Autonomia e riscatto, I principi libertari ed identitari di g m. angioy a 210 anni dal moto popolare



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I primi abitanti dell'isola

Le prime tracce dell'uomo in Sardegna furono rinvenute proprio nei pressi di Sassari, esattamente a Perfugas, nel Rio Altana. Tali testimonianze consistevano in pietre lavorate (vedi Archeologia); la quantità di ritrovamenti ha rivelato come in quel sito vi fosse una consistente industria litica. E' abbastanza pretenzioso collegare questi reperti con l'odierna Sassari, tuttavia è innegabile l'importanza dell'area sin dalla preistoria. Rimanendo nel raggio di 50 Km, si possono trovare gli insediamenti ed i reperti maggiormente significativi delle culture preistoriche in Sardegna. Le testimonianze della Cultura di Bonu Ighinu (4000-3500 a.C.) furono individuati per la prima volta nei pressi di Mara, a sud di Sassari;  i reperti che consentirono di individuare la Cultura di Ozieri, furono trovati nel paese medesimo; il maggiore monumento di questa civiltà, l'altare di Monte d'Accoddi, si trova appena fuori la cinta urbana di Sassari.

 

L'inizio ufficiale della storia Sarda

Queste citazioni continuano fino all'inizio ufficiale della storia sarda, cioè il 1000 a.C., allorquando i fenici fecero conoscere la loro epigrafia nell'isola. Questa popolazione mediorientale si stabilì principalmente nella parte sud-occidentale della Sardegna, tuttavia attrezzò alcuni scali anche nei pressi delle odierne città di Porto Torres, Castelsardo e Bosa (NU), nella quale fu rinvenuta la più antica epigrafe fenicia. Nel VI secolo a.C., gran parte del territorio di Sassari rimase aldilà della linea di conquista dei Cartaginesi, che non riuscirono mai a dominare l'isola completamente. I fenici d'Africa conquistarono, con tutta probabilità, solo il Golfo dell'Asinara, strappando ai nuragici la fortezza di monte Cau, nei pressi di Sorso, dalla quale potevano dominare tutto il braccio di mare ed opporsi ad eventuali sortite dei guerriglieri sardi. Con la dominazione romana (238 a.C.) iniziò un maggiore sfruttamento dell'ansa,  che occupava un'area di rilevanza strategica nel nord dell'isola. Nell'ultima metà del  I secolo a.C. venne fondata Turris Lybisonis, attualmente inglobata nell'abitato di Porto Torres; nel 27 a.C.  questo importante scalo portuale divenne ufficialmente una colonia romana, dalla quale venivano esportate ingenti quantità di cereali, coltivate nell'entroterra. Nel Golfo fiorì anche il centro di Ampurias, nei pressi dell'attuale Valledoria, grazie alla fertile vallata in cui scorre il fiume Coghinas.

 

La Guerra Santa e l'Età Giudicale 

I romani furono cacciati dai Vandali, che a loro volta subirono lo stesso destini per mano dei bizantini. Durante tale periodo quasi tutti i centri litoranei caddero lentamente in rovina, riducendosi definitivamente in miseria intorno al 630 d.C., alla morte del profeta Maometto, che segnò l'inizio della Gihàd, la Guerra Santa, durante la quale gli arabi invasero innumerevoli volte le città costiere.  La Sardegna era governata da un Judex, il quale risiedeva a Santa Igia (attualmente inglobata nel centro abitato di Cagliari). In quegli anni il governatore si trovò nella difficile situazione di dover fronteggiare gli attacchi esterni degli arabi e quelli interni dei barbaricini, inoltre mancava qualsiasi aiuto da Bisanzio, il cui regno era lacerato da profondi contrasti interni, che portarono ad un totale disinteresse per le colonie più distanti. Per arginare i problemi dell'isola, il Judex non trovò altra soluzione che demandare i propri poteri ai luogotenenti dei distretti di Gallura, Arborea e Torres, lasciandoli liberi di affrontare la difficile situazione. Intorno all'anno mille gli stati si resero indipendenti, dando inizio alla gloriosa "Età Giudicale". Il regno di Torres, più comunemente conosciuto come Logudoro, era comandato da un Giudice o Re, che risiedeva ad Ardara, in quanto Torres (Porto Torres) era stata abbandonata durante il periodo delle incursioni saracene. Intorno al 1015 il reggente si trovò a contrastare l'invasione del Califfo Mugiahid, signore delle Baleari, intenzionato ad invadere l'intera penisola italiana, partendo proprio dalla Sardegna (vedi guida: Alghero).

