S giovanni bosco



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EPOCA QUARTA

STORIA MODERNA

DALLA SCOPERTA DEL NUOVO

MONDO NEL 1492 FINO AL 1873



I.
Scoperta del Nuovo Mondo (123).

(Anno 1492).


La serie degli avvenimenti, che io intraprendo a raccontarvi, dicesi Storia Moderna, sia perché abbraccia i tempi a noi più vicini, sia perché i fatti, che ad essi riferisconsi, non hanno più quell’aspetto feroce e brutale siccome quelli del Medio Evo. Qui è quasi tutto progresso, tutto scienza ed incivilimento; perciò ho motivo a sperare che le cose, che io vi andrò raccontando, debbano di certo riuscirvi utili e nel tempo stesso piacevoli.

La scoperta dell’America è l’avvenimento che dà principio a quest’epoca; avvenimento il più strepitoso di cui si abbia notizia nella storia dei popoli. Prima del 1492 le parti del mondo conosciute erano soltanto tre, vale a dire l’Europa, di cui fa parte l’Italia; l’Asia dove vissero i primi uomini del mondo, e l’Africa, che è una vasta estensione di paesi al nostro mezzodì, al di là del Mediterraneo.

Nel secolo di cui parliamo già si erano fatte molte scoperte marittime specialmente dai Portoghesi; si erano scoperte le isole Canarie, le Azzorre, la Guinea, ed alcuni erano già pervenuti fino alla estremità meridionale dell’Africa, che ricevette il nome di Capo di Buona Speranza. Ciò non ostante fino al 1492 non si aveva notizia di una parte del mondo, la quale in estensione uguaglia quasi le tre altre parti già conosciute. La gloria di questa maravigliosa scoperta è dovuta ad un nostro italiano di nome Cristoforo Colombo.

Ascoltate le belle imprese che ho a raccontarvi di lui. Egli era nato in un villaggio detto Cogoleto vicino a Genova, da uno scardassiere di lana, e suo padre voleva ammaestrarlo nell’arte che egli stesso esercitava (*) [(*) Vedi PARRAVICINI, Giannetto, vol. IV (a).]. Ma Colombo era dalla Provvidenza destinato a cose più grandi; e all’età di soli quattordici anni diede prova di essere un bellissimo ingegno. Il buon genitore osservando la lodevole condotta del figliuolo gli somministrò mezzi e tempo da potersi applicare allo studio dell’aritmetica, della geometria e di altre scienze, che giovano alla navigazione.

La scoperta di varie terre e di varie isolette fatta poco prima dai Portoghesi formava il soggetto delle conversazioni di tutti, ed aveva acceso l’animo del giovanetto Cristoforo. Nato egli in paese marittimo, sentiva ardersi della brama di acquistare anch’esso gloria sul mare; perciò studiò con impegno la nautica sia coi libri, sia viaggiando per mare. Intanto postosi agli stipendi di un Genovese, celebre capitano di mare, andò con lui a combattere contro ai Turchi e contro ai Veneziani; sostenne fieri combattimenti, arrischiò la vita fra le burrasche, si acquistò un poco di denaro, cognizioni e fama di giovine valorosissimo. Avvenne sulle coste del Portogallo, che il suo capitano attaccò una zuffa con alcune galee veneziane; e nel furore della mischia si appiccò il fuoco al vascello genovese. Colombo, scorgendo ogni cosa fatta preda delle fiamme; si gettò in mare e nuotando giunse a grande stento alla riva. Si ricoverò in Lisbona senza un soldo e senza robe. Ma gli uomini dotti e virtuosi trovano presto benefattori. Le sue belle maniere e le sue cognizioni gli procacciarono l’amicizia di alcuni mercanti suoi compaesani, i quali lo provvidero di quanto era necessario per dimorare in quella città. Allora egli si diede col massimo ardore a’ suoi prediletti studi, e tanto progredì in scienza, che giunse a congetturare esservi ancora moltissime terre. lontane da scoprire. Questa idea vaga da principio divenne per lui a poco a poco una certezza, sicché andava dicendo con tutti: C’e un nuovo mondo, e voglio andarlo a scoprire.

