S giovanni bosco


XI. Contese dei re Longobardi coi Papi e ricorso di questi ai Franchi



Yüklə 1,47 Mb.
səhifə13/40
tarix11.07.2018
ölçüsü1,47 Mb.
#55043
1   ...   9   10   11   12   13   14   15   16   ...   40

XI.
Contese dei re Longobardi coi Papi e ricorso di questi ai Franchi (90)

(Dall’anno 744 all’anno 773).

Gregorio III, Leone Iconoclasta e Carlo Martello morirono nell’anno 741 e Liutprando nel 744. Quando il re Franco prese parte alle cose degli Italiani conchiuse con Liutprando una tregua di venti anni. A costui succedette il duca del Friuli, di nome Rachis, il quale nel 749 ruppe la tregua, e minacciava nuove vessazioni in Italia; sicché il Papa Zaccaria andò a rimproverargli l’ingiustizia del suo procedere esponendogli nello stesso tempo la tregua fatta col suo antecessore, e che egli aveva violata. Quel re, sebbene barbaro, depose il suo furore, e sinceramente pentito del male fatto, rinunziò al trono e si rese monaco.

Astolfo, uomo ambizioso, capace di cominciare le cose, non di continuarle, gli fu successore. Ruppe di nuovo la tregua giurata dai suoi predecessori, andò ad impadronirsi di Ravenna, e assalì la stessa città di Roma. Di bel nuovo il romano Pontefice Stefano II va ad incontrarlo alle porte della città, gli si avvicina e lo prega di ritirarsi; egli accondiscende e giura altra tregua, che dovea nuovamente durare vent’anni.

Ma chi comincia a mentire una volta, mentisce quando che sia. Il re dei Longobardi, violando la data parola, non mancò di assalire Roma di bel nuovo, e dopo di averle cagionato gravi mali la sottopose ad un grave tributo. In quella dolorosa occasione il romano Pontefice non sapendo più a chi rivolgersi per sollevare le calamità dei suoi popoli, ordinò pubbliche preghiere e digiuni universali. Egli intanto, nudi i piedi, con un grande crocifisso sopra le spalle, percorre in processione le vie di Roma, seguìto dal clero e dal popolo asperso di cenere, rompendosi in lagrime e facendosi portare innanzi appesa ad una croce la carta della tregua infranta dal re. Quindi senza che alcuno osasse insultarlo, col corteggio di molti prelati ed altri sacerdoti traversa l’Italia, e frettolosamente pel gran S. Bernardo si reca in Francia.

Pipino, figliuolo di Carlo Martello, era succeduto a suo padre nel governo dei Franchi e dimorava in campagna, quando gli venne annunziato essere giunto il Pontefice a visitarlo. Pipino alla vista di un Papa coperto di cenere e di cilicio, che umilmente lo scongiura di portare soccorso agli oppressi Italiani, tutto commosso lo abbraccia, lo bacia e gli promette di soccorrerlo efficacemente.



XII.
Pipino e Carlomagno in Italia. Caduta del regno Longobardo (81).
Pipino radunò in breve un numeroso esercito, e s’incamminò verso l’Italia, i cui confini allora giungevano fino a quella linea, ove è al presente la Sacra di S. Michele. Quivi trovò chiusa la via da due ordini di trinceramenti, detti le Chiuse; da cui derivò il nome di Chiusa che un villaggio colà vicino conserva ancora oggidì. Da una parte vi erano i Longobardi, che si estendevano nelle pianure di Torino; dall’altra i Franchi accampati nella gola che tende verso Susa. Il re Astolfo confidando nel suo coraggio pensò di assalire i nemici per allontanarli dai loro trinceramenti; ma ne fu respinto per modo, che i Franchi oltrepassati i trinceramenti dei Longobardi si misero ad inseguire i nemici col massimo ardore e li costrinsero ad indietreggiare per andarsi a rinserrare col loro re in Pavia.

