitive vedendo così nella magia verbale la «perfecta adecuación entre la lengua y la realidad»:20

Lenguaje de la Magia Ritual

ACTO RITUAL

(basado sobre la creencia tradicional)




SÍMBOLO REFERENTE

(Relación místicamente supuesta)

Nelle società primitive i principali tabù riguardano i nomi di parenti, delle divinità, i nomi degli animali da totem, degli animali da caccia e anche delle parti del corpo connesse con credenze magiche.21 Alcuni studiosi non usano il termine tabù linguistico proprio per il motivo di percepire questo termine più nel senso religioso o magico e il termine interdizione prende il suo posto (classico è il caso degli studiosi francesi che preferiscono il termine: «interdiction linguistique»).22 Anche N. G. de’ Paratesi percepisce il «[...] tabu solo nel senso stretto di “interdizione religiosa primitiva”.»23 e sostituisce il tabù linguistico con il termine interdizione.

Miguel Casas Gómez propone un diagramma di termini usati nella terminologia linguistica:24



Il termine noa25 per M. C. Goméz linguisticamente: «Equivale, en nuestra terminología, al concepto de eufemismo.».26 Il linguista sottolinea giustamente che: «De esta manera, y como resultado de este conjunto de oposiciones, surge la necesidad de producir, lingüísticamente, toda una serie de palabras noas que sustituyan a los términos proscritos, encubriendo, consiguientemente, las diversas realidades sometidas a interdicción.».27

2. 1. CATEGORIZZAZIONE DEL TABÙ

Una categorizzazione del tabù viene proposta di recente da Alberto A. Sobrero. Il linguista ritiene che: «le parole-tabù non sono tutte interdette allo stesso modo»28 e propone una scala dove si distingue la forza del tabù:


1. Parole deboli - tabù forza 1: preservativo, bordello, casino

2. Parole vivaci - tabù forza 2: incazzato, tette, palle, culo, sfigato, figata

3. Parole forti - tabù forza 3: cazzo, fica, figa, coglioni, chiavare

4. Parole tabù - tabù forza 4: varianti ‘forti’ che designano le funzioni corporali.
A. Sobrero non menziona nessun esempio concreto della quarta categoria e ci dà questa giustificazione: «Ovviamente, non le devo citare qui. Altrimenti non sarebbero tabù.».29 Tale classificazione del tabù, per quanto indicativa dell’effettiva forza delle parole, non convince del tutto in quanto presenta un grosso limite, peraltro difficilmente evitabile: la soggettività.

Infatti, il tabù può essere classificato secondo molteplici punti di vista. M. Appiani sottolinea che Wilhelm Havers: «sul tabù linguistico ha scritto nel 1946 il testo più famoso “Neuere Literatur zum Sprachtabu”».30 Anche Roberta Rada riprende il modello proposto dal linguista tedesco che distingue i seguenti tipi:31


1. Sonne, Mond und Feuer (il sole, la luna e il fuoco)

2. Tiernamen (i nomi degli animali)

3. Der religiöse Bereich (l’ambito religioso)

4. Krankheiten und Tod (le malattie e la morte)

5. Körperteilnamen (i nomi delle parti del corpo)

6. Tabuisierung zur Schonung (tabù di delicatezza)

7. Ich-Tabuisierung (tabù dell’io)

8. Tabu des Westens (tabù dell’ovest).


Le prime tre categorie sono riconducibili alla superstizione, mentre i tabù delle malattie e della morte sono dovuti maggiormente alla cortesia e alla delicatezza. Tabuisierung zur Schonung si identifica, invece con la timidezza: W. Havers elenca qui le emozioni e l’amore (Gefühl, Liebe). Lo stesso vale anche per Ich-Tabuisierung, dove il pudore (Scheu) svolge un ruolo determinante. L’ultima categoria viene chiarita con esempi percepiti con «einer gewissen abergläubischen»32 cioè con una certa superstizione: «Austria und Neustria, nicht aber “Westria”, Ostgoten, Ostrogothen, Austrogoti, aber keine “Westgoten”, sonder Visi, Vesi, Wisigothi d.h. “die Guten, die Wackeren”.».33 Una superstizione simile è ravvisabile anche nelle lingue romanze e G. Bonfante spiega la superstizione riscontrabile per la parola sinistra: «I nomi francesi e spagnoli della “sinistra”, che porta sfortuna, sono spesso dei nomi stranieri (fr. gauche è germanico, sp. izquierda è basco) mentre i nomi della “destra” concordano e sono di origine latina: fr. droite, sp. derecha, ital. diritta.».34
Molti linguisti35 sfruttano una classificazione più stretta proposta da João da Silva Correia (1927). Il linguista portoghese identifica quattro categorie di eufemismi causati dal tabù:36
1. Eufemismos de superstiçào e de piedade