D’allora in poi Cristoforo non provò più pace, finché non ebbe i mezzi d’introdursi in mari non ancora navigati. A questo fine chiese navi da prima alla repubblica di Genova sua patria, poi al Portogallo: ma parendo a tutti che il pensiero di Colombo fosse privo di fondamento, niuno gli diede ascolto.

Il credereste? tante ripulse non avvilirono l’animo di Colombo. Saldo nella sua idea si avvia in Ispagna, e va a presentarsi al re di nome Ferdinando, soprannominato il Cattolico; gli propone di scoprire nuove terre, purché esso lo fornisca delle navi necessarie. Anche qui Colombo sulle prime fu tenuto per un visionario, e come tale fu dalla corte congedato. Il peggio si è che il popolo, vedendolo aggirarsi per la città sempre immerso in profonde meditazioni, lo riputava pazzarello.

Cinque anni aveva speso in viaggi, in preghiere, in raccomandazioni per far adottare il suo progetto. Fatiche inutili, parole sparse al vento! Disperando di ottenere le navi richieste, si preparava ad uscire dal regno per recarsi di nuovo in Inghilterra, quando un dotto monaco di nome Perez, di lui amico, riuscì ad ottenergli dal re le navi e le provvigioni necessarie per quella singolare spedizione.

Colombo tutto pieno di giubilo promise al re che le nuove terre, di cui sembravagli sicura la scoperta, apparterrebbero alla Spagna. Dal canto suo Ferdinando promise al coraggioso genovese che egli e i suoi eredi le governerebbero in qualità di viceré.

Quindi colla massima prestezza raccolta la sua gente nella città di Palos, fece benedire le sue navi e pose tutto l’equipaggio sotto alla protezione dell’augusta Regina del Cielo, volendo che la maggiore delle sue navi si chiamasse Maria. Ciò fatto, sciolse le vele alle tre navi, andando in cerca del nuovo mondo, il 3 agosto 1492. Dopo due settimane di viaggio fra mari sconosciuti, fra tempeste e sotto nuovi climi, né ancora scorgendosi spiaggia alcuna, il timore di morire di fame assalì l’animo di tutti.

I lamenti ripetuti tra gli stessi marinai si cangiarono a poco a poco in imprecazioni e congiure. Al fine crescendo ogni giorno i pericoli, quella gentaglia si ammutinava: morte, gridavano inferociti, morte a chi volle pazzamente sacrificare tanti bravi! Colombo non si smarrì a queste voci da forsennati, ma indusse i meno temerari a star cheti, punì i pertinaci, placò tutti, e con coraggio irremovibile andò incontro a maggiori disastri. Viaggiarono ancora un mese e mezzo, e continuavano a non vedere altro che cielo ed acqua. Ben sapevano Colombo e i suoi compagni, che essi erano divisi dalla patria da un immenso tratto di mare; laonde questi ultimi piangevano disperando di rivedere i loro parenti. Colombo li confortava e andava innanzi.

Per buona sorte non passarono molti giorni che egli vide volare uccelli di una specie nuova e sconosciuta, poi scorse un insetto vivo fra alcune erbe galleggianti: erano questi sicuri indizi, che la terra non poteva essere molto discosta. Tutto allegro additò l’insetto e gli uccelli ai malcontenti, e parvero alquanto rincorati; ma scorsa una settimana, e non vedendosi ancora altro che cielo ed acqua, le doglianze si cangiarono in minacce, e la ciurma passando dai detti ai fatti, era in procinto di gittar nel mare il condottiere ostinato, a fine di rivolgere la prora verso la Spagna.