Astolfo ridotto a strettezze domandò pace al re dei Franchi con promessa di restituire le città prese al Papa e di risarcirlo dei danni, che i suoi sudditi avevano ricevuto. Pipino accondiscese alle proposte di Astolfo, e persuaso della sincerità di lui, ricondusse in Francia il suo esercito.

Ma Astolfo pareva propriamente un uomo nato per rovinare l’Italia e compiere la caduta del trono dei Longobardi. Egli mentito re e spergiuro violò le promesse fatte al re di Francia; e Pipino marciò di nuovo sopra l’Italia e sottopose Astolfo a dure condizioni, una delle quali fu di sborsargli una grossa somma di danaro per ricompensarlo delle spese di guerra.

Se non che i giorni di Astolfo volgevano al fine; andando un dì alla caccia cadde di cavallo, e la caduta fu la cagione della sua morte, lasciando un trono disonorato e vacillante. I Longobardi elessero per successore un chiaro capitano per nome Desiderio, il quale eziandio continuò a molestare i Papi e gli altri prìncipi d’Italia, che da lui non dipendevano; la qual cosa diede motivo ad un figliuolo di Pipino, detto Carlomagno, di mettere in piedi due poderosi eserciti e spedirli in Italia. Fece marciare l’uno pel Gran S. Bernardo, l’altro guidato da lui stesso per la solita via del Moncenisio e della Novalesa. Giunto tra il monte Caprario e il Pirchiriano, oggidì Sacra di S. Michele, incontrò il re Desiderio e suo figlio con agguerrito esercito e difeso da alte fortificazioni innalzate ad impedirgli il cammino.

Quivi si combatté prodemente da ambe le parti. Adelchi (era questo il nome del figliuolo di Desiderio) con una mazza in mano correva a cavallo in mezzo ai nemici, facendone terribile strage. Dicesi che Carlomagno già volesse trattare di accordi e ritornarsene indietro, se per buona ventura non gli fosse stato additato un luogo verso Giaveno non difeso dai nemici.

In questa guisa Carlomagno poté prendere i Longobardi alle spalle, sbaragliarli e metterli in fuga. Tuttavia costoro si raccolsero presso Pavia, e vennero ad una seconda decisiva battaglia, l’esito della quale fu una compiuta vittoria pei Franchi. Vuolsi che dal gran macello fattosi colà di Longobardi, quel luogo sia di poi stato denominato Mortara, come a dire: mortis ara, monte di morte.

Dopo questi fatti d’armi Desiderio e suo figliuolo fecero ancora alcuni sforzi, ma tutti invano: lo stesso Desiderio e sua moglie caddero nelle mani di Carlomagno, il quale usò loro molti riguardi, contentandosi di mandarli in Francia, dove finirono i loro giorni esercitandosi in opere di cristiana pietà.

Così cadde il regno dei Longobardi, dopo di aver durato circa 205 anni da Alboino a Desiderio; esso ebbe principio da un barbaro, che lo acquistò con prodezze di valore, e finì con poca gloria. Laonde possiamo dire, che la mala fede e gli spergiuri di quei sovrani, e la loro avversione ai romani Pontefici ne cagionarono la rovina.

Credo bene di farvi qui notare come i Papi nel ricorrere ai Franchi per aiuto, non chiamarono stranieri o nemici in Italia, come taluni vorrebbero far credere, ma essendo i Re di quella nazione conosciuti per veri cattolici, i quali si gloriavano appunto del titolo di difensori della Chiesa, furono invitati a venire in aiuto del Capo dei cristiani e di tutti gli Italiani; di venire cioè a liberare l’Italia dalle mani dei Longobardi, che erano barbari, forestieri ed oppressori dei Papi e dell’Italia. Per questi fatti i Papi si devono piuttosto appellare benefattori della religione e di tutti gli Italiani.

XIII.
Regno di Carlomagno o il secondo Impero d’Occidente (92). Riordinamento d’Italia.

(Dall’anno 774 all’anno 814).