Per contrastare l'avanzata araba, il re di Torres e Arborea, Gonnario-Comita, chiese aiuto al Pontefice, il quale chiamò in causa alcuni signori pisani e genovesi. Le due città della penisola, allora repubbliche marinare nascenti ed in forte espansione, trovarono in tale alleanza la scusa per iniziare una penetrazione all'interno delle politiche isolane. Intanto ad Ardara venivano costruiti il castello e la splendida Cattedrale romanica di Santa Maria del Regno. Verso la fine dell'anno mille, il Giudice Mariano I iniziò una politica di apertura verso le due potenze marittime, concedendo la costruzione di Castelgenovese (Castelsardo) ed Alghero ai Doria, mentre alla famiglia pisana dei Malaspina diede il permesso di fortificare Bosa ed Oschiri. Furono fatte concessioni anche al clero, in favore del quale vennero innalzate chiese e monasteri, tra i quali quello di Sant'Andrea nell'isola dell'Asinara e la Basilica di Saccargia nei pressi di Codrongianus.

Nei primi decenni del 1100 iniziò ad ingrandirsi il piccolo borgo di Thathari (Sassari), che divenne ben presto il capoluogo della curatoria di Fluminargia. Il Giudicato attraversò in quegli anni una serie di alti e bassi, dovuti alle alterne vicende dei conflitti tra Genova e Pisa, oltre a quelli dello stesso giudicato con gli altri regni. Nel 1200 il Logudoro conobbe il suo massimo splendore, guidato da Mariano II, il quale avrebbe potuto regnare legalmente anche sui giudicati di Arborea e Calari, diritto che comunque non esercitò. Sassari intanto era diventata una modesta città, popolata da ricchi mercanti, che utilizzavano Porto Torres come scalo per i loro affari; anche Castelgenovese cresceva d'importanza, aiutato dallo spopolamento della vicina Ampurias, a seguito dell'impaludamento del fiume Coghinas; i Doria assimilarono nei territori anche l'isola dell'Asinara, di primaria importanza per il controllo del porto.  Il fiorire della realtà sassarese sembrò coincidere con la decadenza del giudicato.

I primi giudici del regno di Torres erano stati i Lacon-Gunale, i quali avevano imposto la discendenza dinastica per l'elezione del re in tutti i giudicati. Per tale legge il discendente al trono doveva essere scelto dal parlamento giudicale (Corona de Logu) tra i possibili eredi del Re, anche se solitamente veniva preferita la linea diretta maschile (il primogenito).  Adelasia di Torres in punto di morte, nel 1259, donò il regno alla chiesa, in quanto mancava una qualsiasi discendenza da far salire al trono. Le sue volontà non furono rispettate, infatti i Doria e il Giudicato d'Arborea si diedero battaglia per quei territori, arrivando alla pace solo nel 1293, anno in cui il regno fu equamente diviso tra le due fazioni, segnando l'ingloriosa fine del Giudicato di Torres.

 

 

 



La Repubblica Comunale di Sassari

Sassari invece sfuggì alla spartizione del regno, diventando una repubblica comunale, governata da un podestà. A questo punto il centro iniziò ad assumere la fisionomia che ha mantenuto fin quasi i nostri giorni, crescendo economicamente, culturalmente e strutturalmente, grazie alla costruzione della cinta muraria, di numerose chiese e del palazzo comunale (vedi Sassari). Nel 1295 intanto venne firmato un accordo ad Anagni, che pose fine alla Guerra tra i Catalano-Aragonesi e i Franco-Angioini. L'artefice di tale pace fu il Papa Bonifacio VIII, che con una bieca manovra fondò il regno di Sardegna e di Corsica e lo diede in feudo agli aragonesi, a  patto che questi restituissero alla chiesa il regno di Sicilia.


