L’evoluzione dell’Islam in Bangladesh
1529
massiccia sulla scena rurale,
81
provocò tuttavia la forte reazione dei maulvi locali, i
quali, con dibattiti pubblici (
bāhās e
munōẓ
ara), cercarono di arginare l’influenza dei
fondamentalisti. Ma ben presto essi stessi avvertirono la necessità di attestarsi su
posizioni riformiste che divulgarono con i loro nasihat nāmā, manuali di istruzione
religiosa, e che essi redassero nonostante lo loro riluttanza ad abbandonare l’urdu,
in una forma aggiornata di dobhāsī o musulmani bengali, caratterizzata da massicci
prestiti dalle “lingue islamiche”.
82
L’efficacia dell’approccio dei maulvi scaturì
principalmente dalla loro capacità di preservare, anche a tutela dei proprio
interessi materiali,
83
le antiche cerimonie socio-religiose del mondo rurale in veste
islamica. Con ciò essi portarono le masse
atrap ad essere comunque partecipi della
visione unitaria della comunità, secondo un processo che fu consolidato
ulteriormente dalla diffusione di pubblicazioni di natura religiosa e che anche fra
le popolazioni illetterate del mondo rurale ebbe un forte impatto.
84
Fu, dunque,
l’influenza di diverse correnti culturali che portarono il contadino bengalese a
maturare una nuova consapevolezza dell’islam e dell’essere musulmano. Le
risultanti forme di autostima ebbero riflessi principalmente sul piano locale, dove
alla passività tradizionale subentrarono rivendicazioni socio-economiche.
Significativa, da questa prospettiva, fu la rivolta, nel 1930, dei contadini
musulmani di Kishoreganj. Sugata Bose, dopo avere esaminato le radici
economiche della rivolta, è portato ad attribuire un ruolo anche alla “increasing
self assertion” dei contadini musulmani e conclude osservando che: “it was the call
of Islamic unity that they responded to give in their own minds a powerful
ideological legitimation to their rejection of the old economic political and moral
order”.
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Questi diversi processi, pur esaltando il senso di “musulmanità” non riuscirono
ad attuare un’integrazione sostanziale della frattura socio-religiosa esistente.
Pertanto l’urgenza di realizzare una visione inclusiva della comunità, portarono il
revival religioso ad avere un ruolo maieutico nella formazione di un’entità
musulmana bengalese, che risultò essere fluida, plurale. Una pluralità in cui, sullo
sfondo di perduranti disparità socio-economiche, si sovrappongono e si intrecciano
81
Come scrive Rafiuddin Ahmed: “Unlike most élite ulama, the reformist chose as their sphere of
activity not the intellectual élite or the urban population but the rural masses in general. They built
networks of centers for the propagation of the religious ideals of Islam, using village mosques as their
basic units”. Ahmed, 1988, p. 130.
82
Wilce, rifacendosi all’antropologo Bateson, definisce questo processo “complementary
schismogenesis”: “Hindus under British influence took linguistically puristic steps, which provoked
counter-steps by Muslims to “purify” Bengali of Sanskritic influence”. Wilce, 1988, p. 2.
83
Uddin sottolinea che questo ceto religioso rurale “became compelled to participate in religious reform
dialogue as a way of protecting and preserving their interest as religious leaders and guides of the rural
areas”. Uddin, 2006, p. 61.
84
Come scrive Uddin: “In villages throughout Bengal, people bought copies of books written in Bengali
on Islamic topics. Though the majority of Muslims in rural Bengal had little to no schooling, people
gathered in groups, where someone read aloud to an audience”. Uddin, 2006, p. 178. Sembra di essere
in presenza di una forma di “literacy awareness” che Bayly (1998) vede come una costante del periodo
pre-coloniale.
85
Bose, 1982, p. 492.
A
MEDEO
M
AIELLO
1530
costumi regionali bengalesi, in primo luogo l’identificazione con la (tanto
ostacolata) legittimità islamica della lingua, ed una visione extraterritoriale che,
come nota Gilmartin, fu vivificata dalla stessa modernità coloniale:
Devotion and sacrifice in the name of Islamic symbol also served to
imaginatively link the Indian Muslim community to Islam’s worldwide.
Networks of connection had, of course, long linked South Asian Muslims to
the Middle East and Southeast Asia, through pilgrimage, networks of
travelling ulama, Sufi orders and the flow of religious ideas. But now Muslims
used the networks of the press and publications in India itself- and Islamic
symbols, to shape and image of Indian Muslim community as a key player in
the worldwide umma.
86
Sullo sfondo della diffusa frantumazione identitaria dei musulmani dell’India,
la pluralità bengalese presenta tratti originali e ciò non tanto sul piano sostanziale,
quanto nel grado di consapevolezza alla base del processo di integrazione delle
diverse componenti identitarie. Una pluralità che è insieme fragile, ma anche
resistentissima, appunto perché basata su un bisogno reale che ne genera la
domanda. È questa identità multipla che ha fornito la tensione per avviare una
negoziazione da un lato con la modernità, in particolare con il demone del
nazionalismo, dall’altra con lo stesso Islam.
I diversi segmenti della comunità si rapportarono alla situazione plurale non in
modo omogeneo; tuttavia, più che la conflittualità interna, è stato il gioco
contingente delle forze esterne a indurre nel tempo percezioni contrapposte della
cornice identitaria. Negli anni ’30, pure in presenza del peso crescente di un
sentimento comunitario pan-indiano, i musulmani bengalesi, come altri gruppi
regionali,
87
in risposta alla provincializzazione del potere, ribadita con la legge del
1935, optarono di accentuare l’identità politica regionale, che si manifestò con
l’ascesa del Krishak Praja Party di Fazlul Haq.
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Negli anni ’40 la percezione reale o
immaginaria del pericolo di un nazionalismo monolitico, rappresentato dal
Congresso, indusse i Bengalesi ad appoggiare la Lega di Jinnah.
89
Il prevalere della
visione extraterritoriale porterà alla divisione del Bengala e alla creazione del
Pakistan. Nel ’47 sia in India che in Pakistan, aderendo ad un’ideologia statalista di
chiara matrice occidentale, la creazione di un centro forte fu ritenuta una priorità
assoluta. Questa esigenza, che in un Pakistan che nasceva istituzionalmente debole,
86
Gilmartin, 2005, p. 61.
87
Jalal scrive: “The Politics of Muslim identity in the sub-continent cannot be reduced to a mere
rationalization of normative Islamic discourse. There is much variation even within this élite discourse,
not all of which focused on the knotty issue of electoral representation, and still greater evidence of
Muslim willingness to differ from rather than defer to the consensus of the community”. Jalal, 1999, p. 4.
88
Sulle fazioni musulmane del periodo attive in Bengala si rimanda a Jalal, 1985, pp. 24-27.
89
Tesi centrale dell’interpretazione della Partition, proposta dalla ormai controversa e forse anche
ostracizzata storica di origina pakistana Ayesha Jalal (1985).