La caduta dei Longobardi e la venuta di Carlomagno in Italia, miei cari giovani, è una delle più importanti epoche della storia; perché con essa venne a stabilirsi un nuovo impero d’Occidente. Sarà facile il richiamarvi alla memoria come dalla caduta del Romano Impero in Occidente, avvenuta nel 476, la povera Italia fosse continuamente vittima di nazioni barbare, le quali a null’altro attendevano che a signoreggiarla e predarla. Mentre una quantità di quei barbari invadeva l’Italia, altri si diffondevano in diverse parti meridionali di Europa; così che quei paesi, i quali facevano anticamente parte del Romano Impero, erano tutti passati l’uno dopo l’altro sotto il dominio di alcuna delle nazioni barbare, che lo avevano invaso.

Perciò l’Italia era quasi tutta occupata dai Longobardi, la Gallia dai Franchi, la Spagna dai Visigoti e poi dagli Arabi: tutti popoli barbari, ma forti guerrieri, che studiavano di fondare stabili regni nei paesi conquistati colla forza. Eranvi eziandio altri popoli del pari barbari e feroci, che minacciavano di uscire dalla Germania per invadere quei medesimi paesi che i loro antichi fratelli avevano già prima conquistati.

Da ciò voi potete facilmente comprendere come l’Europa occidentale si trovasse nella più trista condizione, quando Carlomagno, di cui vi ho poco fa parlato, figliuolo di Pipino re dei Franchi, fu dalla Provvidenza suscitato a ristabilire l’ordine in questi paesi. Questo grande uomo era degno di far cangiare l’aspetto al mondo, ed il suo regno, che fu lungo e glorioso, è certo il più ragguardevole di tutte le signorie del Medio-Evo; poiché in esso presero principio molti di quegli Stati che vediamo presentemente in Europa. Dopo le gloriose vittorie riportate sopra i Longobardi egli restituì al Papa tutte le città e tutti i paesi che gli avevano tolto i barbari, ed essendosi recato a Pavia, prese il titolo di re dei Franchi e d’Italia, ponendosi sul capo la Corona di ferro, che aveva servito ad incoronare i re Longobardi.

Carlomagno fece anche varie mutazioni riguardo al governo civile dell’Italia. Abolì molti ducati, li divise in distretti, e pose dei conti a governarli coll’autorità che avevano i duchi. Le contee di frontiera, perché potessero servire di difesa, furono da Carlomagno stabilite più vaste e più potenti. Esse denominaronsi Marche, e i conti che le governavano furono detti marchesi o marchioni.

Questo nuovo ordine di cose ebbe il nome di vassallaggio o feudalità, vale a dire fede data, perché era strettissimo dovere di ciascuno di mantenersi fedele agli obblighi scambievoli. Così le città, i villaggi, i castelli d’Italia furono divisi fra una quantità di signori, i quali si occupavano a mantenere la tranquillità tra i mercanti e coltivatori dei loro dominii. Erano essi denominati padroni, e davasi il nome di servi ai loro sudditi. Il conte o il duca, potenti abbastanza, perché altri signori andassero ad implorare il loro soccorso, portavano il titolo di sovrano o superiore, e gli altri a lui sottomessi dicevansi vassalli, vale a dire beneficati.

Quando un vassallo andava a rendere omaggio al suo signore, cioè ad obbligarsi a servirlo e ad aiutarlo, secondo il costume feudale, piegava il ginocchio dinanzi a lui in segno di sommissione, e poneva le mani nelle sue per far conoscere che egli rinunziava ad usare di sue forze senza la permissione di lui.