Colombo allora aduna intorno a sé i più valorosi: Ebbene, egli dice, se fra tre giorni non iscopriamo terra, vendicatevi pure, gettatemi in mare. A queste parole pronunziate con mirabile fiducia quegli uomini rozzi stupirono e si acquetarono; il viaggio fu proseguito. Passò un giorno e la terra non si scopriva: venne la sera, e molti vegliavano agitati dalla speranza e dal timore. Non era ancora mezzanotte, quando parve a Colombo d’intravedere da lontano un lumicino, e lo accennò a due ufficiali spagnoli, che gli stavano dappresso. Tutti e tre infatti videro, che il lume si andava movendo come fiaccola, che altri portasse di luogo in luogo. Erano in queste congetture, quando dalla nave più avanzata udirono gridare lietamente: terra terra! Ed invero allo spuntar dell’alba si mostrò alla distanza di cinque miglia un’isola verdeggiante di boschi e praterie. I marinai e i volontari spagnuoli, che avevano minacciata la vita del condottiere, si prostrarono a’ suoi piedi, chiedendogli perdono. Quell’italiano, a cui poco innanzi non volevano ubbidire e che trattavano con disprezzo, allora pareva loro il più grand’uomo del mondo; così che l’eccesso della gioia li portava ad una specie di adorazione verso di lui.

Era venerdì giorno 12 ottobre 1492. Colombo discese nei battelli coi soldati; fece spiegare le bandiere al vento e precedere la banda militare in bella ordinanza, e a remi sforzati gli Spagnuoli si avvicinarono alla costa. Uno stuolo d’isolani copriva quella spiaggia, ivi attirati dalla novità della cosa. Colombo fu il primo che mise i piedi a terra, tenendo in mano la spada sguainata; dietro a lui venivano i suoi compagni a schiera a schiera.

Appena toccata quella terra, gli Spagnuoli vi innalzarono un crocifisso; tutti caddero ginocchioni davanti alla sacra immagine, e ringraziarono Iddio pel felice termine del loro pericoloso viaggio, e per avere con ceduto di essere guidati dal glorioso Colombo a scoprire nuove terre e nuovi popoli. Stupivano gli Spagnuoli nel vedersi intorno piante, erbe, frutti, animali diversi affatto da quelli d’Europa. Gli abitanti dell’isola erano selvaggi nudi, di color di rame, e quasi senza barba; avevano la faccia e le membra dipinte di vivaci colori. Ancora più attoniti erano questi isolani, i quali non avevano mai veduto approdare a quei lidi straniero alcuno. La pelle bianca degli Europei, i lunghi baffi, le vesti a vario colore, le armi lucenti, i cavalli e i cani, bestie colà ignote, tutto faceva una strana impressione nell’animo loro. Quei semplicioni pensavano che le navi colle vele spiegate fossero mostri marini; taluni dei selvaggi credettero che i cavalli e i cavalieri fossero un corpo solo; e tutti chiamavano i seguaci di Colombo figliuoli del sole discesi in terra (*).
[(*) Quando furono scoperte queste immense regioni sequestrate da tutto il restante del globo e circondate da interminabili oceani, nel vederle abitate da tanti popoli stupidirono gli Europei, non potendo sciogliere il difficile problema, cioè come avessero fatto gli uomini a portarsi in quelle regioni rimaste per tanto tempo ignote. Ora, mercé lunghi studi fatti sulle lingue primitive di quelle nazioni, sulle tradizioni, sulle credenze religiose, sui geroglifici, sui monumenti antichissimi trovati tra quelle selve, sui costumi ed anche sulla conformità della loro storia religiosa colla Genesi, si poté dedurre con evidenza, che da tre parti giunsero in America i primi abitatori.

l. Partiti dalla valle di Sennaar e, traversata la Siberia, passarono lo stretto di Bering e incominciarono a popolare l’America settentrionale.

2. Prima i re pastori, poscia i Cananei, cacciati dalle loro terre, sembra giungessero alle Canarie e all’isola di Cuba, e quindi occupassero l’America centrale, crescendo sempre di numero per successive trasmigrazioni. Il riscontro tra le usanze Messicane e le Cananee è Così sorprendente, che lo studioso dei costumi dei popoli resta meravigliato.

