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TUDI
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
L
a religione è per Gentile una delle forme assolute
attraverso cui il pensiero e lo spirito umano co-
stantemente si sviluppano e si realizzano
1
. Essa se-
gna, propriamente, la forma spirituale opposta all’arte. E
come pure è per l’arte, anche la religione trova la propria
verità e la propria concretezza nella filosofia, al cui in-
terno, appunto, arte e religione sono sintetizzate, ripensate
e ricreate senza che per loro tramite sia anche affermata
la contraddizione più tipica che si avrebbe invece con la
loro posizione isolata o astratta.
La religione nell’attualismo
Ora, se la contraddizione tipica della forma artistica era
segnata dalla posizione di un soggetto che affermava in
maniera immediata la propria assolutezza e la propria li-
bertà, non accettando di porre alcun riferimento necessa-
rio a un qualche oggetto a lui relativo, per quanto con-
cerne la religione, la contraddizione da cui questa è
attraversata fuori del suo ripensamento filosofico si fa sco-
prire in ciò: che in essa l’unica realtà che trova afferma-
zione, assolutezza e libertà è la realtà dell’oggetto, senza
che del soggetto che contempla e adora l’oggetto perfetto
nessuno si curi più.
La religione, per dire altrimenti, agli occhi di Gentile se-
gna quel momento della vita del pensare, all’interno del
quale il pensare non vede più se stesso – come attività ne-
cessaria e intrascendibile – ma vede piuttosto soltanto
l’oggetto pensato, fino al punto di ritenere che proprio
questo oggetto pensato sia ciò fuori di cui niente pro-
priamente può esistere. L’assolutezza e la libertà che lo
stesso pensare attribuiva immediatamente al soggetto ar-
tistico passano in tal modo a definire (altrettanto imme-
diatamente) l’oggetto religioso cui in generale Dio o il di-
vino vengono identificati. Il dio di ogni religione in quanto
religione è dunque l’Oggetto e insieme il Tutto, oltre il
quale, per il fedele, nulla è o c’è per davvero.
Si deve allora ricordare che per Gentile, nella sua es-
senza, la religione è sempre misticismo
2
– assumendo che
il misticismo sia esattamente questa autonegazione del
proprio positivo esistere che l’Io del credente attua in fa-
vore dell’infinità che lui stesso attribuisce all’Oggetto che
sta al centro del suo culto e che, se in generale si chiama
Dio, dovrebbe in generale farsi intendere anche come as-
soluto non-Io, ossia come la negazione totale della posi-
tività dell’Io.
Quando si va ai riferimenti portati da Gentile per meglio
fare intendere l’argomentazione concettuale, ci si trova
immancabilmente di fronte ai nomi di quei mistici che nei
loro testi sembrano aver dato voce precisa alla dinamica
appena sopra richiamata. Così, tanto per fare un esempio,
le laudi che Jacopone da Todi innalza all’«alta Nichili-
tade» starebbero proprio a testimoniare quella coscienza
paradossale che l’uomo ha della propria nullità davanti al
Signore. Ma discorso analogo viene fatto pure per l’asce-
tismo buddista, che mediante le pratiche della rinuncia e
del ritorno in sé, porterebbe l’uomo a toccare «di là dalla
coscienza il fondo del suo niente»
3
. E l’esemplificazione,
ovviamente, potrebbe estendersi ancora di molto, riguar-
dando ogni umana religione.
Va però notato soprattutto questo. Che, in quanto forma
trascendentale dello spirito umano, la religione è qualcosa
che l’uomo non può mai mettere definitivamente da parte.
Il pensiero, cioè, non riesce mai a portarsi totalmente al
di là della dinamica religiosa, come se questa fosse qual-
cosa che una buona volta e finalmente si può oltrepassare,
per poi restare come qualcosa di stabilmente oltrepassato
all’interno dello sviluppo spirituale. Il pensiero, infatti,
«non può esistere a nessun patto senza assumere un at-
teggiamento religioso»; per cui, «prescindere da questo è
lo stesso che proporsi di fare a meno del pensiero»
4
. Né
la politica (col suo Stato), né la morale (coi suoi costumi)
riuscirebbero allora a esistere e a svilupparsi veramente al
di fuori di un rapporto concreto con la religione e con il
divino in generale.
Ma poi, serve che ci si ponga questa ulteriore domanda:
perché, per l’attualismo gentiliano, il pensiero stesso è
sempre costretto a riproporre un atteggiamento religioso?
La risposta viene trovata se si fa memoria di quel che ac-
cade all’interno della dinamica religiosa, e di quel che
Gentile e la religione
Paolo Bettineschi
1. Cfr. G. Gentile, Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Sansoni,
Firenze 1962, pp. 259-275.
2. Cfr. G. Gentile,
Discorsi di religione, a cura di P. Bettineschi, Orthotes, Na-
poli-Salerno 2015, p. 80.
3. Ibi, p. 120.
4. Cfr.
ibi, p. 58.
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Gentile argomenta essere il dialettismo dell’atto di pensiero.