Se non che, mentre Carlomagno aggiungeva quasi tutta l’Italia al suo regno ed era intento a rendere stabile la potenza dei Papi, altri nemici più formidabili dei Longobardi tentavano di scacciare i Franchi dalla Germania, di cui erano antichi abitatori. Erano questi i Sassoni, dai quali fu poi detta Sassonia quella regione della Germania, che oggidì si appella ancora col medesimo nome. Questi Sassoni, sotto la condotta del terribile loro capo Vitichindo, avevano già devastato parecchie provincie della Francia, e specialmente quelle poste sulle sponde del Reno. Essi avevano fino allora ostinatamente rifiutato d’istruirsi nella religione cristiana, anzi avevano fatto morire in mezzo ai supplizi diversi coraggiosi missionari, che avevano avuto ardire d’inoltrarsi fra le loro selvagge tribù per predicare il Vangelo. Carlomagno marciò contro di essi, facendo loro toccare molte sanguinose rotte in vari scontri, in cui egli fece prodezze da eroe, e dopo lunga ed ostinata lotta riuscì a soggiogarli del tutto. Vinti, e finalmente illuminati dalla luce delle verità del Vangelo, essi ricevettero il battesimo.

La stessa fortuna che aveva favorito il figliuolo di Pipino nelle sue spedizioni contro i Sassoni, non l’abbandonò contro agli altri popoli della Germania, i quali tutti furono superati da lui, e forzati a lasciarsi governare da ufficiali che egli mandava a fare le sue veci nei vari paesi. Le nazioni Slave, popoli anche della Germania, avevano osato minacciare l’Italia mentre Carlomagno era occupato a combattere i Sassoni; ma soggiacquero alla medesima sorte, e furono costretti a venerare la fede cristiana e a rispettare la potenza di Carlomagno.

Questo imperatore, giunto ad un’età avanzata, pareva all’apice della gloria e della potenza, poiché regnava ad un tempo sulla Germania fino al fiume Elba, su tutta la Gallia, sopra grande parte della Spagna, su parecchie isole del Mediterraneo e sull’Italia. Mancavagli soltanto il titolo d’imperatore, che in quel tempo riguardavasi come superiore a quello di tutti i re della terra; tanto era ancor viva la memoria degli imperatori romani, che furono per lungo tempo i padroni del mondo. Questa gloria doveva toccare eziandio a Carlomagno. Chiamato egli in Italia da Leone III sommo Pontefice per ordinare alcuni affari che riguardavano il bene della Chiesa e la pace della penisola, egli si arrese prontamente all’invito, e ridottala in pace, andò a Roma.

Era l’anno 800 ed il giorno di Natale, che, come sapete, è una delle più grandi solennità della Chiesa cattolica. Il Papa celebrava la Messa, e Carlomagno vi assisteva co’ due suoi figliuoli Carlo e Pipino. Finita la sacra funzione, il Papa si volse al re, gli pose sul capo la corona imperiale, gridando ad alta voce: «A Carlo piissimo, Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria». A tali parole il popolo e i sacerdoti franchi e romani, che empievano la chiesa, lo salutarono fra mille applausi col titolo d’imperatore. Da quel punto i suoi vasti Stati presero il nome d’Impero d’Occidente, già stato abolito dal tempo in cui Odoacre, vinto Romolo Augustolo, erasi fatto re d’Italia.

D’allora in poi il nome di Carlomagno fu conosciuto e venerato nei più lontani paesi. Gli stessi Greci, che a buon diritto riguardavano i popoli dell’Europa come barbari, cominciarono a parlarne con rispetto. Una imperatrice chiamata Irene, che regnava a Costantinopoli, fu sollecita di stringere alleanza con lui. I popoli barbari, gli Arabi ed altre nazioni andavano a gara per dare segni di stima e venerazione al novello imperatore d’Occidente.

Carlomagno, giunto al colmo della gloria, amato dai suoi sudditi, morì nell’814 in età d’anni 72, dopo di averne regnato 47 e 14 come imperatore. Egli fu ammirabile in tutto: rimunerava la virtù, puniva il vizio qualora ne fosse mestieri. Era intrepido in guerra, ed amava la religione. Nelle battaglie più pericolose faceva fare grandi preghiere, e spesso avveniva che i cappellani dell’esercito passassero l’intera notte per udire le confessioni dei soldati, che il seguente giorno dovevano venire alle mani coi nemici, Era semplice di costumi, sobrio, instancabile; dormiva poco; in tempo di mensa facevasi leggere le storie antiche, oppure un libro di S. Agostino, intitolato la Città di Dio. Egli pose ogni cura per ravvivare fra noi le arti, le scienze, la civiltà, la virtù. Tutte queste belle qualità gli procurarono il soprannome di Grande, che la storia gli conservò in tutti i secoli.



