Dicembre 2016 e ditoriale



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sterebbe irraggiungibile all’attività del soggetto. E il soggetto po-

trebbe sprofondarvisi negando se stesso e immedesimandosi im-

mediatamente col suo oggetto: e in ambedue i casi rinunziando

al conoscere. Il quale è possibile per ciò che l’oggetto non solo

si oppone al soggetto; e gli si oppone assolutamente, in guisa da

farlo uscire dalla sua immediata soggettività; ma, oltre ad op-

porsi, si riconcilia col soggetto e concorre al suo divenire, onde

il soggetto cessa di essere soggetto immediato e particolare, si

media e universalizza, realizzandosi effettivamente come spirito

(che non è immediatezza, bensì riflessione)».

Ora, l’intuizione geniale di Gentile sta tutta nella lucida

messa a tema della trascendentalità e quindi dell’intra-

scendibilità (o inoltrepassabilità) dell’orizzonte del pen-

sare. Teorema incontrovertibile, certo, ma solo se retta-

mente inteso, cioè solo se inteso come posizione

dell’orizzonte trascendentale della manifestazione di tutto

ciò che è. Impossibile, infatti, porre qualcosa al di là del

pensare, perché, ponendolo, lo si pensa.

Meno interessante, anche se più impressionante, la forte

valorizzazione gentiliana di quel che dalla trascendenta-

lità del pensare è strutturalmente implicato: ossia il “dia-

lettismo” o la “mobilità”. Si tratta in fondo di un’eredità

hegeliana. Ma poi è da dire che è propriamente la salda-

tura delle due figure (trascendentalità e dialetticità), il vero

colpo di genio gentiliano. Anche perché la “mobilità”

del pensare consta e rafforza perciò, di rimando, la tra-

scendentalità, che invece andrebbe argomentata (elen-



ctice), pur essendo un che di immediato. Certo, la mobi-

lità, se rafforza la prima intuizione, è poi nell’attualismo

la parte meno difendibile, se intesa, come Gentile pur-

troppo la intende, in termini di “produzione” dell’og-

getto reale o di una sua “creazione”. La quale, invece, non

consta affatto. Semmai, consta la nostra “impotenza” di

pensanti rispetto all’oggetto reale pensato: entra ed esce,

l’oggetto reale, dallo specchio della manifestazione senza

chiedere permesso alcuno.

Per chiudere questo giro di discorso (anticipato nella mia

scheda introduttiva all’insieme di questi interventi): la co-

niugazione della teorematicità del primo assunto (l’intra-

scendibilità del pensare) con la nota esperienziale del se-

condo (la mobilità o il dialettismo) – il colpo di genio del

Gentile – fu forse, per contrappasso, anche responsabile

del terzo assunto appena richiamato, ossia dell’assunto

della “produttività” o “creatività” trascendentale dell’atto

(né teorematica né esperienziale). Questo però non si in-

tenderebbe senza il richiamo alla storia della modernità fi-

losofica: alle spalle di Gentile c’era quel tratto di filoso-

fia tedesca (da Kant a Hegel) che aveva iniettato

gradualmente nell’io (trascendentale) gli attributi una

volta predicati dello strato teologico dell’Intero dell’es-

sere.


Critica della dialettica gentiliana

Formulazione speculativamente geniale, ma errata, quella

di Gentile. Perché errata? Ecco, a me pare che il nucleo

fondamentale dell’errore gentiliano nel concepire il dia-

lettismo dell’atto come mobilità (divenire) creativo della

realtà, altro non sia che l’effetto della trascendentalizza-

zione (indebita) del toglimento di una certa alterità del-

l’essere al pensare: quell’alterità che, durante tutto il No-

vecento, era, da tanti pensatori – passati per le pagine

hegeliane di critica al kantismo –, bollata con l’etichetta

di “presupposto naturalistico” o di “naturalismo presup-

posto” (= la realtà originariamente intesa come “altra” o

“esterna” al pensiero; intesa come “cosa in sé”). Quel to-

glimento, che era, come ogni toglimento di un errore, un

che di empirico (l’errore, una volta riconosciuto come

tale, si mette da parte, e basta), era invece divenuto un

compito ossessivamente e continuamente perseguito.

Gentile in Italia era l’erede, come ho appena ricordato, di

quella tradizione. Che altrove aveva preso invece altre vie,

pur con risultati simili. Alludo qui soprattutto alla feno-



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TUDI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

Anonimo, Kant portrait, 1790.

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menologia husserliana, che poi tanto successo ebbe in am-

bito europeo, durante la seconda metà del Novecento.