Ovviamente il misfatto consistette nel non tenere conto che la Sardegna aveva un assetto politico-istituzionale  già conformato. Gli aragonesi avanzarono i loro diritti solo diversi anni più tardi, nel 1324 sconfissero il decadente regno pisano, annettendo gli antichi giudicati di Gallura e di Calari. I sassaresi si schierarono dalla parte degli aragonesi, anche se in breve tempo la popolazione iniziò a risentire del famigerato malgoverno iberico, provocato da sregolata politica feudale. I Sassaresi insorsero per ben due volte nell'arco di un solo anno, la prima rivolta fu repressa, mentre la seconda costò la vita al governatore aragonese ed a tutta la guarnigione.


La situazione tornò alla normalità solo quando i sassaresi videro riconosciuti i vecchi privilegi. La tranquillità non durò a lungo  e nel 1329, tutta la popolazione insorse nuovamente. La repressione stavolta fu schiacciante, la cittadina fu devastata ed i suoi abitanti allontanati e sostituiti da cittadini spagnoli, a parte quei sassaresi ancora fedeli alla corona. Gli Aragonesi entrarono presto in conflitto con i Doria, i quali governavano un piccolo regno che comprendeva il Golfo dell'Asinara e quello di Alghero. In un aspra lotta con gli spagnoli, i Doria persero e riconquistarono i loro possedimenti; durante le operazioni di guerra Sorso fu rasa al suolo dalle forze di Castelgenovese, il quale fu una roccaforte della famiglia ligure fino al 1346, anno in cui venne ceduta ai giudici d'Arborea.

La peste diede uno stop a quei lunghi anni di guerra. Al cessare dell'epidemia gli abitanti dell'isola erano stati quasi dimezzati, ma lo spirito d'indipendenza era ancora vivo. Gli aragonesi furono piegati prima da Mariano IV e successivamente da Brancaleone Doria a fianco della famosa consorte, Eleonora d'Arborea. Dopo questo periodo di grande splendore per la politica isolana, nel 1420, gli Iberici approfittarono di un periodo oscuro per l'antica potenza sarda, priva dei grandi condottieri del passato; fu la fine ultima dei giudicati e la nascita del regno di Sardegna.

Sassari sotto gli Aragonesi

Dopo la caduta dei giudicati Sassari era tornata sotto gli aragonesi e la sua crescita sembrava inarrestabile, sennonché i feudatari osteggiarono nuovamente il potere dei mercanti e la fiorente cittadina cadde in una profonda crisi economica, trascinando con se lo scalo di Porto Torres, ormai inagibile.

Il 1500 viene ricordato come il secolo delle incursioni barbaresche, durante il quale i pirati musulmani, che usarono probabilmente l'Asinara come punto d'appoggio, attaccarono indistintamente  le coste italiane, sarde e spagnole, coadiuvati dall'esercito francese. Vennero colpiti il Castelaragonese (ex Castelgenovese), Alghero, Santa Teresa, Porto Torres, nel 1527 Sassari fu assalita e saccheggiata dai francesi di Francesco I, in lotta contro l'Imperatore Carlo V (vedi guida: Alghero). In questo difficile periodo di guerra, pestilenza e carestia, la religiosità popolare crebbe all'inverosimile, con la nascita di numerose cerimonie sacre ancora esistenti. Alcuni esempi di queste celebrazioni sono: la Settimana Santa, come quella di Lunissanti celebrata a Castelsardo; I Candelieri, la festa più sentita del popolo Sassarese (vedi Avvenimenti).

Il 1600 fu il periodo della rinascita culturale, a Sassari fu aperto un convento di Gesuiti, i quali istituirono l'università, anche se la situazione sociale fece decadere in seguito l'ateneo. Nel 1720 si concluse il penoso regno aragonese, ma i feudatari mantennero i loro diritti, il che non fece migliorare la situazione sociale nell'isola e quindi nel Golfo dell'Asinara. Porto Torres venne risistemata, ma la precarietà dell'intervento la riportò ben presto all'inagibilità, ad Ardara i moti antifeudali scuotevano la popolazione; Sorso e Sennori versavano nelle stesse condizioni, ma ormai da tempo non avevano più le sembianze del paese.