XIV.
Scompartimento dell’Italia. - Origine e prime glorie di Venezia. - I successori di Carlomagno (93).

(Dall’anno 814 all’anno 843).


Carlomagno fino dall’806, sentendosi aggravare dal peso degli anni, aveva voluto provvedere col dividere fra i tre suoi figliuoli la sua vasta monarchia. A Carlo, suo primogenito, assegnò la Francia Settentrionale e quasi tutta la Germania. A Lodovico, il più giovane, diede la Francia Meridionale e quanto possedeva nella Spagna, e la valle di Susa. A Pipino lasciò l’Italia, quasi tutta la Baviera ed una porzione della Germania. Se non che Pipino moriva nell’809, lasciando un solo figliuolo per nome Bernardo, il quale gli succedette nel regno d’Italia. Nell’anno appresso moriva anche Carlo senza prole. Così nell’814, quando morì Carlomagno, non rimaneva più della sua discendenza che Lodovico e Bernardo. Il primo, avendo ereditato la parte di Carlo, rimase il vero imperatore; Bernardo era re d’Italia, ma vassallo, ovvero dipendente dell’imperatore.

L’Italia allora abbracciava cinque Stati:



Il dominio dei Greci, che comprendeva la Sardegna, la Sicilia ed il paese che dalla Calabria Inferiore si stende sino alla fine dell’Italia.

Lo Stato della Chiesa, che comprendeva presso a poco quei medesimi paesi e quelle stesse città d’oggidì (*) [(*) Oggidì: 1856.*].

Il ducato di Benevento, che abbracciava quasi tutta l’Italia Meridionale, eccetto i paesi posseduti dai Greci.

Il resto della Penisola, che formava il regno d’Italia, apparteneva a Bernardo.

Ed in ultimo la piccola repubblica di Venezia. Questa città, composta di molte isolette, si trova quasi nella estremità settentrionale del mare Adriatico verso ponente presso alla foce di parecchi fiumi. Da principio venne abitata dai Veneti, che le diedero il nome; in appresso stabilironvi la loro dimora gran numero d’Italiani, che, siccome vi ho altrove raccontato, cercavano di sottrarsi alle invasioni dei barbari. Si elessero pertanto un doge, ossia duca, che li governasse. Mentre Pipino, figliuolo di Carlomagno, regnava in Italia, tentò d’impadronirsi di Venezia, ed a questo fine pose in piedi un grande esercito per terra e per mare. Dopo aver riportate alcune vittorie, inseguendo i Veneziani, si lasciò prendere in certi stretti canali in cui i suoi grandi e numerosi vascelli non potendo più fare liberamente i loro movimenti, venne sconfitto pienamente.

Questa repubblica, che da umili princìpii andava ognor crescendo in potenza, poco dopo si trovò in istato da poter eziandio sconfiggere gli Arabi per mare. Tale è l’origine e tali sono le prime glorie di Venezia.

Intanto, mentre Bernardo regnava in Italia, Lodovico, che per la sua bontà (altri dicono dabbenaggine) era soprannominato Bonario, aveva nella Dieta, ovvero adunanza generale dei suoi Stati, nell’anno 817, dichiarato imperatore e collega nell’impero Lottario, suo figliuolo primogenito. Aveva anche mandato gli altri due suoi figliuoli Pipino e Lodovico, l’uno in Aquitania, l’altro in Baviera, che erano i regni destinati per loro porzione. Siccome l’essere imperatore portava superiorità di comando e di autorità sopra tutti i re, perciò Bernardo se l’ebbe a male, e diceva che a sé, siccome figliuolo del secondogenito di Carlomagno, sarebbe toccato il grado d’imperatore, e non a Lodovico il Bonario, figliuolo terzogenito, e tanto meno a Lottario. Fisso in questo ambizioso pensiero, mise in piedi un esercito e si volse coraggiosamente contro ai suoi rivali; ma abbandonato da quegli stessi che lo avevano eccitato alla rivolta, cadde nelle mani del suo zio Lodovico, che gli fe’ cavare gli occhi; e l’infelice Bernardo morì fra gli spasimi di quella barbarie.