3. Un ultimo popolo, verso la fine del secolo IV dell’èra nostra, venuto dall’India fuggendo i nemici, che tiranneggiavano la loro patria, ripararono nella Polinesia, e passando da un’isola all’altra approdarono al Perù. Tutti sanno come i Fenicii, ossia Cananei, e gli Indiani, specialmente Malesi, fossero arditissimi navigatori (a)].



II.
Colombo in America (124).

(Dall’anno 1492 all’anno 1493).


Quando Colombo ebbe finite le cerimonie religiose e date le disposizioni militari, si fece incontro amichevolmente agli isolani, i quali eransi tenuti in disparte sulle vicine collinette a vedere lo sbarco e le mosse della piccola squadra. Quei selvaggi intimoriti all’avvicinarsi di queste nuove figure di uomini in sulle prime fuggirono; ma Colombo gettò loro in dono dei sonagli, degli spilli, dei coltelli, degli specchietti di vetro, ed altre cose fino allora sconosciute in quei luoghi, ed essi le andavano raccogliendo a gara, ed erano meravigliati della bellezza di siffatte bagatelle. A poco a poco, come accade nei fanciulli, nacque in tutti il desiderio di possederne. Laonde i più animosi appressaronsi agli Spagnuoli, domandando alcuna di quelle cosucce, e offrendo in cambio frutti e tele del paese. Così incominciarono le prime relazioni fra gli Europei e gli abitanti del nuovo mondo. Sull’imbrunire di quel giorno memorabile Colombo salì in una barchetta, tornò alle sue navi, e molti selvaggi onorevolmente lo accompagnarono coi loro canotti, specie di navi fatte con tronchi di grossi alberi, incavati in modo da poter navigare entro essi.

L’isola, a cui approdò Colombo per la prima, e che si può dire essere stata la sua salvezza, fu nominata San Salvatore. Dopo di aver colà ristorate le sue genti andò in traccia dei luoghi giudicati ricchi in oro, approdò a più isole, e alcun tempo dimorò in quella di Cuba. Ivi gli abitanti, credendo gli Spagnuoli esseri divini, portarono ad essi cibi preziosi, e si prostrarono per baciar loro i piedi.

Sbarcò poscia all’isola detta più tardi S. Domingo. Da prima quei timidi abitanti fuggirono nelle selve all’approssimarsi degli Spagnuoli. Ma avendo questi preso una donna e condotta a Colombo, egli comandò che le si mettessero bellissime vesti alla nostra usanza, e la rimandò fra i selvaggi che erano nudi. Chi sa quale meraviglia parve a coloro la donna vestita con una ricca gonnella? Chi sa che cosa narrò colei dei costumi spagnuoli? Il fatto sta che il dono e le cortesie compartite da Colombo a quella donna gli giovarono assai; poiché il giorno dopo vennero in fretta i selvaggi a cangiare l’oro colle palline di vetro e con altre bagatelle degli Spagnuoli. Alcuni di quegli isolani portarono sulle spalle la donna, cui erano stati regalati gli abiti, e presso di lei stava il marito, il quale veniva a ringraziare il condottiere delle navi.

Un Cacicco, ossia principe del luogo, volle vedere i viaggiatori Spagnuoli. Ducento uomini lo accompagnavano portandolo sotto ad una specie di baldacchino. Desiderò salire sulle navi; e subito Colombo lo accolse a grande onore e gli presentò rinfreschi. Il Cacicco non fece che appressarli alle labbra, senza bere alcun liquore. Anche egli credeva che quegli stranieri scendessero dal Cielo.

Colombo, che già incominciava ad intendere la lingua che parlavano i selvaggi, ebbe poi un abboccamento col maggiore de’ cacicchi dell’isola. Dopo di avere stretta amicizia con esso lui, prese a costeggiare l’isola in cerca di miniere d’oro.

