A ANGIOY
Su milli settighentoschimbantunu
est naschidu a Bono in Sardigna
da una mama ‘ona. illustre e digna,
E lul batizant in cussu Comunu.
A nomene l'ant postu Zomaria,
pizinnu sanu e bellu che fiore
coronadu lis benit s’amore
prenande sa domo de allegria.
Cando mannitu, ti mando a iscola
amanu aganzada ti che leo
finzas a che finire s’ateneo
mama non ti lassat a sa sola.
Inie s’andat dae gradu in gradu
C’agatas sos dottos de iscenzia
Impreada sa tua inteligenzia
Mama ti cheret avocadu
Avocadu de fama e onores,
de onestade e de baleintia
po che ‘ogare custa tirannia
de Ladros e crudeles oppressores.
Cuntenta beneitu l'at sa mama
c'a domo est torradu. magistradu
e Gìuighe onestu e onoradu,
in coro l'est azesa sa fiamma.
1
Iscriet líteras e quadernos Ca sempre bada ite imparare
In su mentres s’est bidu nominare
rapresentante sardu Alterno.
Dubiosu Angioy at azetadu
Issu l’aiat bene cumpresu
Ca cosa b’aiat in mesu
Chi Arborea l’aiat preparadu
Su vicerè ischit de sa circolare
E faghet ‘ettare sos pregones
Chi non tocherant contes e barones
Ca issos solu depent comandare
Sa die ‘e Sant’Andria vintitres
A sos contes non piaghet sa tesi
Si ‘ortat Bessude, Cheremule e Thiesi
de non pagare tassas a viceres
Angioy da-e Caralis est partidu
Su treighi de frearzu s’aviat
Sa zente in caminu creschiat
E finas a Tatari l’ant sighidu
Sos prodes de totu sa costera
E sos Bonesos suos paesanos
Cun furchiddas e cavanas in manos
Pro c’’ogare sa zente forestera
Istamentas e viceres a foras
Totu traitores e tirannos
Isfrutadores da-e medas annos
Cussa zente mala e traitora
Da-e Bonorva caminant cun lestresa
Attraessende in su Logudoro
Pro giompere a sa ‘idda tataresa
Armados de coraggiu ant su coro
Su vintichimbe de su mese ‘e Nadale
In Tatari leadu n’ant sentore
Tuccat a boghes su banditore
Tancant Gianna barcone e portale
In su casteddu ant sos cannones
Chi ant cuminzadu a isparare
Ma su populu sighit a aboghinare
A foras contes marcheses e barones !
Creiant chi l’aiant fatta franca
Poi chi at passadu tantas oras
Aperint sas giannas e nd’essit foras
Arzende in manos bandela bianca
A Angioy l'an resu sos onores,
totu sa idda l'at acclamadu
ca su populu at liberadu:
tribagliantes, massagios e pastores
De lampadas su duos de su mese Cheret faghere a Karalis tucada
Ma ainie non faghet arrivada
In Aristanis firmadu at sos pees.
Prima de arrivare a Campidanu
In Macumere est devidu passare,
però inie, invece de1' azuare,
l'ant gherrada a manu a manu.
E bat bistadu mortos e feridos
E parizos sunt ruttos in terra,
ma luego ant finidu sa gherra
e adaboi sin-de sunt pentidos.
Passados sunt in Settefuentes
Attraessende montes, baddes e serra.
Arrivados che sunt a Munterra
Sighinde su caminu e sos molentes. (1)
In tottue serradu l'ant sa gianna
In Casale abertu l'ant su portone
Pero pro che lu ponnere in presone,
e a morte est bistada sa cundanna.
Su die vintiduos de Nadale
Lu liberat Felice Rubatta,
a che lu ‘ogare fora bi l'ha fatta
bestidu de franzesu uffiziale.
Zomaria in Franza ch' est andadu
Esule inie ch'est abbarradu.
(1) Mulattiera che va verso l'oristanese
.
Giovanni Maria Angioy
1751-1808
Figura tra le massime della storia sarda. Docente universitario, giudice della Reale Udienza, imprenditore, banchiere di orientamento giacobino-progressista, l'Angioy è divenuto per i Sardi un simbolo di riscatto e di indipendenza: per essersi posto a capo di un vigoroso movimento insurrezionale contro i privilegi feudali, ancora vivi e operanti nella Sardegna del XVIII secolo, e per essersi battuto per il rinnovamento sociale dell'isola durante il duro dominio piemontese; diversamente, gli ambienti reazionari (vi spicca lo storico algherese Giuseppe Manno, che ne decretò una sorta di damnatio memoriae) dipinsero l'Angioy come un torbido burattinaio intento a tramare nell'ombra, ispiratore di spietati sicari ed efferati accoltellamenti.
