2.5. 4. I confini della sentenza della Corte di giustizia
Resta infine da dire che, quanto alle distinte ipotesi di responsabilità dello Stato che non ricadono nel cono d’ombra del diritto dell’Unione, non sembra persuasiva l’idea di operare un raffronto diretto fra responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione europea e responsabilità dello Stato per attività del giudice di ultima istanza che esula da quell’ambito, ben scolpito dall’art.4 del Trattato dell’Unione europea come dall’art. 6 par.1 del medesimo Trattato UE, laddove si enfatizza il concetto di “competenza” delle istituzioni eurounitarie, dal quale deriva la non operatività di tali principi per i settori non riservati alla competenza esclusiva o concorrente dei Paesi aderenti.
Né sembra utile evocare la tendenza, sicuramente in corso tanto sul piano normativo che su quello della Corte di Giustizia, a “sfondare” i confini del diritto dell’Unione fin oltre il territorio che al primo non competono, solo considerando che tale tendenza non mina comunque il principio della competenza che sta alla base delle Istituzioni dell’Unione europea e non sembra in atto consentire un’automatica estensione delle “regole” vigenti per quel sistema ai rapporti di diritto interno.
Si badi bene, non che ciò non sia possibile in astratto, anzi ammettendo la stessa Corte di Giustizia che quando lo Stato decida di introdurre una disciplina interna che ricalca una normativa dell’Unione in campi riservati allo Stato membro la stessa ha buon titolo per offrire un’interpretazione della normativa dell’Unione.
Ma il punto è che tale conclusione non elide la “diversità” fra le due responsabilità, atteggiandosi i rapporti fra giudice e sistema dell’Unione europea in termini diversi da quelli che regolano le vicende interne. Ragionamento, quest’ultimo, che si giustifica soprattutto rispetto al tema della responsabilità per attività interpretativa, non riproponibile sul versante interno proprio per il diverso “valore” che può essere attribuito alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, non riproponibile nell’ambito meramente interno fra orientamenti interpretativi dei giudici nazionali.
Le considerazioni appena espresse sembrano dunque richiedere uno specifico intervento normativo che, sia esso inserito o meno nell’impianto della legge n.117/1988, non potrà tralasciare di considerare le peculiarità dei rapporti “ordinamento interno - diritto UE”.
Sarà dunque necessario isolare la responsabilità dello Stato-Giudice da quella del Giudice di ultima istanza, esplicitamente indicando come parametri di giudizio sui quali fondare l’accoglimento della domanda risarcitoria178 quello della violazione manifesta del diritto comunitario che dovrà essere individuato- o esplicitamente o in via interpretativa- richiamando i concetti di estrazione eurounitaria del grado di chiarezza e precisione della norma violata, del carattere intenzionale della violazione, della scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto, della posizione eventualmente adottata da una istituzione comunitaria, pure prestando particolare attenzione al fatto che la Cassazione abbia ignorato manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia o non abbia osservato l'obbligo di rinvio pregiudiziale.
2.5.5. Responsabilità dello “Stato Giudice” per i casi non regolati dal diritto dell’Unione europea
Ed è dunque questa la corretta prospettiva per esaminare il tema, pure agitato in sede di esame dei progetti di legge proposti all'indomani della sentenza Traghetti del Mediterraneo, dei rapporti fra la responsabilità dello Stato giudice per le ipotesi non disciplinate dal diritto dell'Unione europea e quelle sussumibili sotto l'ombrello del diritto dell'Unione europea.
A parte la difficoltà di intravedere un'ipotesi di discriminazione alla rovescia fra disciplina relativa alle violazioni del diritto eurounitario e violazioni del diritto interno179, come si è visto non sovrapponibili proprio in ragione della particolare disciplina che riguarda i rapporti fra diritto interno e diritto eurounitario, affatto esportabile nell'ambito dell'ordinamento nazionale180, sembra comunque indilazionabile una riconsiderazione da parte del diritto vivente delle coordinate che fissano lo statuto della responsabilità del giudice nazionale.
La situazione che si percepisce scorrendo la giurisprudenza di legittimità non sembra affatto rassicurante, come la dottrina più neutra sul punto non ha mancato di sottolineare proprio sulla questione del senso attribuito alla c.d. clausola di salvaguardia181.
Ed è allora che i "moniti" provenienti da Lussemburgo andranno attentamente considerati in chiave interna, apparendo difficile sostenere che l'attuale contesto storico si caratterizza per quell'efficienza ed effettività che deve, al contrario, inverare qualunque sistema capace, senza arrivare a pericolose derive giustizialiste, di garantire protezione ai diritti dei suoi cittadini anche in caso di difettosa risposta dei suoi massimi organi giurisdizionali.