In quel viaggio essendo si addormentato il pilota, la nave diede in uno scoglio e si ruppe. Tutto vi andò a soqquadro. Lo stesso Colombo dovette gettarsi in mare e salvarsi a nuoto. Quei buoni selvaggi, appena fatti consapevoli del naufragio, corsero a prestare aiuto agli Spagnuoli, e nessuno perì.

Di tre navi, che Colombo aveva condotto dalla Spagna, due erano perdute: quella che rimaneva non era più capace di portare tutta la sua gente.

Fu perciò costretto a dividere gli Spagnuoli in due compagnie. Ordinò ad una di rimanere nell’isola; annunziò all’altra, che sarebbe ritornata in Ispagna con lui. Ma, prima di partire, Colombo, chiamati intorno a sé gli Spagnuoli, che dovevano fermarsi fra i selvaggi, comandò loro di essere costumati e religiosi, di studiare il linguaggio del paese, di non fare torto ad alcuno. Invitò il primo Cacicco a conchiudere un trattato, in forza del quale gli Spagnuoli si obbligavano a difendere quegli abitanti dalle scorrerìe di non so quali crudeli vicini, e gli isolani promettevano dal canto loro di somministrare agli Spagnuoli vivande e braccia, quante loro abbisognassero.

Colombo, per obbligare meglio i selvaggi all’osservanza dei patti, fa schierare i suoi Spagnuoli armati di tutto punto. Il vedere lance, spade, archibugi, balestre e cannoni, fu uno strano spettacolo per genti accostumate a maneggiare in guerra soltanto spine di pesci e rami d’alberi. Ma quale fu poi il loro sbigottimento, quando conobbero l’uso di quelle armi, e udirono gli spari degli archibugi e delle artiglierie? A quei fuochi, a quei rimbombi si buttarono a terra uomini e donne coprendosi colle mani il viso, e poi si alzarono tremanti per adorare gli dèi armati, come essi dicevano, di lampi, di tuoni e di saette.

Ciò fatto, Colombo imbarca i più curiosi prodotti e alcuni selvaggi. Carico di queste maraviglie, scioglie le vele per l’Europa.

Sorge nel viaggio una furiosa burrasca, e Colombo vedesi parata innanzi la morte; ma tranquillo innanzi al pericolo si dispone a morire da buon cristiano. Comanda poi che gli si rechi della cartapecora; scrive su di essa la storia del suo viaggio, chiude il foglio in un barile, e lo getta sui £lutti, acciocché galleggiando possa un dì venire raccolto da qualche navigatore, e così manifestare l’esistenza delle isole da lui scoperte. Ma la divina Provvidenza, che riserbava il prode italiano per altri grandi disegni, lo campò dal pericolo, ed egli poté co’ suoi continuare il cammino.

Sette mesi erano scorsi, da che Colombo aveva lasciata la Spagna, e niuno in Europa aveva avuto notizia di lui. Cominciava a nascere il dubbio che fosse perito nell’impresa arrischiata... quand’ecco la sua nave comparisce inaspettata innanzi a Lisbona, ove fu costretta da una tempesta a ricoverarsi. Di là Colombo spedì un corriere al re di Spagna, ed egli intanto si mosse verso la città di Palos.

Prima che il famoso navigatore arrivasse in Ispagna, si sparse la novella dell’esito felice della spedizione. Quando poi sbarcò a Palos, la città intiera accorse a ricevere lo scopritore del nuovo mondo. Trasecolavano tutti nel mirare le produzioni e gli animali da lui recati; ma ancora di più alla vista di quelle strane figure d’uomini presi a Cuba e a San Domingo. Intanto Colombo, quasi trasportato dalla folla, tra gli evviva del popolo e il suono delle campane si avvia al tempio per ringraziare il Signore. Da Palos si trasferisce per terra a Barcellona. Tanta gente si affrettava sul cammino per vedere sì raro uomo, che tutto il viaggio fu per Colombo una via trionfale. Alla metà di aprile entrò in Barcellona, ove il re e la regina lo ricevettero con pompa solennissima. L’udienza fu pubblica, si eresse un trono fuori del palazzo, ed ivi i sovrani accolsero l’ardito navigatore.