 

I Savoia e la Rivoluzione Sarda

Quando la Sardegna passò in mano ai Savoia, si ebbe un avvio abbastanza deludente, il mantenimento dei diritti feudali, nobiliari e del clero, creava notevoli scompensi nella società, che risentiva fortemente dell'oppressione spagnola. Si registrarono però anche una serie d'iniziative importanti, come la nascita delle poste, la rifondazione dell'Università, la decentralizzazione del potere, con la quale ogni Villa (comune, paese) si dotava di un amministrazione capeggiata da un Sindaco. Tali interventi non sopperirono al malessere diffuso ed a partire dal 1780, si ebbero dei moti di protesta che sfociarono nella "Rivoluzione Sarda".


A seguito della resistenza opposta all'esercito rivoluzionario francese, intenzionato a conquistare l'isola,  i sardi presentarono al Re una serie di proposte, quasi come ricompensa, volte a dimettere l'antico sistema feudo-nobiliare. Al rifiuto del Re si scatenò una tremenda rappresaglia, che portò all'allontanamento da tutta l'isola dei funzionari piemontesi e del viceré. Per frenare gli attriti tra feudatari e popolo, fu mandato a Sassari il Giudice della Reale udienza Giovanni Maria Angioy. Mentre studiava il caso, il Magistrato si fece coinvolgere dalla causa a favore degli antifeudatari, che lo avevano osannato come capo.


Angioy iniziò a preparare un piano eversivo, ma nel mentre il Re accolse gran parte delle richieste fatte precedentemente dai sardi ed il viceré destituiva il magistrato rivoluzionario,  al quale non rimase che  ritirarsi in esilio. I moti antifeudali, a questo punto contro i Savoia, non si spensero (vedi guida:Gallura). La svolta tanto attesa arrivò nel 1836, durante il regno di Carlo Alberto, il quale soppresse le curie feudali e nel 1848, diede il via alla "fusione perfetta", su richiesta dello stesso popolo sardo, abbracciando tutto il territorio sotto un solo potere e mettendo le basi per la futura "Italia unita".

 

L'Età Moderna

Nello stesso anno la Sardegna venne frazionata in 3 divisioni, una delle quali era l'attuale provincia di Sassari (dal 2003 privata della Gallura). Lo scalo di Porto Torres fu finalmente riattivato e a seguito della sua rapida espansione, gli fu concessa nuovamente l'autonomia comunale. In quegli anni l'Asinara aveva visto la sua popolazione di pastori, pescatori e contadini, crescere discretamente, sviluppo che fu arrestato nel 1885, quando l'isola fu destinata a Lazzaretto ed a colonia penitenziaria.

Questa decisione portò alla nascita di Stintino, dove furono ubicate buona parte delle famiglie sfrattate dall'isola. Nel 1997 l'Asinara fu dichiarata parco nazionale, dopo un lungo utilizzo come carcere di massima sicurezza. Intanto Sassari iniziò la sua grande stagione mineraria (1864-1963), aprendo le cave dell'Argentiera e di Canaglia; quasi contemporaneamente si svilupparono una rete ferroviaria e una linea di traghetti tra Porto Torres e la penisola. 

A discreti fattori positivi si contrapponevano i mali della deforestazione, dei conflitti tra agricoltori e pastori, del banditismo e del rinnovamento urbanistico, il quale portò alla distruzione delle antiche mura sassaresi. Durante il primo conflitto mondiale il mondo intero conobbe il valore dei sardi, grazie alle eroiche imprese della Brigata Sassari, i cui uomini furono presto soprannominati i diavoli rossi. Va ricordata l'eroica impresa nella quale la Brigata fermò gli austriaci sul Piave, dopo che questi avevano sfondato le altre linee italiane a Caporetto.