Sembra quindi cogliere nel segno quella dottrina che ha auspicato una restrizione del concetto di inescusabilità ad opera della giurisdizione, ricollegandola ai casi di ingiustificata imperizia o alla mancanza di professionalità182.
2.5.6. Conclusioni sul tema.
La lettura della sentenza della Corte di giustizia qui esaminata conferma l’idea emersa esaminando le sentenze Köbler e Traghetti, allorché apparve chiaro che l’influsso del diritto dell’Unione europea nel sistema della tutela dei diritti era tale da richiedere al giudice nazionale un nuovo modo di esercitare la giurisdizione e nuovi standards di professionalità.
E’ in definitiva il carico di responsabilità nascente dagli influssi del nuovo diritto ad ulteriormente approfondire il ruolo, l’importanza e l’autorevolezza della giurisdizione, chiamata sempre più spesso a mediare conflitti tra leggi di diversa origine e fonte e dunque ad offrire risposte adeguate a tali esigenze.
Allora come oggi ci sembra di dover rimarcare che riconoscere la responsabilità dello Stato Giudice per atto della giurisdizione è un valore che la stessa magistratura - soprattutto quella di ultima istanza - deve avere la forza di garantire, rispettare ed applicare nei confronti del cittadino vulnerato nei propri diritti, proprio in nome dei canoni di autonomia ed indipendenza.
Il giudice di ultima istanza dovrebbe, in conclusione, essere particolarmente attento per accertare l’esistenza o meno di una violazione dell’ordinamento eurounitario183 , avvalendosi sempre di più del meccanismo del rinvio pregiudiziale «attribuito, con evidenti finalità “nomofilattiche”, alla competenza “esclusiva” della Corte di giustizia… al fine della “costruzione” di un vero e proprio “ordinamento giuridico comunitario” […]Ed è proprio in tale prospettiva che si spiega[no][…] il dovere del giudice nazionale “di ultima istanza”, in quanto fattore istituzionale di “diritto comunitario vivente” nell’ordinamento interno, di investire la Corte della questione di interpretazione»184.
Sul versante della responsabilità dello Stato giudice diversa da quella ora descritta, appare indilazionabile una rimodulazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in modo tale da fare riacquistare alla legge n.117/1998 quel tasso di effettività ed efficacia fin qui non perseguito fino in fondo.
Nelle more dell’intervento legislativo, peraltro, pare proprio che il giudice nazionale chiamato a delibare una richiesta di risarcimento dei danni per responsabilità aquiliana derivante dalla violazione del diritto dell’Unione da parte del giudice di ultima istanza sarà tenuto a disapplicare le norme della Legge n. 117/1988 nella parte in cui è stata ritenuta l’incompatibilità della legislazione interna con il quadro dei principi scolpiti dalla Corte europea con tutti i problemi che tale attività potrà comportare nel caso concreto185.
3.A mo’ di conclusioni finali.Riflessioni sui confini. Perché è necessario conoscere i rapporti fra il sistema del diritto EU, il sistema ordinamentale interno e quello della CEDU?
Al quesito che si e' appena proposto occorre fornire una risposta secca.
La conoscenza delle regole che governano i diversi sistemi di protezione dei diritti fondamentali -nei piani interno, eurounitario e CEDU- aiuta l'operatore ad evitare errori di prospettiva e di sostanza, elidendo alla radice la critica, che pure spesso serpeggia, più o meno scopertamente, che al di la' della bellezza estetica, peraltro effimera, di un sistema di tutela multilivello, questo sarebbe foriero di risposte parcellizzate e ondivaghe, capaci di minare la certezza e prevedibilità del diritto, riversando sul giudiziario poteri allo stesso non attribuiti.Ciò che, in definitiva, incrinerebbe il piano dei rapporti fra giudice e legge, marginalizzando la Costituzione in favore di Trattati internazionali, i quali ultimi dovrebbero comunque porsi su un piano inferiore rispetto a quello costituzionale interno, favorendo pericolosamente un'Europa dei giudici. Questa Europa sarebbe dunque priva di legittimazione democratica e finirebbe col dimostrarsi antitetica rispetto all'Europa dei parlamenti eletti dai cittadini, confusamente pure favorendo operazioni di tutela al rialzo ben lontane dal rappresentare appaganti risposte alla domande di giustizia.
E' per questo, allora, che l'interprete si deve fare carico di rispondere a questa critica, mostrando di fare corretta applicazione delle "regole" che governano i diversi sistemi, evitando di fare indiscriminata applicazione di tali regole.
In altri termini, sembra doveroso per il giudice nazionale attribuire al sistema UE ed alla disposizioni di quell'ordinamento il significato e la portata che esso ha attingendo alle regole proprie dello stesso ordinamento, evitando così di esportare regole che riguardano piani magari paralleli, ma pur sempre distinti quanto alle regole.