Ora, la corretta conseguenza del toglimento del presup-

posto naturalistico è, come tutti sanno oramai da gran

tempo, la semplice restituzione dell’essere alla relazione

sua originaria con il pensiero. Dove, però, l’essere resta

tale rispetto al pensiero, cioè resta il suo altro “mate-

riale” o “reale” o il suo “contenuto intenzionale”. L’iden-

tità di essere e pensiero è, infatti, un’identità solo formale

(il pensiero si identifica con la forma dell’oggetto, ossia

prende la forma dell’oggetto come forma propria), men-

tre resta la diversità ontologica o reale sua rispetto al-

l’oggetto. Sempre all’interno del rapporto intenzionale. La

fenomenologia meglio comprese questa conseguenza (so-

prattutto lo Husserl delle Ricerche logiche), mentre l’at-

tualismo gentiliano finì per persuadersi della necessità che

l’esito del toglimento del presupposto naturalistico do-

vesse essere determinato come la posizione dell’identità

assoluta (ontologica) di essere e pensiero, di soggetto e

oggetto; la quale, non potendo restare da sola nello spec-

chio dell’esperienza, perché veniva a precipitare in una si-

tuazione “astratta”, era necessariamente destinata a ri-

produrre permanentemente la posizione dell’alterità

dell’oggetto (del pensiero medesimo) come toglimento,

appunto, della nuova astrazione. Da identificare poi di bel

nuovo con il soggetto. E così all’infinito.

Ora, se è vero che l’essere, una volta posto come di là dal

pensiero, vien trattato inevitabilmente come il suo asso-

luto opposto (è il non-pensato, infatti), non è vero però che

il suo concreto relarsi al pensiero, cioè alla presenza o alla

manifestazione che il pensiero è in sé e per sé, implichi

inevitabilmente il suo diventare identico al pensiero. Sic-

ché nell’atto sintetico della relazione dei due non altro vi

sia che il pensare in atto. Consta, infatti, che ciò che è pre-

sente al pensiero non è pensiero, ma altro dal pensiero e

nel contempo interno al suo orizzonte (albero, gatto,

uomo, stella, …). Il pensiero, cioè, non è una sorta di

Mida, che tramuta in oro(-pensiero) tutto ciò in cui si im-

batte. Anzi, esso propriamente non induce nulla nelle o

sulle cose in cui si imbatte o che vengono a esso o che da

esso si congedano. Ed è proprio per questo che può di-

ventare «in qualche modo tutte le cose» (Aristotele, De

Anima, l. III). Il pensiero è il non di ogni determinatezza,

e prende forma, si diceva, dalla determinatezza che volta

a volta manifesta. Nella tradizione gnoseologica clas-

sica, alla sequela dei Greci, si usa dire che, nell’atto del

conoscere (manifestare) qualcosa, conoscente e cono-

sciuto sono “formalmente” uno; ma due “materialmente”.

Questa relazione intenzionale (il conoscere) come unità

formale e differenza materiale purtroppo restò sempre al

Gentile (e forse a tutto o a gran parte dell’idealismo) un

che di… sconosciuto. Gentile ebbe sempre in mente l’op-

posizione (“astratta”) di soggetto e oggetto, da togliere in

una unità (“concreta”) come identità assoluta dei due.

Che, però, in quanto tale, è inevitabilmente, a sua volta,

un che di astratto, come si è ricordato, e deve tornare a op-

porsi a un oggetto, che essa stessa peraltro pone come a

sé opposto. Essa stessa lo pone, perché quell’unità è in

ogni senso intrascendibile. Impensabile perciò qualcosa

che sia in essa che non sia nel contempo intesa come da

essa prodotta. L’errore gentiliano, appunto.

Da correggere accedendo a una corretta “logica della

presenza”. Come usava dire G. Bontadini, Gentile va

«mandato in sé» per diventare un buon compagno di

strada. Cioè: va depurato dalle scorie immanentistiche e

produzionistiche (le seconde conseguenza delle prime) e

restituito alla sua vera “intenzione” speculativa, che è la

posizione dell’originario manifestare trascendentale come

punto di partenza della possibilità della costruzione di un

rigoroso (e inevitabile) trascendimento dell’esperienza

storica immediata.

Carmelo Vigna

Università Ca’ Foscari, Venezia

S

TUDI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

Jacob Schlesinger, Bildnis des Philosophen Georg Wilhelm

Friedrich Hegel, 1831, Alte Nationalgalerie, Berlino.

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