Ognuno aveva fissi gli occhi in Colombo. Il re e la regina, fattolo sedere, lo invitarono a narrare il viaggio e la grande scoperta. Colombo si fece allora ad esporre in semplici parole le sue avventure, e queste parevano miracoli al circostanti. Tale fu l’ammirazione eccitata da quel racconto di onorate fatiche, che i grandi della corte lo trattarono come persona principesca. Il re di Spagna fu generoso di molti regali a Cristoforo ed alla sua famiglia; i dotti non trovavano lodi bastevoli al suo merito il più degli Spagnuoli lo chiamavano Mago; e i popoli d’Europa stupiti pronunziavano con entusiasmo il nome del sapiente e coraggioso italiano.




III.
Altri viaggi di Colombo in America (125).

(Dall’anno 1492 all’anno 1505).


Le azioni di Cristoforo Colombo mi paiono tanto importanti che io stimo bene di raccontarvi altri suoi viaggi in America. Quattro volte Colombo riprese il pericoloso viaggio per quei lontani paesi.

Dopo tante traversie un uomo volgare avrebbe desiderato di godere in pace degli onori e delle ricchezze acquistate. Ciò non fece Colombo: nemico d’ogni ozio e avido sempre di gloriose azioni, invece di pregare il re che gli conferisse cariche e principati in Ispagna, lo supplicò a somministrargli diciassette navi, a fine di poter correre sui mari verso regioni tuttavia sconosciute agli Europei; e fu esaudito.

Non c’è fatica o pericolo, che valga ad intimidire chi è avid<\ dell’onore e della gloria. Colombo va errando ancora fra quei mari in traccia di nuove terre: scogli, tempeste, fulmini, piogge, carestie, non lo smuovono dal suo proposito. Ma l’uomo vale quanto un uomo, e tanti disagi lo fecero cadere in grave e pericolosa malattia.

Mentre giace infermo scoppiano alterchi fra gli Spagnuoli e fra i selvaggi. Ed ecco in conseguenza di quei contrasti si raccolgono all’improvviso centomila selvaggi, i quali minacciano di avviluppare e di uccidere tutte le genti di Colombo. Ma questo grand’uomo, sebbene sfinito di forze, non s’impaurisce. Giudicando inevitabile una battaglia, fa la rassegna dei proprii soldati, che sommavano a dugentoventi.

Dugentoventi uomini contro cento mila! - Nondimeno coll’ordine, colla disciplina, colla scienza di Colombo quei soldati assaltano di notte i nemici, e colle armi da fuoco e col coraggio mettono presto in fuga quello sciame di selvaggi. Dopo questa gloriosa vittoria, Colombo giudicò bene di ritornare nella Spagna. Fu dopo questo secondo ritorno che egli confuse alcuni de’ suoi nemici con una ingegnosa risposta divenuta celebre. Gli contendevano essi il merito delle sue scoperte dicendo, che nulla era di più facile mediante un poco di audacia e molta fortuna. Egli allora propose loro di far stare un uovo dritto sulla punta. Al che niuno avendo potuto riuscire, Colombo ruppe la punta dell’uovo, e sì lo fece stare. «Che bel mezzo!» esclamarono gli altri. «Senza dubbio, egli replicò, il mezzo è semplice; ma niuno di voi si avvisò di usarlo; ed appunto così io operai la scoperta di un nuovo mondo». La sua presenza e le sue parole avendogli fatta riacquistare tutta la confidenza del re, partì per un terzo viaggio; e in questo scoprì quel vasto continente, della cui scoperta gli fu rapito l’onore da Amerigo Vespucci, il quale gl’impose il suo nome.

