Fra “vanitas” e “veritas”: un appello per la città futura



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La verità e la maschera:

un augurio di Natale

(Il Centro Sabato 24 Dicembre 2005, 1 e 10)
di
Bruno Forte

Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto


Nel tradizionale incontro natalizio con gli amministratori della cosa pubblica, ho proposto alcune riflessioni, di cui desidero far partecipi quanti all’approssimarsi del Natale avvertono più viva l’urgenza che si agisca coralmente al servizio del bene comune. Perché questo avvenga è necessario prestare la massima attenzione alla domanda etica, inevitabilmente sottesa all’agire sociale e politico: non ci sarà crescita della qualità della vita per tutti se non si realizzeranno scelte ispirate a un modello, che anteponga il bene di tutti agli interessi egoistici dei singoli. Una geniale formulazione di un tale criterio etico mi sembra quella elaborata da Sant’Agostino in un momento storico non meno drammatico e complesso del nostro, quale fu l’epoca del tramonto dell’impero romano. A quanti accusavano i cristiani della responsabilità della disgregazione in atto, il Vescovo africano non temé di indicare le vere ragioni della crisi: l’impatto esterno dei barbari è un elemento solo concomitante, aperto peraltro a possibilità positive, come quelle delle linfa nuova che essi portavano nel sangue di una civiltà ormai in sfacelo. La profonda causa della crisi della grandezza di Roma è per Agostino di carattere morale: è la tendenza diffusa - avallata dai vertici, ma divenuta mentalità comune - a preferire la vanitas alla veritas. I due concetti sono espressione di logiche opposte: la vanità è connessa alla logica dell’apparenza, a quel trionfo della maschera, che copre interessi esclusivamente egoistici e prospettive di corto metraggio dietro proclamazioni di intenti altisonanti. La verità è quella che misura le scelte sui valori etici permanenti, e quindi sulla dignità inalienabile della persona umana davanti al suo destino temporale ed eterno. Fra le tante, una citazione dal De Civitate Dei può aiutare a comprendere la differenza intesa da Agostino: al mondo “che si dissolve e sprofonda” (“tabescenti ac labenti mundo”) egli vede opporsi l’opera di Dio, che va radunandosi una famiglia, per farne la sua città eterna e gloriosa, fondata “non sul plauso della vanità, ma sul giudizio della verità” (“non plausu vanitatis, sed iudicio veritatis”: II, 18, 2). L’intuizione mi pare di un’attualità impressionante: di fronte a una civiltà della maschera, che persegue i miti del consumismo esasperato e dell’edonismo rampante, si profila una visione alternativa, costruita sulla verità delle cose e sul primato dei valori a cui a nessuno è lecito sottrarsi. Quali sono questi valori? Vorrei provare ad indicarli confrontando “vanitas” e “veritas” in alcuni grandi ambiti della vita sociale.



In primo luogo, l’ambito della politica: l’elevato tasso di litigiosità di cui ci dà prova quotidianamente la dialettica delle parti è spesso frutto di un modo di concepire il governo che ha separato l’autorità dall’effettiva autorevolezza dei comportamenti e la rappresentanza democratica dalla reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini. Dove l’amministratore o il politico perseguono unicamente il proprio interesse, puntando sull’immagine e sulla produzione del consenso indotta per via di favoritismi o di profitti legati a gruppi di potere, lì trionfa la “vanitas” a scapito della “veritas”. Il primato della verità esige una prassi politica e amministrativa ispirata alla ricerca disinteressata del bene comune, capace di ascoltare e coinvolgere i cittadini come portatori di bisogni e di diritti, di proposte e di possibilità reali: l’ideale della così detta “good governance” è inseparabile da una forte tensione etica rispettosa della partecipazione di tutti ai processi decisionali e rivolta al loro servizio e non alla loro utilizzazione strumentale ai fini della produzione del consenso. Sul piano dei modelli culturali la “vanitas” trionfa lì dove si privilegia la ricerca dell’effimero, sradicando la realizzazione del bene comune dalla memoria collettiva, di cui sono tracce preziose le opere dell’arte e dell’ingegno e le tradizioni spirituali e religiose. Una comunità sradicata dalla sua memoria è al tempo stesso privata della sua identità e rischia di essere esposta a strumentalizzazioni perverse: il trionfo della “veritas” consiste invece nel rispetto e nel recupero del patrimonio culturale, artistico, religioso della collettività, come base per il riconoscimento dei reali bisogni e delle priorità cui tendere. Un’azione educativa capillare, sostenuta da un sistema efficiente di didattica e di ricerca scientifica e da un impegno corale di testimonianza credibile, è condizione indispensabile per la salvaguardia della dignità presente e futura del nostro popolo.

L’ambito dell’economia non è meno soggetto alla contrapposizione fra “vanitas” e “veritas”: se alla prima si ispira un’azione orientata al solo profitto e all’interesse privato, alla seconda punta un’economia integrata, attenta non solo alla massimizzazione dell’utile, ma anche alla partecipazione di tutti ai beni, al coinvolgimento dei più deboli, alla promozione dei giovani, delle donne, degli anziani, delle minoranze. Un’economia di comunione, che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future, è il modello significativo della svolta necessaria in questo campo. La città futura non potrà essere programmata e gestita secondo logiche esclusivamente utilitaristiche: o sarà frutto di un’economia civile, in grado di valorizzare tutti i soggetti in gioco e di promuoverne la crescita comune, o rischierà di accrescere i processi di frammentazione, che producono la perdita della qualità della vita personale e collettiva. Infine, è l’etica il campo di applicazione più profondo della dialettica proposta da Agostino: a una morale individualista e utilitaristica, finalizzata esclusivamente all’interesse dei singoli o dei pochi, occorre opporre un’etica della verità, aperta a valori fondati sulla comune umanità e sulla dignità trascendente della persona umana. Questa etica può caratterizzarsi per il primato della responsabilità verso gli altri, verso se stessi e verso l’ambiente, per l’urgenza conseguente della solidarietà, che pone in primo piano i diritti dei più deboli, singoli, gruppi, popoli o interi paesi e per l’apertura ai valori spirituali, che vanno dall’insieme dei beni culturali e artistici, alla libertà religiosa, al rispetto e alla promozione delle esperienze di ricerca, di culto e di testimonianza di Dio. Alla luce di questi orizzonti, l’augurio che sento di fare a tutti è che Colui che viene a visitarci nel Vangelo della Natività trovi i nostri cuori aperti e disponibili, per fare di ognuno di noi un costruttore umile e convinto della giustizia e della pace, nel rifiuto di ogni maschera, nel sì alla forza liberante della Verità. È quanto chiedo a Dio per me, per tutti noi. Buon Natale a tutti!
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