Nacque a Bono nel 1751 dai nobili e ricchi possidenti Pier Francesco Angioy e Margherita Arras. Rimasto orfano in tenera età, gli zii materni si occuparono della sua educazione; la prima tappa fu il collegio Canopoleno di Sassari, nel quale il giovane si dedicò con profitto allo studio della filosofia e del diritto. Nel 1771, conseguita la laurea in leggi presso la regia università di Sassari, Giovanni Maria espresse il desiderio di entrare nella Compagnia di Gesù, contro la volontà degli zii materni i quali, invece, nel 1773, lo mandarono a Cagliari per farvi pratica forense. Nel capoluogo sardo l'Angioy ebbe modo di rivelare l'altezza del suo ingegno. Prima direttore di un collegio cittadino, poi docente di diritto presso la Regia Università di Cagliari, divenne infine giudice della Reale Udienza, cosa che gli fruttò la fama di dotto e integerrimo magistrato.
Il coraggioso temperamento e l'amore che l'Angioy nutriva per la terra natale si manifestarono con forza nel 1793, durante le operazioni che portarono alla cacciata dall'isola delle squadre navali della Francia rivoluzionaria; ma ancora più emersero nel 1794, durante la rivolta del 28 Aprile, organizzata dal popolo cagliaritano contro i piemontesi. In tale occasione l'Angioy, giudice della Reale Udienza, divenne il capo di un comitato permanente che aveva il compito di esautorare il viceré e di potenziare gli stamenti. Quando, tra il 1795 e il 1796, la situazione politica fu ulteriormente complicata dal tentativo della nobiltà conservatrice sassarese e dei feudatari logudoresi di rendersi autonomi da Cagliari per dipendere direttamente da Torino, il viceré Vivalda inviò a Sassari l'Angioy con poteri di alternos (gli stessi poteri viceregi), per sedare gli insorti. L'Angioy fu accolto ovunque come un liberatore dalle popolazioni assoggettate, che ne apprezzavano i palesi orientamenti antifeudali, e si trovò presto in contrasto con gli stessi organi che lo avevano nominato alternos. Avuto sentore di essere caduto in disgrazia presso il viceré e la fazione cagliaritana, mosse contro Cagliari. La marcia, che inizialmente prometteva di concludersi vittoriosamente con l'abolizione dell'odioso giogo feudale, fu fermata nel giugno del 1796 ad Oristano, dove l'Angioy e la schiera dei suoi rivoltosi furono duramente sconfitti. Soffocato ovunque dai piemontesi ogni rigurgito di rivolta, l'Angioy, dopo aver inutilmente cercato di trattare col viceré, abbandonato da tutti, fu costretto a lasciare l'isola. Si rifugiò in Piemonte e poi a Parigi, dove morì nel 1808.
http://www.sitos.regione.sardegna.it/nur_on_line/personaggi/biografie/giovanni_maria_angioy.htm
LA STORIA DELLA SARDEGNA
LA SARDEGNA SABAUDA
La Guerra di Successione spagnola
Nel 1700, Carlo II di Spagna morì senza lasciare eredi e gli successe Filippo d'Angiò, nipote del re di Francia Luigi XIV. Si oppose l'imperatore d'Austria che avanzò la candidatura al trono di Spagna di Carlo d'Asburgo: così nel 1708 un contingente militare inglese agli ordini degli Asburgo occupò Cagliari e l'imperatore insediò un suo viceré.
Nel 1717 il cardinale Alberoni, ministro di Spagna, riconquistò momentaneamente la Sardegna.
La Sardegna ai Savoia
Nel 1720, con il trattato di Londra, l'isola passò ai Savoia e Vittorio Amedeo II divenne re di Sardegna.
1700-1720: lo stato dell'isola
In quel periodo d'incertezza politica, il territorio dell'isola rimase senza controllo: questo stato di cose diede così il via libera al banditismo e alla criminalità rurale.
Il disordine e l'insicurezza nelle campagne, già notevoli nei secoli precedenti, divennero sempre più gravi.
La popolazione della Sardegna versava in uno stato di miseria diffusa e i problemi erano tali e tanti che il governo sabaudo sperò per un po' di tempo di cedere l'isola in cambio di qualche altro possedimento. Tuttavia questi problemi non poterono essere ignorati per molto tempo dal governo piemontese.
La questione del banditismo
La questione del banditismo fu la prima ad essere affrontata con decisione attraverso l'uso di contingenti militari, impegnati contro i malviventi soprattutto nelle montagne del Logudoro e della Gallura.
Questi interventi repressivi colpirono anche le popolazioni dei villaggi, soggette a perquisizioni ed arresti di massa ma il banditismo, che trovava le sue radici nelle condizioni economico-sociali e culturali della società sarda, continuò ad esistere.