Di questo misfatto Lodovico provò i più vivi rimorsi, e cercò di espiarlo con molti digiuni e con molte penitenze.

Lottario era il quarto re d’Italia, di stirpe franca, dopo Carlomagno, Pipino e Bernardo, e poiché era primogenito di Ludovico, ricevette il titolo d’imperatore; gli altri due fratelli presero solamente quello di re. Lottario credendosi potente al pari di suo avo Carlomagno, perciocché portava il medesimo titolo, ordinò ai suoi fratelli di ubbidire a lui come legittimo padrone: ma essi, sdegnati che egli osasse comandar loro con tanta alterigia, fecero grande leva di genti, e gli mandarono a dire che fra pochi giorni si sarebbero appellati al giudizio di Dio.

Appellarsi al giudizio di Dio in quei tempi voleva dire ricorrere alla forza delle armi, perché si credeva che in battaglia la Provvidenza non mancasse di dare la vittoria a colui che avesse avuta causa giusta. La qual cosa sebbene Iddio possa fare, come l’ha fatta tante volte, tuttavia non suole Iddio operare miracoli senza bisogno; e per via ordinaria la vittoria appartiene a chi ha maggior numero di soldati, od un esercito meglio agguerrito.

Comunque ciò sia, questa volta la Provvidenza favorì i fratelli di Lottario; perciocché appiccatasi una sanguinosa battaglia, l’imperatore rimase pienamente sconfitto. Lottario allora stimò bene di lasciare tranquilli i suoi fratelli, e si fece un trattato di pace, detto Trattato di Verdun, perché conchiuso in una città di Francia, che ha questo nome (Anno 843).


XV.
I Saraceni in Italia. - Sacrilegio di Lottario. Fine dei Carolingi in Italia (94).

(Dall’anno 828 all’anno 888).


Nell’828, mentre regnava Lottario, alcuni popoli dell’Arabia, noti sotto il nome di Saraceni, vennero in Italia a farle molto guasto. Costoro, dopochè Maometto ebbe propagata la sua religione, si erano sparsi in varie parti del mondo e in gran numero nell’Africa, sulle coste del Mediterraneo. Passato lo stretto di Gibilterra, impadronitisi della Spagna, avevano già occupato una parte della Francia, e forse avrebbero invasa tutta l’Europa, se Carlo Martello con forte esercito non li avesse vinti compiutamente a Poitiers nel 732, costringendoli a ritornare in Ispagna. Tuttavia essi trovarono modo di penetrare in Italia, ed ecco il modo con cui furono invitati a venire.

Nel tempo di cui parliamo la Sicilia era ancora governata dai Greci. Ora avvenne che un giovine di nome Eufemio per la sua scostumatezza meritò di essere condannato a gravi pene; ma che? un delitto conduce ad un altro. Egli invece di emendarsi raccoglie intorno a sé un buon numero di scapestrati, assalta il governatore, lo uccide, e per liberarsi dalla pubblica esecrazione fugge nell’ Africa. Per colmo di sciagura invita i Saraceni a venire in Sicilia, promettendo loro tesori ed aiuto. Conduce di fatto gli Arabi in Sicilia, ma invece di poter assassinare la sua patria, fu egli stesso ucciso da un assassino sul principio dei suoi trionfi. Morto Eufemio, i Saraceni continuarono la guerra per proprio conto, e in poco tempo si impadronirono di tutta la Sicilia. Invitati dal duca di Benevento a ritornare nei loro paesi, non gli diedero ascolto; anzi presero le armi e recarono il saccheggio e la strage fin sotto Roma, senza che cosa sacra o profana potesse sfuggire alle loro rapine.