(eufemismi di superstizione e di pietà)

2. Eufemismos de decència e de pudor

(eufemismi di decenza e di pudore)

3. Eufemismos de delicadeza e de respeito

(eufemismi di delicatezza e di rispetto)

4. Eufemismos de prudência e de megalomania

(eufemismi di prudenza e di megalomania)


Se analizziamo la prima causa degli eufemismi cioè il timore, potremo individuare diverse sfere linguistiche che presentano il tabù linguistico. La prima categoria include tutto ciò che è suscitato dalla paura come la morte, il nome di Dio, il nome del diavolo o i nomi degli animali. S. Widłak chiama la prima categoria «tabu prymitywnym, pierwotnym (tabou primitif) […] z rozwojem cywilizacji ustępując miejsca normom społeczno-obyczajowym […] pozostając jako przeżytek,» 37 mentre le altre categorie fanno la parte del «tabu nowożytnego (tabou moderne).».38
Nella seconda categoria il tabù è dettato dal pudore e dalla ripugnanza. Il tabù di decenza include funzioni fisiologiche, ma anche atti sessuali. La diversità dei fattori che concorrono a produrre tali eufemismi consentirebbe un’ulteriore divisione di questa tipologia.
L’educazione o le buone maniere influenzano invece la produzione degli eufemismi di delicatezza, di prudenza o di megalomania; gli ultimi due sono spesso condizionati anche dall’interesse individuale. Per quanto riguarda il discorso della megalomania, M. C. Gómez sostiene che «Estos eufemismos de megalomanía están muy en boga actualmente. Se tiende, de esta manera, a aristocratizar las nomenclaturas de ciertos oficios y artes.».39
Alla luce di quanto finora osservato, il modello che riteniamo di proporre e che useremo nelle prossime analisi si basa sui fattori psicologici che sviluppano sia eufemismi che disfemismi:
1. Tabù magico - religioso (superstizioso)

2. Tabù sessuale

3. Tabù scatologico

4. Tabù sociale.




2. 2. EUFEMISMO

«La particolarità del tabù linguistico è quella di trovare delle risorse all’interno del linguaggio stesso, in grado di far fronte a questa disgregazione, a questa impurità che rompe il senso del pudore. Tali risorse sono costituite dalla produzione di eufemismi.».40 In pratica, si sostituisce un’espressione con un’attenuazione o un’alterazione suggerita dallo scrupolo morale o religioso.41 A. Dąbrowska propone un elenco dei mezzi che concorrono alla realizzazione di tale fenomeno: «Eufemizm rozumiem szeroko - na płaszczyźnie językowej mogą to być wszelkie środki formalne (fonologiczne, morfologiczne, składniowe) i semantyczne, ktόre mogą być wykorzystane do stworzenia określeń zastępczych (synonimόw tekstowych) w stosunku do nazwy właściwej (verbum proprium).».42


Alcuni linguisti hanno voluto approfondire l’argomento e cominciano dalla spiegazione dell’origine dell’eufemismo per arrivare al significato del termine. Émile Benveniste lo definisce prendendo spunto dall’etimologia ellenica: ‘dire le parole di buon augurio’:
«Dans l’exégèse de ces mots [εύφημία εύφημισμός] il s’est introduit une confusion entre les valeurs de «langue» et celles de «parole» (au sense saussurien). Les acceptions religieuses, avec toutes leurs résonances, leurs associations, leurs interférences, relèvent de la «parole». Mais ces acceptions ne se déterminent qu’à partir d’une valeur purement linguistique [...]. On doit donc commencer par restaurer la signification propre de εύφημετν, εύφημία, et celle-ci est indubitablement positive; il faut affirmer, puisque cette évidence a été méconnue, que εύφημετν signifie toujours et seulement «émettre des paroles de bon augure.».43