Nel dopoguerra, il sentimento dei reduci si trasformò ben presto in identità popolare, dalla quale scaturirono numerosi dibattiti per la discussione dell'arretratezza economica sarda. In questa situazione fu fondamentale anche La Nuova Sardegna, il primo quotidiano Sassarese, nelle cui fila contava  menti illustri come Mario Berlinguer, (padre del grande statista Enrico). All'avvento del fascismo il Coghinas fu sbarrato da una diga, sulla quale fu installata una centrale idroelettrica, le acque del nuovo invaso diventarono vitali per gran parte della provincia sassarese, una tra le più grandi d'Italia. L'intervento diede anche una mano notevole all'agricoltura, per cui in breve tempo si formarono diversi centri abitati, che furono inglobati nell'attuale comune di Valledoria.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Sassari iniziò finalmente ad espletare il suo ruolo di Capitale del Capo di Sopra, vi fu uno sviluppo di tutti i settori economici, compreso quello dell'industria, grazie alla nascita del mastodontico polo industriale di Porto Torres. A questo progetto si deve la scomparsa del lunghissimo litorale di Marinella, una splendida spiaggia che partiva da Porto Torres ed arrivava fino a Stintino; inoltre venne intrappolato il Rio Mannu, che smise di trascinare le candide sabbie artefici degli splendidi litorali, oggi in grave pericolo di estinzione; per concludere bisogna ricordare il riscaldamento delle acque antistanti il complesso industriale, colpevole di aver modificato la flora e la fauna nei fondali del Golfo.


La crescita di Sassari non risentì del tracollo industriale degli anni '90: università, uffici, artigianato, istituzioni pubbliche e militari, agricoltura, pastorizia e turismo, portarono la città e il golfo dell'Asinara ad uno splendore mai conosciuto. Anche la politica si ritagliò il suo spazio, sfornando ben due Presidenti della Repubblica: Antonio Segni e Francesco Cossiga. Attualmente Sassari è un centro in continua espansione, impegnato a rispolverare il suo patrimonio storico, culturale e ambientale, rimasto un po' in disparte negli anni '70 e '80, ma mai abbandonato o lasciato rovinare.

 

 

 



 

http://www.marenostrum.it/tappa.php?itinerario=9&tappa=85

 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



GIOVANNI LILLIU

La costante autonomistica sarda

(Relazione svolta a Cagliari presso l’ITIS “Giua” il 26 febbraio 1999)

1 - Dopo i lunghi tempi dell’indipendenza, la Sardegna ha avuto uno strano marchio storico: quello di essere stata sempre dominata (in qualche misura ancor oggi), ma di avere sempre resistito. Un’isola sulla quale è calata per secoli la mano oppressiva del colonizzatore a cui ha opposto, sistematicamente, il graffio della resistenza.

In questa dialettica perenne i Sardi sono riusciti a mantenere, anzi a sviluppare, l’identità di popolo e, da ciò sostenuti, a percorrere, senza sosta, un cammino di autonomia, per il riscatto e per il ritorno alla libertà dell’origine.

Si discute, dagli storici, sul quando e sul come sia nato questo sforzo di organizzarsi secondo il proprio genio, corrispondendo a un diritto di natura e di gente sarda specificamente e diversamente connotata.

Vi è chi opina di riconoscere il punto iniziale della coscienza e del moto autonomistico nel periodo giudicale, quando in una vasta parte dell’isola – quella dell’Arborea – si era realizzata l’autonomia statuale, al punto che gli stessi dominatori stranieri della parte restante vi riconoscevano la nacion sardesca. Altri storici sono d’avviso che i presupposti della questione sarda, in termini di autonomia, stiano nel cosiddetto “triennio rivoluzionario sardo”, cioè nei fatti verificatisi in Sardegna dal 1793 al 1796. Ma vi è infine chi pensa – io tra questi – che il punto critico del riscatto autonomistico vada collocato già al momento in cui la Sardegna fu spaccata in due dall’imperialismo cartaginese, alla fine del VI secolo a. C., perdendo l’unità nazionale morale e reale: il più grande dramma storico dell’isola. Allora fu travolta la lunga e feconda stagione dell’autonomia del popolo sardo e cominciò la storia millenaria della dipendenza isolana. Il modello cartaginese ha funzionato attraverso tanti altri troni e dominazioni per tutto il percorso storico della Sardegna sino al nostro tempo.