La miseria delle popolazioni era la causa prima del banditismo, che però traeva nutrimento da una mentalità diffusa fra la gente: i banditi erano visti come paladini del popolo in miseria e le loro gesta erano cantate nelle poesie popolari poiché erano interpretate come l'unica forma di difesa e di ribellione alle prepotenze delle classi dominanti e dello stato.
Nei primi tempi quindi l'attenzione dei Savoia fu diretta a tenere sotto controllo l'Isola e a garantirne l'ordine interno.
Gli ordinamenti tradizionali del periodo spagnolo furono conservati anche se, il sovrano piemontese evitò di convocare il Parlamento, impedendo così alla nobiltà, al clero e alla borghesia di far sentire le loro richieste.
La politica di Carlo Emanuele III
Nella seconda metà del XVIII secolo l'atteggiamento politico dei Savoia cambiò: il nuovo re, Carlo Emanuele III considerò definitivo il possesso della Sardegna; tutto ciò si tradusse in un impegno nuovo, indirizzato a modificare le condizioni dell'Isola.
A questa spinta riformatrice diede un notevole contributo l'azione del conte Lorenzo Bogino cui fu affidata nel 1759 la direzione politica di tutti gli affari riguardanti la Sardegna. Egli, con la riforma dei Consigli Comunitativi creò organismi di villaggio in grado di contrapporsi al potere feudale e di limitarne gli abusi.
L'istruzione
Nel settore dell'istruzione si procedette alla riorganizzazione degli studi universitari e delle scuole secondarie. Nel 1760 si stabilì l'obbligo dell'uso della lingua italiana, che avrebbe dovuto sostituire lo spagnolo nelle scuole e negli atti ufficiali.
Nel 1764 fu riaperta l'Università di Cagliari e l'anno dopo quella di Sassari, entrambe create nel corso del seicento sotto Filippo III e che, dopo un periodo di sviluppo, erano andate decadendo.
La questione dello spopolamento
Per risolvere il problema dello spopolamento si crearono nuovi centri abitati. Già nel 1738 era stato fondato il villaggio di Carloforte (dal nome del re) con il trasferimento di una parte degli abitanti, di origine ligure, dell'isola di Tabarca, nel mare di Tunisi, all'isola di S. Pietro vicino alla costa sarda sud occidentale.
Nel 1771 e 1808 furono fondate Calasetta e Santa Teresa di Gallura.
La stato dell'economia
Tutti questi interventi per modernizzare la vita economica sociale e culturale dell'isola non bastarono: l'arretratezza era dovuta, sia alla gestione comunitaria della terra, che limitava la possibilità di innovazioni tecniche e miglioramenti agrari, sia alla presenza opprimente della feudalità.
Su questi aspetti non ci fu alcun intervento del governo sabaudo che non mostrò una volontà decisa di riformare la società isolana.
Le rivolte anti-piemontesi
In questa situazione di povertà e malcontento maturò in Sardegna un movimento di rivolta: per la prima volta dopo secoli le popolazioni rurali e urbane decisero di lottare per conquistare condizioni di vita migliori.
Nel 1789 numerosi villaggi insorsero rifiutandosi di pagare i tributi feudali e costringendo le autorità ad intervenire con la forza per riportare l'ordine e per difendere gli interessi dei feudatari. Il movimento di proteste continuò negli anni novanta, anche per l'effetto della Rivoluzione Francese.
Il tentativo di sbarco dei francesi
La Francia, diventata una repubblica, tentava di diffondere i principi della rivoluzione in tutta l'Europa: nel 1793, un'armata francese occupò Carloforte e Sant'Antioco e, successivamente, attaccò il porto di Cagliari. Gli aristocratici e gli ecclesiastici con un abile campagna propagandistica convinsero le popolazioni di Cagliari e dell'entroterra della pericolosità dei Francesi, additandoli come nemici di ogni religione, violenti e schiavisti. La propaganda fu efficace e dei volontari cagliaritani s'improvvisarono militari respingendo il tentativo di sbarco delle truppe francesi; anche Carloforte e Sant'Antioco furono liberati dopo pochi mesi.
G.M. Angioy: i moti rivoluzionari
Questo episodio di resistenza all'attacco francese illuse i Cagliaritani che il governo piemontese avrebbe accontentato una richiesta delle classi dirigenti sarde per una gestione più autonoma dell'Isola. La risposta, infatti, fu negativa e suscitò la protesta dei Sardi che nel 1784 insorsero, allontanando tutti i Piemontesi da Cagliari, Alghero e Sassari. La rivolta urbana si intrecciò con i tumulti antifeudali delle campagne, scatenando un vero e proprio movimento rivoluzionario.
In questa situazione emerse la personalità di Giovanni Maria Angioy che assunse il ruolo di guida contro il feudalesimo e i Piemontesi. Ma nel 1796 Giovanni Maria Angioy fu sconfitto con le sue truppe e per evitare l'arresto raggiunse la Francia dove morì esule.