Anche Paul Zumthor si è interessato dell’origine dell’eufemismo; secondo lo studioso, tale parola: «relève originellement du vocabulaire sacral»,44 perciò il fenomeno linguistico era usato principalmente per i riti sacri: «Il désigne en principe l’emploi d’expressions fastes au cours du sacrifice; en pratique, l’exclusion de toute expression néfaste au sein du sanctuaire.».45 Nel corso della sua analisi, il linguista svizzero non ha mancato di segnalare l’evoluzione semantica della parola eufemismo dovuta al progresso e alla mutazione culturale della società:


«Il constitue un phénomène psychologique primaire, mais dont la signification évolue avec le temps: à mesure qu’un groupe humain se libère davantage de ses liens primitifs, l’euphémisme perd en valeur religieuse et se trouve lié plus souvent à la volonté de décence, à la politesse, à la maîtrise de soi, à un idéal de bienséance et d’harmonie collectives. Il glisse ainsi de plus en plus vers une fonction morale et, selon les besoins et l’occasion, finit par comporter, dans le langage des civilisations les plus différenciées, un aspect proprement esthétique.».46
È evidente che è possibile esprimere in concetto di eufemismo in vari modi. M. C. Gómez sostiene che la definizione proposta da Ricardo Senabre ha determinato il concetto linguistico con «mayor profundidad»47 basandosi su alcuni nozioni della glossematica48 come per esempio: sincretismo e correlazione.49
Il linguista «analiza paso a paso los distintos elementos que conforman lingüísticamente el processo eufemístico»50 e definisce tale fenomeno come: «sincretismo léxico resolubre, producido en el plano del contenido y al nivel del emisor y del que sόlo se manifesta el términe extensivo o no marcado.».51 L’autore della definizione, quando usa la parola resolubre, intende dire che un eufemismo espresso con un sinonimo potrebbe generare confusione nell’ascoltatore e quindi potrebbe essere disinterpretato.
Dai testi finora citati è possibile farsi un’idea dei motivi che spingono il parlante ad usare una sostituzione linguistica. Nelle società primitive, governate dal tabù linguistico, la causa principale dell’eufemismo era il timore. Oggi, l’attenuazione di tale fattore ha prodotto cause di tipo sociale o affettivo che si sviluppano da meccanismi psicologici formati dalle personalità individuali. Ma le definizioni sinora enunciate non propongono ancora una soluzione definitiva per individuare con assoluta certezza un eufemismo.
Non a caso N. Galli de’ Paratesi si pone la domanda: «Con quali criteri si può affermare che una parola è un eufemismo?».52 Per offrire una risposta adeguata, la linguista osserva l’eufemismo sotto l’aspetto diacronico e sincronico: nel primo caso, una parola nasce come eufemismo se essa è «una parafonìa, o un caso di ineffabilità o un’antifrasi di captatio benevolentiae (Eumenidi è chiaramente un nome propiziatorio per divinità così temute, Ponto Eusino non sarebbe altrimenti giustificato per un mare allora tanto pericoloso)».53 Nel caso di parafonìa di ineffabilità o di antifrasi possiamo parlare quasi di certezza che la sostituzione è nata come eufemismo, ma non possiamo raggiungere la stessa conclusione se si tratta di un traslato. La linguista ammette che: «Se proprio l’origine del traslato è recente, in qualche caso, rarissimo peraltro, si può condurre un’analisi fruttuosa54 e prende «per esempio il caso di rapporti coniugali per coito. [...] dove il generale sta per il particolare».55 Secondo la linguista non sarebbe prudente dire che: «allo stadio della lingua in cui tale espressione s’è cristallizzata in vero sinonimo di coito, essa suona come un eufemismo: tale espressione infatti contiene il tentativo di stornare l’attenzione di chi ascolta suggerendo lì per lì un’associazione estremamente vaga.».56 Quindi, il tropo non ci permette di stabilire se il termine impiegato nella formazione sia eufemistico. Lo stesso vale per un prestito straniero o anche per un termine molto antico: «La radice di utero per esempio è stata accostata a quella di altre parole che in diverse lingue indoeuropee più o meno indicano il concetto di “cavità”. Ma l’utero probabilmente fu indicato con quella radice perché tale designazione era sufficiente.».57 Infatti l’utero è una cavità e a quell’epoca non si avvertiva la necessità di introdurre un termine speciale.
Sul piano sincronico una ricerca di tipo statistico tenta solo di stabilire se una parola viene avvertita come eufemismo. In tal caso bisogna tener conto dei diversi ambienti in cui le parole vengono adoperate (livello familiare, letterario, linguaggio dei mass-media), perché in un certo contesto, un termine può valere come eufemismo senza che lo sia nel suo ambiente “naturale”. Le parole scientifiche, quando calano nel linguaggio comune, confermano questa teoria: «urinare in un testo di medicina è un termine preciso, tecnico senza tinte emotive, mentre nel linguaggio familiare può essere usato come eufemismo.».58
Infine N. Galli de’ Paratesi arriva alla conclusione che: «Naturalmente, se da una parte vi sono parole che non sono degli eufemismi in senso assoluto, ma rispetto al contesto, dall’altra, specularmente, i termini interdetti, loro sinonimi, non sono interdetti in senso assoluto, ma lo diventano per inadeguatezza al contesto.».59 In conclusione, non possiamo affermare con assoluta certezza se una parola sia un eufemismo o un termine interdetto: questo rende difficile la quantitativizzazione del fenomeno.
2. 3. DISFEMISMO