Ebbene, il dialettismo – come logica del pensare o del co-
noscere – prescrive che l’Io si faccia non-Io, che il sog-
getto diventi oggetto, che il pensare si neghi da sé, affin-
ché da questa autonegazione possa sorgere il pensato,
ossia il conosciuto. L’Io, se non vuole rimanere un che di
astratto, deve togliere la propria immediatezza auto-obiet-
tivandosi, cioè facendosi oggetto e pertanto non-Io. Solo
ritrovandosi a partire da questa auto-negazione o da que-
sta «auto-obiettivazione» che determina e crea il non-Io,
l’Io si fa concreto e dà prova effettiva dalla sua realtà, che
altrimenti rimarrebbe qualcosa di vuoto e di solamente
presupposto
5
. Non ci sarebbe, altrimenti, nessun oggetto
di pensiero e nessun oggetto di conoscenza; e allora né il
pensare né il conoscere potrebbero attuarsi per quel che
sono: pensare e conoscere sempre qualche cosa. Detto al-
trimenti: Io-penso e Io-conosco sempre qualcosa che si
pone dentro il mio pensare e il mio conoscere. E se il mio
pensare e il mio conoscere rimanessero senza nessun ri-
ferimento oggettuale, cesserebbero pure di essere vero
pensare e vero conoscere.
Accade, così, che proprio nella religione si realizzi quel-
l’auto-obiettivazione, indispensabile alla vita del pensare
e del conoscere, soltanto attraversando la quale arriva a rea-
lizzarsi anche la filosofia – come negazione dell’auto-ne-
gazione religiosa. All’interno della filosofia, infatti, ci si
rende conto che se un qualsiasi oggetto-pensato (piccolis-
simo o immenso) è o diventa presente, è ben necessario che
esso sia presente alla coscienza o al pensiero che ne parla
e ne giudica. A questo primo rilievo, però, la filosofia
specificamente attualistica aggiunge che l’esser presente
dell’oggetto-pensato alla coscienza o al pensiero è lo stesso
che l’esser prodotto o l’esser creato di quel medesimo og-
getto-pensato, da parte della coscienza o del pensiero che
di esso parla e giudica. Per cui, quello che per l’attualismo
la filosofia comprende o dovrebbe comprendere è che il
pensiero auto-negandosi crea tutti i suoi oggetti (com-
preso l’oggetto che si ritiene assoluto e insondabile), e ne-
gando questa prima auto-negazione esso finalmente sa di
sé come creatore e reggitore di ogni suo oggetto
6
.
La religione, allora, per l’attualismo sta al centro del di-
venire del pensare – o di quel divenire assoluto che è il
pensare – proprio perché se il pensare non passasse at-
traverso la sua autonegazione e la sua mortificazione, ti-
piche del momento religioso, esso nemmeno diverrebbe
assolutamente; e piuttosto, sempre secondo quel che Gen-
tile argomenta, esso se ne starebbe inattivo e privo di vita.
Al contrario, tanto il divenire assoluto quanto l’attività as-
solutamente produttiva che l’attualismo attribuisce al
pensare riescono a essere garantiti solo se tutti gli oggetti-
pensati di cui il pensare ha bisogno per vivere vengono ri-
messi alla produzione che il pensare fa di loro, in se
stesso e da se stesso, mediante quell’auto-negazione che
segna anche l’inizio effettivo del suo concreto divenire –
ossia l’inizio effettivo del suo concreto divenire-altro,
come cosa pensata, oggetto e non-Io.
È per queste ragioni, così sviluppate, che l’attualismo
esclude che il pensiero, per come esso dall’attualismo
viene inteso, possa vivere senza passare e ripassare in-
terminabilmente all’interno della dinamica religiosa. E in
queste ragioni, dunque, si definisce il valore trascenden-
tale – ovverosia intrascendibile – di quella forma spiri-
tuale che è la religione, in base a cui lo sviluppo del co-
noscere resta indefinitamente coinvolto nel processo di
rimozione di un mondo di oggetti dapprincipio contrari ed
estranei al conoscere, che tuttavia lo stesso conoscere
via via determina e risolve in sé come suoi stessi prodotti.
L’attualismo e il cristianesimo
C’è da dire ancora, però, che all’interno dell’apparato teo-
rico gentiliano, il cristianesimo è quella religione che, a dif-
ferenza di ogni altra religione, si pone nella maggiore
prossimità possibile alla stessa filosofia attualistica. E non
solo. L’attualismo non farebbe che portare a compimento
l’intuizione che sta al centro del messaggio cristiano e che,
pure, fuori dallo stesso suo ripensamento attualistico non
riuscirebbe nemmeno a essere vissuta pienamente e senza
contraddizione. La verità del cristianesimo, così, si trove-
rebbe sviluppata e rivelata concretamente solo dall’attua-
lismo, il quale, poi, trarrebbe la sua forza filosofica proprio
dal suo intrinseco «carattere religioso»
7
.
Ora, al cuore del messaggio cristiano sta il tema dell’in-
carnazione di Dio. Nel cristianesimo, Dio si fa uomo in
Cristo per salvare tutta l’umanità innalzandola fino a
Sé. Ed è precisamente nell’idea «di Dio che si fa uomo»
– e dell’uomo «che la grazia adegua a Dio»
8
– che a Gen-
tile pare di poter trovare in qualche modo già testimoniato
quel che più compiutamente si trova poi espresso nella
sua filosofia.
L’unità di uomo e Dio annunciata nel cristianesimo, in-
fatti, a Gentile sembra capace di essere tradotta e riela-
borata in termini concettuali dall’idea dell’immanenza as-
soluta della totalità degli oggetti pensati all’atto di
pensiero dell’Io trascendentale. Tant’è che, se fuori del
pensiero non c’è realtà che possa essere pensata (stante la
contraddizione che ne verrebbe), allora l’immanenza della
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5. Cfr.
ibi, p. 86.
6. Si veda, ad esempio,
ibi, pp. 76-79.
7. Cfr. G. Gentile,
ibi, pp. 141-153.
8. Ibi, p. 135.
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