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Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
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i sono moltiplicate negli ultimi tre anni le iniziative
di ripensamento e proposta, relative all’identità e
alla struttura del Liceo classico, che sappiamo in
crisi di iscrizioni ormai da quasi una decina d’anni. Dopo
il Processo al liceo classico dell’anno scorso a Torino,
particolare risalto ha avuto quest’anno il convegno svol-
tosi sotto l’egida del Ministero a fine aprile, al Politecnico
di Milano. Le ricette proposte sono diverse, a volte addi-
rittura opposte o almeno contraddittorie; le stesse scuole
coinvolte tentano sperimentazioni o curvature disciplinari
in svariate direzioni. Abbiamo poi letto, anche come coda
polemica del convegno milanese, gli interventi di auto-
revoli commentatori su alcuni quotidiani, in relazione
alla seconda prova scritta di Maturità, tradizionalmente
configurata come traduzione pura e semplice dal latino o
dal greco. Tra questi ha avuto particolare diffusione prima
quello di Paola Mastrocola sul “Sole 24Ore”, rilanciato in-
direttamente dalla successiva petizione aperta dall’Asso-
ciazione Italiana di Cultura Classica, in difesa della ver-
sione tradizionale, poi la riproposizione da parte di
Maurizio Bettini della necessità di un superamento della
semplice traduzione dalle lingue classiche.
Nel mezzo c’è stata la verifica stagionale sul campo, ov-
vero il compito di greco della Maturità classica di que-
st’anno. Era tratto da Isocrate, precisamente dall’ora-
zione Per la pace, scritta più o meno nel 356 a.C. Il
compito era presentato col titolo Vivere secondo giustizia
non solo è corretto, ma anche conveniente per il presente
e il futuro. Seguiva un abbondante sottotitolo, in fun-
zione contestualizzante.
L’assenza della contestualizzazione storica
I pareri che si sono letti sulla difficoltà della versione pro-
posta sono stati nettamente diversificati. Un vero para-
dosso: in genere orientati a un giudizio di facilità, quelli
degli studenti coinvolti; i docenti invece si sono espressi
diversamente, parlando di difficoltà di vario tipo. Perché?
Perché non si trattava solo di tradurre strutture com-
plessivamente non difficili, perché lineari e regolari, ma
di capire il discorso di Isocrate, inserito nel contesto
della Guerra sociale del 357-354 a.C. e delle intenzioni
bellicose di Atene nei confronti degli alleati della se-
conda Lega navale, riottosi di fronte all’imposizione di
un tributo alla città egemone. In questa orazione c’è
tutta la delusione di Isocrate nei confronti dei concitta-
dini, in particolare dei guerrafondai a lui ben noti: sono
quelli che incitano Atene alla lotta contro gli ex alleati
usando le parole della propaganda nazionalistica, come
l’appello nostalgico al glorioso passato degli antenati. In
realtà questi bellicisti vogliono, precisa Isocrate, non il
bene della città, ma l’arricchimento personale (αὐτοὶ, au-
tòi): e così è bene, essi dicono, che agli alleati che non
vogliono pagare il tributo sia impedito di mantenere le
navi sul mare. All’inizio del brano c’è anche una com-
parazione insolita, là dove il testo isocrateo affianca gli
uomini, che preferiscono l’ingiustizia, agli animali atti-
rati da un’esca: hanno di mira il bene immediato, ma per-
dono il futuro. Invece la ricetta per la sicurezza è data da
una vita all’insegna della moralità e della giustizia; se è
vero che ciò non avviene di solito (εἴθισται συμβαίνειν,
éithisthai symbàinein) in tutte le situazioni, però almeno
il più delle volte si può dire che succeda. Saggezza sarà
dunque mostrare di scegliere l’utile (τὸ ὠφελοῦν, tò
opheloùn), mentre la follia maggiore di tutte è quella di
chi, pur riconoscendo la bellezza della giustizia, ritiene
che si viva peggio seguendola, rispetto a chi sceglie la
malvagità.
È stata capita dai candidati questa situazione storica? In
genere no, anche perché poco guidati (o fuorviati) dal ti-
tolo e sottotitolo che si riferivano solo alla prima parte del
brano, là dove Isocrate tratta genericamente della vita se-
condo giustizia, contrapposta a quella secondo conve-
nienza. Precisazioni sicuramente esatte, ma limitate alla
prima parte del brano; poi però, senza le ulteriori e ne-
Greco
A proposito della II prova scritta al liceo classico
I intervento
Gian Enrico Manzoni
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cessarie spiegazioni storiche, non si capiva come mai si
parlasse di guerra, di navi sul mare, e di disprezzo per il
popolo. L’assenza di adeguata contestualizzazione ha
messo in difficoltà i candidati, non necessariamente i più
deboli, ma spesso (altro paradosso) quelli più capaci e pro-
pensi al ragionamento, portandoli in alcuni casi a tradurre
senza comprendere: il che, metodologicamente, non è
mai un buon principio.