«Il tabù si serve anche del disgusto, o meglio della sua immaginazione, per ottenere lo scopo dell’allontanamento. Ma non possiamo identificare l’impurità solamente con quanto ci procura disgusto. Ci sono cose che procurano disgusto ma che non necessariamente sono impure e cose che sono impure e non necessariamente procurano disgusto.».60 Il disfemismo viene spesso caratterizzato come antonimo dell’eufemismo61 ma la sua terminologia non è unificata e abbiamo riscontrato diversi termini.


A. Dąbrowska sostiene che: «Pojęciem dość blisko związanym z eufemizmem jest kakofemizm.»62 e rafforza la sua teoria citando sia The Jewish Encyclopedia: «The antonym of euphemism is cacophenism»63 che Mayers Enzyklopädisches Lexikon: «Kakophemismen seien schlechtchin durch Empörung motiviert. In den Flűchen etwa zeigt sich dies element der Empörung allerdings deutlich genug».64 La linguista polacca mette i due termini in un’asse e arriva alla conclusione che: «Suma wartości eufemistzcznej i kakofemistycznej powinna dać 0:
kakofemizm zdanie prawdziwe eufemizm

- x 0 + x ».65

Per Keith Allan e Katy Burridge si può addirittura parlare di «euphemistic dysphemism and dysphemistic euphemism»:66 i due termini, in apparente contraddizione, per i due autori non sono in opposizione:


«The expletive Skit!, which typically expresses anger, frustration, or anguish, is ordinarily a dysphemism. The question arises about how to classify its remodelled euphemisms Sugar! Shoot! or Shivers! Our feeling is that the locution is recognized as a euphemism even though the illocutionary act might be castigated as dysphemistic, consequently we dub these ‘euphemistic dysphemisms’. This term seems equally applicable to rather flippant terms like doodle ‘penis’, and some uses of rhyming slang like jimmy-riddle ‘piddle.’ The following terms for menstruation are hardly euphemisms, on the other hand they are not unquestionable dysphemisms either: have the curse, woman’s complaint, be feeling that way, off the roof, etc. We therefore dub them ‘dysphemistic euphemisms’ [...]. Other terms for menstruation such as riding the red rag, flying the red flag, etc., are either dysphemistic — or at best, dysphemistic euphemisms. With dysphemistic euphemisms, the locution is dysphemistic, but the illocution is not.».67
Gaetano Berruto mette il disfemismo e l’eufemismo in opposizione sullo schema della parola morire. Ma il verbo nello schema viene connesso a ben tre assi:
1. l’asse formale – informale

(che determina il registro)

2. l’asse solenne – volgare

(che afferra gli effetti connotativi legati all’ambito di interazione)

3. l’asse eufemismo – disfemismo

(che chiarisce l’atteggiamento del parlante)68



Comunque M. C. Gómez ritiene che del disfemismo «pocos son los investigadores que han profundizado»69 e menziona i termini riscontrati e usati per questo fenomeno: eufemismo peyorativo, contra-eufemismo, anti-eufemismo, antítesis del eufemismo, eufemismo condenatorio, pseudoeufemismo, cacofemismo, euphémisme simulé, unechtem Euphemismus e anche palabra fuerte.70 L’ultimo elencato è un termine che proviene dal linguaggio popolare ma come sostiene M. C. Gómez: «no cabe duda de que es más apropiado».71