Infatti dalla dipendenza, per quanto si vadano cogliendo annunzi e attese liberatorie, i Sardi non ne sono ancora usciti, interamente. In quella drammatica circostanza sono nate le due culture che ancora distinguono e tormentano l’isola e i suoi popoli, è nata la dicotomia continente – mare, lo scontro libertà – integrazione, la questione della Sardegna. Fu allora che gli indigeni fuggiaschi, diventati veramente barbaricini per spazio geografico e per psicologia, dovettero pronunziare per la prima volta, nella genuina lingua sarda del ceppo basco – caucasico, il detto barbaricino “furat chie venit da e su mare”, “ruba chi viene dal mare”.

A quel nocciolo storico può risalire la formazione del tessuto culturale, il contesto socio – economico, la struttura spirituale e l’ordinamento giuridico (non ancora del tutto spento) dell’attuale mondo sardo delle “zone interne”: un mondo, come tutti sanno (e meglio, dopo le indagini antropogiuridiche del compianto Pigliaru), antico, chiuso ma reattivo, carcerato (come in una “riserva”) ma resistente e sprigionatore di autonomia.

2 - Scorrendo le fonti classiche, i frammenti che ci sono rimasti di quel paesaggio umano remoto della Sardegna in conflitto perenne con Cartagine e Roma dal VI secolo a. C. sino al I d. C., indicano la ripulsa del dominio e la determinazione di tornare a “su connotu”, la stagione dell’autonomia. Gli autori greci e latini ci dicono di capanne sperdute dove i pastori si cibano soltanto di latte e carne, scrivono di loro tecniche militari difensive consistenti nel mimetizzarsi in boschi e caverne e di sortite improvvise per atti di guerriglia di tipo “partigiano”. Ci parlano dei modi repressivi usati dai Romani, volti a snidare i ribelli con i cani poliziotto, quasi antesignani di quelli moderni, adoperati, anni fa, dai “baschi blu” nelle operazioni contro i “banditi” del Supramonte e più in generale nel Nuorese non integrato e resistenziale.

Conosciamo, dalla letteratura antica, stragi feroci di sardi, azioni di brigantaggio (così definite dai Romani come i nazisti chiamavano “banditi” i partigiani italiani della Resistenza) che costrinsero Tiberio a inviare nel 19 d. C., quattromila liberti ebrei coercendis illic (cioè tra le tribù montane) latrociniis. Sappiamo delle “bardane” dei Galillenses, annidati nei boschi dell’Ogliastra, che occupano periodicamente per vim i praedia dei Patulcenses Campani (i sardi collaborazionisti africanizzati e semitizati, poi romanizzati, del Basso Sarcidano, della Trexenta e di Parte Dolia), sottraendo messi e greggi dal III a. C. al 69 d. C.

Forse è venuto il tempo di spiegare alcuni eventi storici isolani, anche del Medioevo e dell’età moderna oltre alcuni dell’evo antico e contemporaneo, tenendo presenti questi meccanismi resistenziali: del grande scontro delle due culture del VI secolo a.C., della subcultura violenta della legge della montagna che esplode se accerchiata (la “riserva” barbaricina”). Ciò significa moderare i metodi di ricerca della storiografia tradizionale della storia politica – diplomatica che è piena di falsità (è la storia dei vincitori, storia di parte) ed anche quelli di una storiografia che vuole spiegare la resistenza sarda soltanto con ragioni economiche – sociali, in una contrapposizione di classi, senza aver riguardo alle profonde cause della “storia che sta nel non averne”, cioè le cause etniche – etiche intime alla convinzione nei sardi nel valore della propria cultura “minore” o “minoritaria” (in senso di diversità). Si tratta di tener conto dell’importanza determinante dell’elemento “popolo”, dell’elemento “civiltà” nella grande contesa sarda tra le due culture, dove sta il nocciolo vero, il plafond necessitante della resistenza costante, della conflittualità permanente, di una compiuta autonomia che ancora non c’è.


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