Questa prospettiva, occorre subito chiarire, non intende affatto favorire la logica gerarchica tra i sistemi n'è assecondare una prospettiva non orientata all'osmosi fra i sistemi, ma semmai soltanto prevenire l'accusa di pressappochismo e di superficialità che viene mossa allorché la risposta giudiziaria non mostra di cogliere le differenze di sistema tra i diversi piani di tutela. Accuse, peraltro, che potrebbero riguardare non solo il giudice comune, ma anche il giudice costituzionale tutte le volte in cui si compiono delle operazioni che tendono a far dire all'un sistema ciò che si vorrebbe dicesse guardando da una prospettiva diversa da quella propria del sistema che viene in considerazione.
In questa prospettiva, offrire di un diritto fondamentale di matrice eurounitaria una lettura non agganciata alle regole che governano quel sistema vuol dire i pericolosamente i piani d'indagine, discostandosi dai percorsi legali ai quali l'interprete, sia esso giudice comune o costituzionale, deve attenersi.
Affermare così l’immediata precettività ed efficacia all’interno di una vicenda interna non direttamente regolata dal diritto dell’Unione europea di un diritto riconosciuto dalla Carta di Nizza Strasburgo o ritenuto principio generale dalla Corte di Giustizia costituire operazione culturalmente apprezzabile ma giuridicamente poco persuasiva- ancorchè ventilata autorevolmente in dottrina186- dovendo questa “fare i conti” con le disposizioni della Carta di Nizza(art.6, art.51) e dei Trattati UE che si fondano sulla competenza dell’Unione e che, come ricorda la Corte di Giustizia, non possono andare “oltre” i confini ivi fissati. Ed infatti, nemmeno la Carta di Nizza appare in grado di modificare i confini del diritto eurounitario187, avuto anche riguardo al contenuto dell’art.5 par.2 del TUE come modificato per effetto dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona - In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti.- e ancor di più al contenuto dell’art. 6 par.1 TUE, - Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati.- e 6 par. 2 TUE-L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati-.
Sul punto, la Corte di Giustizia, fondandosi sulla portata dell’art.51 della Carta188, ha già espresso il proprio avviso189, ancorchè si ritenga, all’interno della stessa Corte di Giustizia, che la questione non sia stata definitivamente risolta190. Ed anche la Commissione europea, nel tracciare, all'interno della Comunicazione "Strategia per una più efficace applicazione della Carta dei diritti fondamentali", le linee di implementazione della tutela dei diritti fondamentali sulla base della Carta di Nizza - Strasburgo, ha messo in evidenza, chiaramente, che il suo intervento sarà limitato ai casi di applicazione del diritto dell'Unione da parte degli Stati Membri in modo incompatibile con la Carta191.
In altri termini, un’attitudine della Carta di Nizza - Strasburgo a divenire strumento generale di tutela dei diritti fondamentali sembra ostacolata dalle competenze comunque limitate dell’Unione Europea- anche se in via di notevole espansione-. Opinione, quest’ultima, condivisa anche dalla Corte costituzionale italiana192.
Analoghe considerazioni sembrano doversi fare con riguardo al piano dei rapporti norma interna Costituzione ed a quello norma interna diritto UE.
Ed allora, se nessuno oggi dubita che non è possibile esportare il meccanismo della disapplicazione proprio dei rapporti ordinamento interno diritto UE al piano dei rapporti norma interna Costituzione, deve essere parimenti chiaro che quando si discute della portata di un diritto fondamentale di matrice eurounitaria e della sua precettività o meno le regole applicabili devono essere quelle proprie di quel sistema e non altre.
La vicenda del mandato di arresto europeo e dell' estensibilita' del meccanismo di espiazione in Italia della misura o della condanna per lo straniero residente in Italia non prevista dalla legge che ha attuato la decisione quadro - artt. 18, comma 1, lettera r), e 19, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri-esaminata da Corte cost. n.227/2010 sembra rappresentare in modo solare quanto i risultati – caldeggiati dalla Cassazione(giudice remittente) e- raggiunti dal giudice delle leggi a proposito della portata del principio di non discriminazione fondato sulla nazionalita' e della sua asserita non immediata precettivita'193 possano condurre a risultati che, in definitiva, rischiamo effettivamente di determinare risultati poco appaganti e, soprattutto, legati a logiche che appaiono non solo estranee al sistema di tutela esaminato, ma addirittura distoniche con il piano di tutela offerto al livello considerato.
Basta sul punto richiamare le conclusioni del 20 marzo 2012 dell'Avvocato Generale Mengozzi nella causa C 42/11, João Pedro Lopes Da Silva Jorge, che ha riguardo ad una vicenda speculare a quella esaminata da Corte cost.n.227/2010 e che secondo l’Avvocato generale sembrava destinata ad esaurirsi -correttamente- all'interno del piano UE194, come già aveva ipotizzato l’Avvocato Generale Bot nella causa Wolzemburg195.