In seguito M. C. Gómez menziona l’origine greca del termine disfemismo dal dys ‘male’ e phemi ‘parlare’ e lo definisce come: «el fenomeno inverso al eufemismo, que no busca la ruptura de las asociaciones con el vocablo interdicto».72 Il linguista spagnolo associa due termini perché entrambi sostituiscono il termine neutro: «El disfemismo, como su contrario el eufemismo, se basa igualmente en un principio de sustitución, mas a diferencia de su antónimo, éste busca, con los mismos recursos lingüísticos, no ya la mitigación o atenuación, sino su efecto contravalente, la motivación o reforzamiento del signo interdicto.».73
Il disfemismo include parole indecenti, brutte o ingiuriose, espressioni con connotazioni negative e anche detti popolari. Sono tutte parole che sostituiscono termini neutrali o con una connotazione positiva, anche se il disfemismo non è solo una brutta parola che si potrebbe sostituire con una parola semanticamente neutra. Nella frase Che cazzo vuoi? la parola volgare non è intercambiabile con un termine che non sia più osceno. La frase Che pene vuoi?* non esprime la stessa cosa come all’inizio; nemmeno un eufemismo, come per esempio uccello, lo può fare. Nessuno, nella prima frase, pensa all’organo maschile. Trasformandola in Che cosa vuoi? la frase perde tutta la sua carica esplosiva. Sostituire la parolaccia senza modificare troppo l’emozione sottesa si può fare solo con la parola cavolo (che è un incrocio di cazzo e diavolo); anche la parola diavolo si può usare nella frase senza perdere l’atteggiamento e il sentimento iniziale.
Le parolacce sono delle parole sconce o volgari e ci permettono di parlare volgarmente. Nascondendosi però dietro questa tautologia, non si ottiene la risposta alla domanda: Perché una parola si può pronunciare senza scrupoli e un’altra no? Che cosa distingue le parolacce da altre parole? Le parolacce rappresentano un modo di parlare e la loro omissione scatta da una ragione psicologica che vieta di pronunciarle. «I termini interdetti ed i loro sostituiti, ad un primo esame, sembrano dipendere tutti da unica causa psicologica. Essi hanno tutti in comune il fatto che vi si leghi un certo disagio nel pronunciarli e nello scriverli.», poi in seguito N. Galli de’ Paratesi chiarisce che: «tale disagio in realtà può dipendere dalle ragioni più varie: le interdizioni sono molto diverse tra loro, indipendenti e legate ai sentimenti più lontani.».74
Le parolacce rappresentano al meglio il linguaggio delle emozioni: in alcuni casi servono per esprimere un’emozione, in altri casi suscitano emozioni in chi le ascolta.75 Una parolaccia è una espressione emotivamente carica legata allo stato psichico di chi la pronuncia e trasmette questo intenso stato d’animo dandoci un significato concreto.
Vito Tartamella nel suo saggio ci fornisce questa spiegazione: «Le parolacce sono frammenti d'una lingua magica, con cui possiamo esprimere profonde verità e libertà, unendo il sacro e il profano. Basti pensare che quando mandiamo qualcuno affanculo facciamo un incantesimo, perché attribuiamo alla parola il potere magico di far avverare un desiderio.».76
A base delle emozioni V. Tartamella distingue vari tipi di turpiloquio e le concrete situazioni quando le parolacce vengono pronunciate:77





Azioni

Turpiloquio

Emozioni espresse

Emozioni indotte

Risposte

Neurologiche

1.Sfogarsi


imprecazioni, bestemmie, profanità

ira, frustrazione, sorpresa, paura, disgusto

sorpresa, paura, imbarazzo

Azioni

psico-sociali

2.Eccitare

3.Esprimere disgusto


4.Divertirsi, divertire
5.Avvicinarsi

6.Attirare l'attenzione, provocare, minacciare


7.Emarginare, scomunicare

8.Offendere, squalificare, maledire



oscenità, scatologia
scatologia

scatologia, oscenità, insulti


slang, tutti

tutti


insulti

insulti, maledizioni



eccitazione

disgusto


gioia, gioco

intimità, informalità


trascuratezza, irritazione, rabbia

disprezzo, ira, aggressività


disprezzo, ira, aggressività



eccitazione, vergogna
disgusto, emarginazione
gioia, gioco, sorpresa
intimità, informalità
sorpresa, imbarazzo, paura, curiosità

disprezzo, vergogna, tristezza, rabbia, rancore


disprezzo, vergogna, tristezza, rabbia, rancore

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