Fra “vanitas” e “veritas”: un appello per la città futura



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#39721

La centralità della persona nell’economia globale
+ Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

Intervento al Convegno UCID Abruzzo Molise del 15.7.2005

Chieti



L’epoca di profonde tensioni, che stiamo vivendo, è caratterizzata dai processi della crescente globalizzazione economico-finanziaria, cui si contrappone la crescita di conflittualità seguita agli eventi dell’11 Settembre 2001. Anche se non si può semplificare lo scenario del nostro presente nello schema dello “scontro delle civiltà”, ipotizzato da Samuel Huntington, è indubbio che il tasso di violenza innescato dal terrorismo internazionale e dalla risposta bellica ad esso incide profondamente tanto sulle relazioni sociali, politiche ed economiche planetarie, quanto su quelle interne alle economie e alle politiche nazionali o continentali. Risulta sempre più evidente che non ci sarà crescita della qualità della vita per tutti se non si realizzeranno processi di pace costruiti sulla via della giustizia per tutti e della riconciliazione offerta ed accettata. Il criterio etico ispiratore di quest’azione tanto complessa, quanto necessaria, dalle enormi incidenze economiche, politiche e culturali, potrebbe ricondursi a quello elaborato da Sant’Agostino in un momento storico non meno drammatico e complesso del nostro, quale fu l’epoca del tramonto dell’impero romano. A quanti accusavano i cristiani della responsabilità di quella sconvolgente disgregazione, il Vescovo africano non temé di indicare le vere ragioni della crisi: l’impatto esterno dei barbari è per lui un elemento solo concomitante, aperto peraltro a possibilità positive, come quelle delle linfa nuova che essi portavano nel sangue di una civiltà ormai in sfacelo. La profonda causa della crisi della grandezza di Roma è per Agostino di carattere morale: è la tendenza diffusa - avallata dai vertici, ma divenuta mentalità comune - a preferire la vanitas alla veritas. I due concetti sono espressione di logiche opposte: la vanità è connessa al primato dell’apparenza, a quel trionfo della maschera, che copre interessi esclusivamente egoistici e prospettive di corto metraggio dietro proclamazioni di intenti altisonanti. La verità è quella che misura le scelte sui valori etici permanenti, e quindi sulla dignità inalienabile della persona umana davanti al suo destino temporale ed eterno. Fra le tante, una citazione dal De Civitate Dei può aiutare a comprendere la differenza intesa da Agostino: al mondo “che si dissolve e sprofonda” (“tabescenti ac labenti mundo”) egli vede opporsi l’opera di Dio, che va radunandosi una famiglia, per farne la sua città eterna e gloriosa, fondata “non sul plauso della vanità, ma sul giudizio della verità” (“non plausu vanitatis, sed iudicio veritatis”: II, 18, 2). L’intuizione mi pare di un’attualità impressionante: di fronte a una civiltà della maschera, che persegue i miti del consumismo esasperato e dell’edonismo rampante, si profila una visione alternativa, costruita sulla verità delle cose e sul primato dei valori a cui a nessuno è lecito sottrarsi. Qual è questa verità? Quali sono questi valori? Vorrei provare ad indicarli confrontando “vanitas” e “veritas” in cinque grandi ambiti di questioni che investono la centralità della persona nell’economia globale.

In primo luogo, l’ambito della politica e delle istituzioni: la disumanizzazione della vita civile davanti a cui tanto spesso ci troviamo è frutto anche di un modo di governare che ha separato l’autorità dall’effettiva autorevolezza dei comportamenti e la rappresentanza democratica dalla reale rappresentatività dei bisogni e degli interessi dei cittadini. Dove l’amministratore o il politico persegue unicamente il proprio interesse, puntando sull’immagine e sulla produzione del consenso indotta per via di favoritismi o di profitti legati a gruppi di potere, lì trionfa la “vanitas” a scapito della “veritas”. Il primato della verità esige invece una prassi politica e amministrativa ispirata alla ricerca disinteressata del bene comune, capace di ascoltare e coinvolgere i cittadini come portatori di bisogni e di diritti, di proposte e di capacità realizzative: l’ideale della così detta “good governance” è inseparabile da una forte tensione etica rispettosa della partecipazione di tutti ai processi decisionali e rivolta al loro servizio e non alla loro utilizzazione strumentale ai fini della produzione del consenso.

Sul piano dei modelli culturali e delle risorse spirituali la “vanitas” trionfa lì dove si privilegia la ricerca dell’effimero, sradicando la realizzazione del bene comune dalla memoria collettiva, di cui sono tracce preziose le opere dell’arte e dell’ingegno e le tradizioni spirituali e religiose. Una comunità sradicata dalla sua memoria è al tempo stesso privata della sua identità e rischia di essere esposta a strumentalizzazioni perverse: il trionfo della “veritas” consiste qui nel rispetto e nel recupero del patrimonio culturale, artistico, religioso della collettività, come base per il riconoscimento dei reali bisogni e delle priorità cui tendere. Un’azione educativa capillare, sostenuta da un sistema efficiente di didattica e di ricerca scientifica, è condizione indispensabile per la conservazione dei beni culturali e ambientali, ed ha un impatto positivo sull’economia, che va calcolato sia sincronicamente, in rapporto alla fruibilità degli stessi beni per la società civile e per i movimenti turistici, sia diacronicamente, misurandone gli effetti benefici sui tempi lunghi e i risparmi connessi a una sana azione di tutela e di prevenzione.

