R
ICCARDO
M
AISANO
1540
rispettivamente, ai vocaboli parousiva ed ejpifavneia nel Nuovo Testamento e
pubblicate da Buonaiuti nel volume: Saggi di filologia e storia del Nuovo Testamento,
apparso a Roma nel 1910. Il volume era il n. 2 della collana: “Manuali di scienze
religiose”, una delle molte promosse o animate da Buonaiuti, tuttora in attesa di
essere esplorate come altrettanti momenti significativi nella storia degli studi. In
questa serie di manuali, edita dalla Libreria editrice religiosa Francesco Ferrari,
videro anche la luce, in quello stesso anno 1910, un’antologia curata da Sisto
Colombo (La poesia cristiana antica, I: La poesia latina) e due monografie dedicate a
temi fondamentali, una di Francesco Mari (Il quarto vangelo) ed una di Alfonso
Manaresi (L’impero romano e il cristianesimo nei primi tre secoli). Nonostante fosse
pubblicato con il nulla osta del censore ecclesiastico Luigi Chiesa (antico e venerato
maestro dell’autore) e con l’imprimatur del padre domenicano Alberto Lepidi
(maestro del Sacro Palazzo e anch’egli paterno amico di Buonaiuti), il libro fu
messo all’indice il 7 settembre del 1910 insieme ai volumi di Mari e di Manaresi e
alla Rivista storico-critica delle scienze teologiche, diretta da Buonaiuti e pubblicata
dallo stesso editore.
La serie di ventiquattro brevi saggi presenta i risultati di un periodo di lavoro –
intenso, come sempre – centrato sull’antica letteratura cristiana e sulla filologia
neotestamentaria. Indotto dalle polemiche e dalle reprimende, che avevano
accompagnato la cessazione delle pubblicazioni del quindicinale Nova et vetera nel
dicembre del 1908, a mettere momentaneamente da parte la sua produzione
polemica e apologetica, Buonaiuti si era dedicato allo studio dei rapporti fra il
greco del Nuovo Testamento e il greco popolare dell’età ellenistica e imperiale,
documentato quest’ultimo dalle scoperte di papiri, epigrafi e ostraka ed esaminato
per la prima volta in modo sistematico da Adolf Deissmann nel volume Licht vom
Osten. Buonaiuti, dopo aver studiato la monografia di Deissmann e averne fatto
oggetto di una recensione sulla citata Rivista storico-critica, volle riprendere il
discorso avviato dal filologo tedesco, effettuando, nella direzione da questo
indicata, una serie di sondaggi su alcuni vocaboli-chiave del Nuovo Testamento
(eujaggevlion, parousiva, ejpifavneia, ejkklhsiva, ajgavph, ajnavqema…) confrontati con
l’evidenza documentaria che gli scavi archeologici avevano intanto reso
disponibile.
Questa descrizione dell’impostazione del libro, accompagnata da una scorsa
superficiale all’indice finale del volume e dal richiamo al giudizio che all’apparire
dell’opera diede Luigi Salvatorelli (“un contributo di importanza nettamente
scientifica agli studi neotestamentari”),
2
sulle prime può far sembrare inspiegabile
la violenta reazione che la pubblicazione suscitò in ambienti cattolici conservatori e
l’irrimediabile aggravarsi del conflitto con la gerarchia ecclesiastica. Ricordiamo
che apparve subito una severa recensione di G. Farina,
3
in cui si rilevava che
Buonaiuti aveva “insinuato indicazioni significative sulle reali affinità tra alcune
esperienze pagane ed alcune altre del cristianesimo nascente”; e seguirono articoli
polemici di E. Rosa sulla Civiltà cattolica, che accusavano Buonaiuti di
2
Salvatorelli, 1956, p. 351.
3
Farina, 1910.
Due note di Ernesto Buonaiuti su Parousia
ed Epiphaneia
1541
“immanentismo” e di “evoluzionismo” e provocarono risposte a tono
dell’interessato sulla Rivista storico-critica
4
. La ragione di tutto questo è in realtà
connaturata all’essenza più profonda dell’opera, che fa parlare i
realia linguistici e
lessicali e di volta in volta ne accompagna fino in fondo il discorso. La presa di
posizione è espressa dallo stesso autore nell’introduzione al volume (p. 8):
Io ho voluto raccogliere e spiegare nella maniera più accessibile a
chiunque si interessi alle ricerche religiose, alcune fra le più notevoli analogie
fra il linguaggio e quindi i sentimenti dell’ambiente neotestamentario e il
linguaggio e i sentimenti degli strati popolari del mondo contemporaneo
greco-romano, dai quali emanano, nella maggiore misura, le fonti utilizzate.
Ho cercato inoltre di suggerire sobriamente alcune delle conseguenze e delle
ripercussioni che simili analogie possono avere nell’analisi della primitiva
storia ecclesiastica.
Ernesto Buonaiuti, uomo retto e scrittore appassionato quanto altri mai, non
aveva doti di diplomazia e senso dell’opportunità: anche in quella occasione, che si
rivelò in seguito cruciale, non volle o non seppe tenersi dall’offrire egli stesso a
critici e avversari il destro per colpirlo.
Il saggio “Parusia pagana e parusia cristiana” (pp. 25-45 del volume citato)
prende le mosse dalla documentazione lessicografica che al tempo della stesura del
contributo doveva considerarsi di riferimento, cioè la quarta edizione della Clavis
Novi Testamenti philologica del Grimm (Lipsia, 1903) e la nona edizione del
Biblisch-
theologisches Wörterbuch der neutestamentlichen Gräcität del Cremer (Gotha, 1902). Il
riferimento iniziale ai due lessici serve a Buonaiuti per dichiararne l’inadeguatezza
alla luce delle (allora) recenti scoperte papirologiche ed epigrafiche in Egitto e in
Asia Minore. Per fare ciò, egli si richiama alla monografia di Milligan sulle epistole
ai Tessalonicesi
5
e al citato libro di Deissmann. Buonaiuti avverte di aver
ricontrollato personalmente tutti i rinvii di Deissmann alle fonti, consapevole del
privilegio di avere a disposizione nelle biblioteche pubbliche romane un
concentrato di sussidi bibliografici senza eguali al mondo.
L’indagine inizia con una rassegna delle ricorrenze della parola parousiva negli
scritti neotestamentari. Messi da parte i casi in cui il vocabolo conserva l’antico signi‑
ficato generico di “presenza” (1 Cor. 16, 17; 2 Cor. 7, 16; 10, 10; Phil. 1, 26; 5, 12), sono
rilevate le ricorrenze del termine con riferimento all’avvento glorioso del Signore in 1
Thess. 2, 19; 3, 13; 4, 15; 5, 23; 2 Thess. 2, 1. 8 s.; 1 Cor. 15, 23. Buonaiuti osserva che la
scomparsa del vocabolo con questo valore pregnante dal corpus paolino nel periodo
successivo alla stesura delle epistole da 1 Thess. ad 1 Cor. (datate da Buonaiuti, sulla
scorta degli studi di Ramsay e Clemen, al 51
ex
-56
in
) coincide con la rapida e sensibile
evoluzione della riflessione escatologica di Paolo e ne è uno dei segni.
Viene quindi collocata nella giusta successione cronologica la ricorrenza del
termine nei vangeli sinottici con lo stesso valore pregnante dato ad esso già da
4
V. Parente, 1971, pp. 36 ss. e note.
5
Cfr. Milligan, 1908.