Biblioteca dell’officina di studi medievali



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Giuseppina Mammana
senza castighi e minacce, anzi iniziò ad apprenderlo tra le affettuose carezze delle 
nutrici, nell’allegria dei giochi e nella spensieratezza dei divertimenti.
«È chiaro che si impara meglio sollecitati da una libera curiosità , che non 
costretti da una petulante necessità. La libertà però è regolata dalle tue leggi, o Dio, 
come dalle tue leggi derivano le sferzate dei maestri e le torture dei martiri» (Le 
Confessioni, libro I, p. 47).
Tuttavia il suo giudizio sulla scuola è ambivalente , perché da un lato le ri-
conosce il merito di avergli offerto i mezzi per esprimere e leggere i suoi pensieri e 
dall’altro di propinargli tante favole e tante sciocchezze che lo allontanavano da Dio 
e lo inducevano a condurre una vita senza freni, disordinata e peccaminosa; era sem-
pre alla ricerca dei piaceri dei sensi, in compagnia di falsi amici che con lodi stupide 
ed inutili alimentavano la sua vanità come, ad esempio, essere il primo nelle gare 
poetiche e sapere rubare le pere al vicino. Si illudeva di giustificare  la sua esistenza 
con il vuoto divertimento e la disobbedienza totale ai genitori e ai maestri.
«La madre, piangendo – egli dice – mi chiedeva come ricordo bene nel pro-
fondo del cuore la angosciosa apprensione che trapelava dalle sue parole-di astener-
mi dalla fornicazione e specialmente dall’adulterio» (Le Confessioni, libro II, p. 65).
Il padre modesto impiegato nel Municipio di Tagaste, si interessava soprattut-
to agli studi del figlio: non si preoccupava della sua castità; a lui premeva che diven-
tasse bravo nella dissertazione per un avvenire brillante e agiato; sognava anche di 
avere tanti nipotini.
Intanto bisognava trovare i soldi per mandare il figlio all’università di Cartagi-
ne. Ma i soldi non c’erano e Agostino dovette interrompere gli studi. Aveva 16 anni 
e, costretto all’ozio per mancanza di mezzi, «i rovi delle passioni-confessa- copriro-
no la mia testa e nessuna mano venne a sradicarli» (Le Confessioni, libro II, p. 64).
A Madaura, cittadina vicina a Tagaste, aveva compiuto gli studi di letteratura 
ed eloquenza. All’età di 17 anni raggiunge Cartagine: lo attraggono gli amori pecca-
minosi, e il teatro che riproduce sulle scene i vizi delle divinità pagane. La parteci-
pazione all’azione scenica è così intensa da soffrirne fino al pianto. Negli spettacoli 
teatrali ritrovava riproposte le sue miserie e il fuoco delle sue passioni.
«La mia anima non godeva buona salute, era piena di ulcere e si proiettava 
all’esterno, miserabile, avida soltanto di quelle emozioni che si trovano soltanto at-
traverso contatti carnali» (Le Confessioni, libro III, p. 80)
A Cartagine si innamora di una giovane donna che gli dà un figlio Adeodato, 
non voluto, ma poi amatissimo.
Cartagine, chiamata lussuriosa per le oscenità che venivano rappresentate nei 
teatri e per la vita immorale che vi si conduceva, era la città più importante dell’A-
frica romana. Vi fiorirono le lettere e il Cristianesimo: Apuleio, Arnobio, Tertulliano, 
San Cipriano e S. Agostino uscirono dalle scuole cartaginesi.
In questo vivace contesto sociale e culturale il giovane Agostino si impegnava 
nello studio della retorica e dell’eloquenza ed era fiero di essere il migliore e il più 


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La ricerca di sé come ricerca di Dio e dell’anima nel pensiero di S. Agostino
quieto degli alunni.
L’amore per lo studio dell’oratoria e dell’eloquenza lo spinsero a leggere un 
libro di Cicerone: Ortensio, un dialogo scritto tra il 46 e il 45 a. C., redatto nella 
solitudine dei colli romani, dopo le delusioni politiche e le sofferenze per la morte 
della figlia Tullia. Il dialogo prende il nome da uno dei suoi interlocutori, Ortensio 
appunto, che ha un atteggiamento ostile alla filosofia. Cicerone difende la validità 
della filosofia, dimostrandone l’innegabilità, perché anche chi la nega fa filosofia. 
L’Ortensio è andato perduto, i frammenti rimasti li troviamo quasi tutti nelle opere 
di Agostino (Le Confessioni, libro III, p. 86 ), ma per lui costituì un forte incitamento 
alla filosofia: «mi fece bramare la sapienza immortale con  incredibile ardore; come 
ardevo, o Signore, mio Dio, come ardevo di riprendere il volo verso di Te! e non 
avvertivo che eri tu ad agire in me. La sapienza  infatti , risiede presso di te».
L’amore alla sapienza ha un nome greco: filosofia. Purtroppo però vi sono 
alcuni che usano questo nome per colorare e falsificare i loro errori. Ha ben ragione 
l’apostolo Paolo quando ammonisce: «badate che nessuno vi inganni con i suoi rag-
giri, ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo 
Cristo» (Col. 2,8). Le parole di Cicerone lo infiammavano a cercare la vera sapienza 
ma nel suo libro non c’era il nome di Cristo. Si propose allora (aveva 19 anni) di leg-
gere le Sacre Scritture, ma gonfio di orgoglio, non riuscì a penetrarne il significato. 
Incappò invece nella rete di uomini superbi e farneticanti, carnali e ciarlatani all’ec-
cesso: i manichei, appartenenti alla setta fondata dal persiano Mani (216-277 d.C.).
Il principio che stava a fondamento di questa religione è l’opposizione eterna 
tra  il bene e il male, di cui è formata tutta la realtà, Dio e l’uomo compresi. Questi 
due principi stanno sempre in guerra. I manichei negavano il Vecchio Testamento e 
combattevano la Chiesa che imponeva la fede ai suoi fedeli.
Agostino si avvoltolò in quel fango d’abisso, e in quelle tenebre di errore, per 
altri nove anni.
Di gradino in gradino raggiunsi il profondo degli inferi, affaticato, stanco, as-
setato di verità che  non riuscivo a trovare. Mi confesso a Te, o Dio mio, che 
hai avuto misericordia di me quando io ancora non ti conoscevo. Mi confesso 
e riconosco che allora ti cercavo, non con l’intelligenza che tu mi hai donato e 
che mi distingue dalle bestie, ma secondo l’appetito carnale. Tu infatti eri den-
tro di me, nel mio intimo, più di quanto non lo fossi io, e altamente al di sopra 
della mia intelligenza (Le Confessioni, libro III pag. 93).
Già nel libro I de Le Confessioni, p. 22, aveva detto: «tu o Signore, ci hai fatto 
per te e il nostro cuore è inquieto, finché non trova riposo in Te (inquietum est cor 
nostrum donec requiescat in te, Domine)».
Intanto la madre, vedova casta e pia pregava e piangeva incessantemente; sup-
plicava il Vescovo di Milano, Ambrogio, nutrito nella Chiesa ed esperto nelle Sacre 
Scritture, ad incontrare il figlio.


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