Un terzo ambito in cui è possibile verificare la dialettica agostiniana di vanità e verità è quello della pianificazione urbanistica: può qui considerarsi prodotto della “vanitas” ogni approccio ideologico, tendente ad imporre alla realtà logiche funzionalistiche ispirate a modelli preconfezionati, sganciati dall’analisi e dal rispetto del territorio, dell’ecologia, delle risorse umane e delle componenti spirituali. Sarà al contrario sostenuta dalla forza della verità un’economia urbanistica attenta alla dignità della persona umana come centro e cuore di ogni intervento, tesa alla realizzazione di comunità a dimensione umana, dove la relazione interpersonale sia valorizzata e promossa. Ciò esigerà un’azione sociale e politica volta a superare le sperequazioni sociali, con un’attenzione privilegiata ai più deboli e alle legittime esigenze connesse ai loro diritti di persone e di cittadini. Dove la “vanitas” fa dell’efficienza un assoluto, la “veritas” sceglie il primato dell’equità, sia sul piano della distribuzione delle risorse, sia su quello dell’articolazione dei tempi e del coinvolgimento attivo dei destinatari.

L’ambito dell’economia non è meno soggetto alla contrapposizione fra “vanitas” e “veritas”: se alla prima si ispira un’azione economica orientata al solo profitto e all’interesse privato, alla seconda punta un’economia integrata, attenta non solo alla massimizzazione dell’utile, ma anche alla partecipazione di tutti ai beni, al coinvolgimento dei più deboli, alla promozione dei giovani, delle donne, degli anziani, delle minoranze. Un’economia di comunione, che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future, può essere un modello significativo della svolta necessaria in questo campo. La città futura non potrà essere programmata e gestita secondo logiche esclusivamente utilitaristiche: o sarà frutto di un’economia integrata, che unisca all’interesse pubblico e a quello privato con esso compatibile il ruolo di un’“economia civile” in grado di valorizzare tutti i soggetti in gioco e di promuoverne la crescita collettiva, o rischierà di accrescere i processi di frammentazione, che producono la disumanizzazione della città. Qui la centralità della persona umana, come termine di riferimento e di misura in ogni sua espressione, appare il criterio veramente decisivo, dove “vanitas” e “veritas” vengono a discriminarsi.

Infine, è in generale l’etica il campo di applicazione più profondo della dialettica proposta da Agostino: a una morale individualista e utilitaristica, finalizzata esclusivamente all’interesse dei singoli o dei pochi, occorre opporre un’etica della verità, aperta a valori fondati sulla comune umanità e sulla dignità trascendente della persona umana. Questa etica può caratterizzarsi per il primato della responsabilità verso gli altri, verso se stessi e verso l’ambiente, per l’urgenza conseguente della solidarietà, che pone in primo piano i diritti dei più deboli, singoli, gruppi, popoli o interi paesi (si pensi ad esempio alla questione del debito internazionale dei paesi poveri e della necessità del condono, anche come forma di riparazione per i danni ecologici prodotti dal sovra-sviluppo dei paesi ricchi), e per l’apertura ai valori spirituali, che vanno dall’insieme dei beni culturali e artistici, alla libertà religiosa, al rispetto e alla promozione delle esperienze di ricerca, di culto e di testimonianza di Dio.



Ciò che appare urgente nelle prospettive di un’economa globale attenta agli sviluppi del bene di tutti, per tutti è allora il recepire l’opzione di fondo per un’etica della verità, perché sotto i vari profili si tenda a privilegiare alla logica di corte vedute della “vanitas” - dell’effimero, dell’apparente, dell’egoistico - la logica della condivisione e del servizio. In questo senso, occorre un impegno comune a servire la causa della crescita della qualità della vita di tutti, per tutti, con il coinvolgimento convinto e responsabile di ciascuno, al di là delle differenze di convinzioni politiche o religiose. Il fatto che l’etica della “veritas” trovi nella tradizione biblica la sua ispirazione più profonda nulla toglie alla sua portata universale: prova anzi - se mai ce ne fosse bisogno - che il “grande codice” che è la Bibbia contiene un potenziale di giustizia e di pace a cui tutta l’umanità ha attinto e potrà attingere senza paura di settarismi o di sopraffazioni. Affermarlo di fronte agli scenari di barbarie aperti di nuovo dal terrorismo e dinanzi alla permanente tragedia della violenza inevitabilmente connessa alla scelta bellica è motivo di speranza che ci riguarda tutti, credenti e non credenti, nella misura in cui ci sta a cuore una città futura che sia meno dissimile dalla città di Dio, voluta e sperata dal Signore della storia per l’intera famiglia umana.




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