Temendo il Pontefice che quei barbari giungessero a saccheggiare la basilica dei santi Pietro e Paolo, fece cingere di forti mura il sobborgo detto Vaticano, per metterlo in sicuro. Il novello quartiere così fortificato servì di potente difesa contro ai barbari, e fu unito all’antica Roma sotto al nome di città Leonina, vale a dire borgo di Leone, dal pontefice Leone IV, che ne fu il fondatore.

Mentre i Saraceni si spandevano in vari paesi d’Italia, Lottario occupavasi di cose affatto indegne di un imperatore. La crapula e la disonestà lo avevano condotto ad eccessi così gravi, che meritò di essere dal romano Pontefice scomunicato; vale a dire condannato a non poter più essere considerato fra i fedeli cristiani. L’imperatore, che temeva la conseguenza della scomunica, si portò a Roma per riceverne dal Papa l’assoluzione, dimostrandosi pentito e disposto a fare la debita penitenza. Ma Lottario fingeva; perciò aggiunse il più enorme sacrilegio ai delitti che aveva già commesso. Chiede di fare la Comunione dal Papa, e gli è concesso. Al giorno stabilito, sul terminare della Messa, il Pontefice pigliando in mano il corpo di G. C. e volgendosi al re con voce alta e distinta, gli disse: «Principe, se voi siete veramente pentito e avete ferma risoluzione di non più commettere i delitti per cui foste scomunicato, avvicinatevi pieno di confidenza e ricevete il Sacramento della vita eterna: se la vostra penitenza non è sincera, non siate così temerario di ricevere il Corpo e il Sangue del nostro Signore, e di ricevere così la condanna contro di voi stesso». Le medesime parole furono indirizzate a tutti quelli che accompagnavano l’imperatore.

L’orrore del sacrilegio ne fece ritirare parecchi; con tutto ciò molti si comunicarono ad esempio di Lottario, il quale desiderava solo di fare presto ritorno nella sua capitale per commettere nuovi disordini. Ma giunto appena a Lucca, città di Toscana, egli e quasi tutto il suo corteggio furono presi da una febbre maligna, la quale produceva gli effetti più strani e più spaventevoli. I capelli, le unghie, la pelle medesima cadevano loro, mentre un fuoco interno li divorava. La maggior parte morirono sotto agli occhi del re, il quale tuttavia non tralasciò di continuare il suo viaggio fino alla città di Piacenza, dove, straziato da acutissimi dolori, cessò di vivere, senza dare segno alcuno di pentimento. Si notò che quelli fra’ suoi, i quali avevano con lui profanato il corpo del Signore, perirono nella guisa medesima. Coloro invece che si erano ritirati dalla santa mensa furono i soli che camparono; prova sicura della vendetta del Cielo (V. Fleury, Bercastel, Henrion) (*).
[(*) Riferisci il fatto non all’imperatore Lottario I (+855), ma al figlio di lui, Lottario II, re di Lorena (+869)].
A Lottario succedettero due re suoi parenti: Lodovico e Carlo, soprannominato il Calvo; a costui tenne dietro Carlomanno, dipoi un altro Carlo, detto il Grosso. Questi fu l’ultimo imperatore e re d’Italia, discendente da Carlomagno; ma egli era piuttosto capace di rovinare un regno, anziché governarlo: perciò popoli e signori tutti si rivolsero contro di lui e lo deposero l’anno 888. Così finiva la dominazione franca in Italia, dopo di aver durato cento quindici anni, da che Carlomagno l’aveva tolta dalle mani dei Longobardi.


Yüklə 1,47 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   9   10   11   12   13   14   15   16   ...   40




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©genderi.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

    Ana səhifə