Intanto essendo Colombo ritornato in America, molte accuse si addensarono sul suo capo; ed il re e la regina prestando troppo facile orecchio ai calunniatori di lui, spedirono a San Domingo Francesco Bobadilla, perché esaminasse e sentenziasse l’imputato. Questo infame Bobadilla, che voleva comandare egli e voleva per sé tutto l’oro di quei paesi, appena messo piede nell’isola, s’impadronisce a forza della casa di Colombo; lo fa incatenare e lo condanna a morte. Non osando peraltro eseguire l’iniquissima sentenza, allestisce un vascello, per ispedire in Ispagna Colombo con due suoi fratelli. Colombo soffre, tace, ubbidisce, non si sgomenta. Egli era puro d’ogni delitto.

Quando Alfonso da Vallejo, capitano della nave destinata a recare i tre fratelli genovesi in Ispagna, ricevette a bordo Colombo, tutto compreso di rispetto per l’illustre prigioniero, voleva fargli spezzare le catene che trascinava. «No, disse Colombo, chi sa comandare in un giorno, sa obbedire in un altro». Virtuoso esempio d’ubbidienza all’autorità pubblica.

Compiuto in sì misero stato quel lungo viaggio, appena Colombo giunse in Ispagna, il re comandò che gli fossero tolti i ferri e gli dessero danari e vesti, Affinché comparisse alla corte a sgravarsi delle imputazioni. Colombo venne di fatto al cospetto del sovrano di Spagna, e parlò eloquentemente in sua difesa, perché era uomo istruito e sapeva far valere la sua ragione. Persuasi il re e la regina della sua innocenza, rovesciarono su Bobadilla la colpa del maltrattamenti usatigli. Ciò divulgatosi, il popolo accompagnò Colombo a casa a furia di evviva!

Tuttavia Colombo passò due anni trascurato dalla corte, dimandando invano di essere investito della dignità di viceré delle terre scoperte, come era stato pattuito. Intanto Amerigo Vespucci, viaggiatore fiorentino, saputo che Colombo aveva scoperto il nuovo mondo, concepì il desiderio di ottenere gloria uguale. Il re di Spagna gli diede quattro vascelli, e nel 1497 partì di Spagna. Camminando sulle tracce di Colombo s’inoltrò in America e giunse a scoprire nuovi paesi. Dal nome di Amerigo venne allora dato a quella parte del mondo il nome di America.

Colombo intraprese ancora un quarto viaggio per l’America, in cui dovette patire assai per mare e per terra. In una burrasca essendo stato gettato sulle rive di un’isola selvaggia, egli ed i suoi andarono soggetti a molte privazioni. I cibi erano consumati, e quegli isolani essendo stati poco prima maltrattati dagli Spagnuoli, erano risoluti di lasciarli morir di fame. Un lepido incidente liberò Colombo ed i suoi compagni dalla morte. Egli era istruito nell’astronomia, vale a dire conosceva il moto ed il corso degli astri e la relazione che essi hanno colla terra. Dovendo in quel tempo succedere un eclissi del sole, predisse che fra breve sarebbe avvenuto un terribile oscuramento. Que’ selvaggi da prima non diedero ascolto alla predizione; ma quando videro che il sole cominciava proprio ad ottenebrarsi, tanto s’impaurirono, che corsero a Colombo, gettandosegli ai piedi, e lodando la sua grande sapienza, si facevano premura di recargli quanto occorreva per lui e pei suoi compagni.

Ma nuovi guai sorsero ad interrompere le imprese di quel grande uomo; sicché egli, vittima dell’invidia e delle maldicenze di alcuni Spagnuoli, stimò bene di ritornare in Ispagna.

Finalmente l’anno 1505 morì nei disgusti e nella povertà. Terribile esempio, che ci deve ammaestrare di non far conto delle umane grandezze. Morì povero colui, che aveva scoperto il Nuovo Mondo, donde provenne all’Europa oro immenso! Ciò che renderà sempre glorioso il nome di Cristoforo Colombo, si è la sua religione, la sua carità, e la sua scoperta dell’America.




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