La complessità semantica
Non si intende qui entrare nel dibattito sul livello di dif-
ficoltà del brano, che sinteticamente si può definire ab-
bastanza adeguato, anche se un po’ troppo lungo: la strut-
tura dei periodi era infatti molto attica e regolare, costruita
su di un’abbondanza di participi, spesso attributivi, ma so-
prattutto verbali: in particolare participi predicativi, retti
dal verbo di vedere all’inizio, oppure dal suo composto
περιορᾶν, perioràn alla fine. C’era poi da cogliere il si-
gnificato medio del verbo πάσχω, pascho, presente in due
punti: il verbo del pathos qui non è portatore di alcuna
idea di sofferenza (come banalmente si poteva pensare),
ma ha il significato di “trovarsi in una situazione” che
viene da Isocrate definita come «simile a…», oppure
«del tutto irrazionale» (ἀλογώτατον, alogòtaton). Il gioco
di sponda del μὲν, mèn e del δὲ, dé (davvero il greco è la
lingua del mèn e del dé!) poteva guidare a cogliere le con-
trapposizioni tra stili di vita opposti: speriamo che le due
particelle mèn e dé non siano state considerate inutili, da
trascurare o addirittura da non tradurre. Rilevo poi che al-
cuni docenti-commentatori purtroppo hanno dato retta ai
giudizi di facilità letti subito in rete (insieme a incredibili
svarioni linguistici di alcuni commentatori, o ad alcune
banali attualizzazioni): invece le cose non erano così
semplici come a prima vista apparivano. Quello che si in-
tende qui affermare è che questo compito doveva essere
meglio contestualizzato con riferimenti storico-letterari e
non semplicemente di natura morale, come è stato pre-
sentato.
Un nuovo modello di seconda prova
Ma lo scopo della riflessione in corso va oltre. Partendo
da questo compito d’esame, vorrei arrivare ad alcune for-
mule propositive nel dibattito attuale, circa la seconda
prova scritta nella Maturità classica. Infatti questo com-
pito d’esame si sarebbe prestato, ed è bene che si presti in
futuro, ad attuare quell’impostazione della seconda prova
scritta che si sta sperimentando da cinque anni alle Olim-
piadi delle lingue e civiltà classiche. Quale? quella basata
sulla proposta ai candidati di un ante-testo bilingue, che
serve da orientamento e contestualizzazione; segue il te-
sto vero e proprio, da tradurre, dal latino o dal greco, che
è ovviamente la continuazione dall’ante-testo; viene poi
un post-testo sempre bilingue, che informa sugli sviluppi
della vicenda. Il tutto è poi concluso con tre quesiti di
comprensione relativi al testo stesso e ai suoi corollari.
Una formula che funziona bene nelle Olimpiadi nazionali
del latino e del greco, e che può essere trasferita alla
prova di Maturità con alcune puntualizzazioni e aggiu-
stamenti: indispensabili per la validità culturale e scola-
stica dell’operazione.
1) Centrale e preminente deve continuare a essere il va-
lore da attribuire alla traduzione. La versione dal latino o
dal greco ha un grande valore scientifico, proprio perché
esercitata su lingue flessive dotate di declinazioni e co-
niugazioni. Il lavoro di traduzione esplicita le competenze
linguistiche possedute, relative sia alla lingua di partenza
sia a quella di arrivo: richiede precisione e abitua a supe-
rare l’approssimazione. A chi teme che questa innova-
zione porti a un annullamento o svilimento della tradu-
zione, rispondo confermandone il valore fondamentale
anche nella Maturità di domani. La valutazione della
competenza di versione deve restare preponderante per
definire il valore del compito stesso, anche nel voto che
deve essere attribuito dalla commissione.
2) I tre quesiti finali, cui rispondere, non necessariamente
sono una facilitazione, una scappatoia per chi non sa tra-
durre. Oltre che dal peso (minoritario) che deve essere
loro attribuito, si tratta di vedere come sono formulati, evi-
dentemente. Occorrono quesiti storico-letterari e morfo-
sintattici applicati al testo. Non quesiti stilistici come
propongono alcuni: bisognerebbe invece liberarsi dal-
l’abitudine scolastica delle domande sullo stile, che non
hanno senso se astratte da una conoscenza linguistica te-
stuale diretta, perché lo stile di un autore non si può evin-
cere da una quindicina di righe, né ha senso parlarne, se
lo stile è solo appreso e studiato a memoria da un ma-
nuale; quindi non si può discettare su autori che non
siano stati effettivamente letti, come a volte alcuni inse-
gnanti richiedono agli alunni a scuola.
Proprio il brano di Isocrate di quest’anno si prestava bene
a mostrare la differenza tra una traduzione preceduta
dalla comprensione del testo, e una traduzione senza
comprensione. Come già detto, molti candidati hanno
tradotto, o cercato di tradurre, ma senza comprendere. Per-
ciò hanno avuto la sensazione di aver reso adeguata-
mente il greco dell’orazione: forse hanno colto la struttura
dei periodi, ma non hanno avuto che una percezione li-
mitata e parziale di quello che il testo voleva effettiva-
mente dire. Non hanno neppure immaginato perché si par-
lasse non solo di virtù e giustizia, ma anche di guerra, di
navi, e di tributi degli alleati.
La proposta di applicare in sede di esame di Maturità la
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