Le rivolte nonostante questa sconfitta non terminarono e la repressione dei Piemontesi fu sanguinosa: molti furono i morti e moltissimi gli arresti.
La parentesi rivoluzionaria sarda era chiusa, ritornarono il potere baronale, le carestie e i gravosi carichi fiscali.
In questa situazione di crisi economica continuò, legata soprattutto all'arretratezza dell'agricoltura sarda.
L'Editto delle Chiudende
Il Piemonte emanò l'Editto sopra le Chiudende, che autorizzava la chiusura, con siepi o muri, dei terreni sui quali i privati avevano qualche diritto. Si cercò così di stimolare la formazione di una classe di piccoli e medi proprietari terrieri in grado di migliorare i sistemi produttivi.
Tuttavia le operazioni di chiusura avvennero in modo affrettato e spesso illegale, a danno dei piccoli contadini che non avevano i mezzi per costruire siepi o muri di divisione e dovettero subire quindi gli abusi dei proprietari più grossi. Anche i pastori furono danneggiati da questo sistema di chiusure poiché videro notevolmente limitati gli spazi aperti e destinati al pascolo.
Carlo Alberto abolisce il feudalesimo
Nel 1839, sotto il regno di Carlo Alberto, ci fu l'abolizione del feudalesimo ma il sovrano non volle scontentare la nobiltà feudale: decise, infatti, che i nobili fossero ripagati dalla perdita delle rendite feudali, con un "riscatto", un compenso che fu addebitato alle comunità rurali, che dovettero quindi pagare a caro prezzo la loro libertà.
Nel 1847, su richiesta delle classi dirigenti sarde, ci fu l'unificazione di Sardegna e Piemonte sotto un'unica legislazione; l'Isola rinunciò alla propria autonomia e accettò leggi e modi di amministrazione diversi da quelli che avevano regolato per secoli la sua vita.
Portarono grande disagio l'istituzione del servizio militare obbligatorio, che sottraeva alle famiglie il prezioso aiuto dei figli maschi, e i pesanti tributi fiscali che gravavano soprattutto fra i tantissimi piccoli proprietari terrieri, ridotti sul lastrico.
La speranza del governo sabaudo di conquistare la fiducia e il consenso dei Sardi non si realizzo: gli squilibri provocati dai Piemontesi favorirono solo sospetto e rancore nei confronti dello stato.
http://www.sardiniapoint.it/20.html
Giovanni Maria Angioy
Patriotta sardo
Nascita: 1751 Bono
Morte: 1808 Parigi
Giudice della Reale Udienza e professore di diritto civile nell’Università di Cagliari, partecipò alla resistenza dei Sardi contro la flotta francese, che nel 1793 aveva bombardato Cagliari e tentato uno sbarco nell’isola. L’azione francese non produsse alcun esito, ma permise Angioy di acquisire una grande popolarità ed onori dal governo e dal re Vittorio Amedeo III di Savoia. A poco più di un anno di distanza dall’offensiva francese, tra il 1794 e il 1795, il popolo cagliaritano si sollevò contro i Savoia chiedendo la fine del feudalesimo e l’autonomia amministrativa, Angioy si schiero con gli autonomisti. Inviato a Sassari dal viceré come “alternos” (cioè come vicario con gli stessi poteri viceregi), per riportare ordine nella città occupata dai democratici vi fu accolto trionfalmente come un liberatore. Angioy tentò di risolvere, per tre mesi, i conflitti tra feudatari e vassalli attraverso atti legali, sostenendo i diritti di questi ultimi contro il regime feudale. Resosi conto di aver ormai perso l’appoggio della classe dirigente cagliaritana e del governo, tentò il tutto per tutto incontrandosi con alcuni agenti francesi nella speranza di avere da questi il sostegno per mettere in atto un piano sovversivo contro il governo Sabaudo, in quel periodo impegnato in guerra con il Piemonte. Purtroppo, dopo qualche giorno Vittorio Amedeo III firmò l’armistizio di Cherasco e successivamente la Pace di Parigi (1796). Sconfessato e deposto dal viceré come sovvertitore dell’ordine monarchico, nel 1796 marciò su Cagliari a capo di numerose bande armate per ottenere il riconoscimento della fine del regime feudale. Ad Oristano Angioy, fu abbandonato da gran parte dei suoi sostenitori persuasi dalle promesse di impunità avanzate dal viceré. Ormai solo tornò a Sassari, il 15 giugno dello stesso anno si imbarcò clandestinamente a Porto Torres per Genova. Successivamente andò in esilio in Francia dove tentò invano di convincere il Direttorio ad intervenire militarmente nell’isola per instaurarvi la Repubblica.)
http://www.sardus.it/record.php?sezione=6&argomento=2&testo=1&figlio=0&id=4
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