E’ stata quindi Corte Giust. 5 settembre 2012, causa C-42/11, Joao Pedro Lopes Da Silva Jorge a ritenere che l’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 e l’articolo 18 TFUE devono essere interpretati nel senso che uno Stato membro, pur potendo, in sede di trasposizione di tale articolo 4, punto 6, decidere di limitare le situazioni in cui l’autorità giudiziaria nazionale dell’esecuzione può rifiutare la consegna di una persona rientrante nell’ambito di applicazione di tale disposizione, non è legittimato ad escludere in maniera assoluta e automatica da tale ambito di applicazione i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono nel suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest’ultimo. In tale occasione il giudice eurounitario ha pure precisato che il giudice del rinvio è tenuto, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, ad interpretare il diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro 2002/584, al fine di garantire la piena efficacia di tale decisione quadro e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo da essa perseguito.
Proprio il confronto fra le risposte che la Corte costituzionale italiana ha offerto (sent.227/2010) e la Corte di Giustizia consente di riflettere sulla necessita' che il giudice nazionale informi sempre di più il proprio operato alle regole che governano il sistema che viene in considerazione spogliandosi del cappello nazionale tutte le volte in cui il cappello eurounitario è quello da indossare con priorità. La sentenza della Corte di Giustizia appena menzionata mostra infatti in modo palpabile le diverse sensibilità che i giudici italiani hanno dimostrato affrontando una questione sostanzialmente identica a quella decisa a Lussemburgo sulla base del rinvio pregiudiziale sollevato dal giudice francese196.
Quando, allora, ci si accosta ad una disposizione dell'UE, per la sua interpretazione e per la sua stessa individuazione, non si dovra', in prima battuta, cadere nella tentazione di attingere al sistema nazionale o a quello della CEDU per delinearne l'ambito e la portata quando la norma stessa non consente di richiamare piani diversi.
Così operando si rischierebbe, infatti, di compiere un errore giuridico evidente e, soprattutto, di prestare il fianco alle critiche di cui si diceva sopra.
Se dunque un diritto di matrice eurounitaria viene richiamato all'interno di una vicenda che e' estranea all'operatività del diritto UE, commetterà un errore il giudice che applica quel diritto alla vicenda concreta ponendosi in contrasto con il piano delle regole fissate dall'ordinamento eurounitario all'interno della Carta di Nizza e dello stesso Trattato UE.
Non meno discutibile sembra l'atteggiamento volto a ricercare all'interno dei sistemi normativi e dei diritti viventi che fanno parte dei "circuiti di legalità" operanti con riferimento ai diritti fondamentali conferme circa i rapporti fra gli ordinamenti che non sono direttamente presi in considerazione nei medesimi sistemi.
Esemplificativo di siffatto modo di operare potrebbe essere il tentativo di cercare delle conferme al divieto di disapplicazione da parte del giudice comune nazionale della norma interna contrastante con la CEDU espresso dalla Corte Costituzionale a partire dalle sentenze gemelle del 2007 nella recente pronunzia della Corte di Giustizia resa il 24 aprile 2012, causa C-571/2010, p.59, Kamberai197.
Tale decisione, escludendo che l'ordinamento eurounitario imponga al giudice nazionale che fa applicazione, all'interno di una controversia regolata dal diritto UE, di un diritto fondamentale che trova la propria matrice nella CEDU del dovere di disapplicazione, non poteva in alcun modo affrontare una tematica estranea al diritto eurounitario nel quale la CEDU assume un ruolo assolutamente chiaro senza che possa o debba venire in gioco l' efficacia che quello strumento ha nei singoli ordinamenti dei Paesi membri.
Se davvero fosse questa la lettura da offrire alla sentenza della Corte di Giustizia, si tratterebbe, all'evidenza, di uno straripamento di potere di quel giudice che non può arrogarsi il potere di disciplinare o regolamentare un ambito ad essa estraneo.
La Corte di Giustizia si e' sempre occupata della Cedu come serbatoio di diritti ora formalmente riconosciuto anche dall'art.6 TFUE, ma non può dir nulla sui rapporti Cedu ordinamenti-nazionali che, come ha di recentemente magistralmente evidenziato Antonio Ruggeri, trovano regolamentazione affatto armonizzata.
In conclusione, può dunque ritenersi che esiste una regola aurea che impone al giudice di
conoscere i diritti fondamentali, le Carte che li contengono e le regole che li governano, con tutto il tasso di difficoltà che ciò può comportare quanto alla differenza fra diritti fondamentali principi contemplati dalla Carta di Nizza198 e principi generali(già dell’ordinamento comunitario), diritti di matrice convenzionale, rapporti fra ordinamento interno e CEDU.
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