135
Anche l’imperatore Leone I prevede delle sanzioni nei confronti dei
funzionari che disattendono l’obbligo di perseguire i lenoni e di concedere
la libertà alle schiave; ma se Teodosio II puniva l’inadempienza del solo
prefetto del pretorio con una multa di venti libbre d’oro, Leone aggiunge
alla multa una pena corporale e aumenta la sfera dei destinatari del
provvedimento, ivi comprendendo tutti i magistrati coinvolti nella
procedura. Anche da questa previsione si deduce che il reato di lenocinio
dovesse suscitare all’epoca un biasimo crescente.
Partendo da queste premesse si giunge così agli interventi repressivi
ad opera di Giustiniano, che – come si è visto – torna ripetutamente sulla
materia: ciò dimostra che le leggi degli imperatori precedenti, nonostante
il tono solenne e la severità delle pene, non erano riuscite a debellare un
fenomeno così diffuso in una società in cui pure era sempre più forte la
presenza della Chiesa.
4. Il divieto di castrazione: Nov. 142 del 558
La pratica dell’evirazione degli schiavi, pur essendo sconosciuta ai
romani nei tempi più antichi, iniziò a diffondersi già prima dell’inizio
dell’età imperiale, per divenire sempre più frequente a causa
dell’influenza dei costumi orientali.
Gli eunuchi, assegnati al ruolo di servitori e protettori dei ginecei,
erano considerati merce pregiata e raggiungevano sul mercato prezzi
elevatissimi, di molto superiori a quelli di un comune schiavo: averne al
proprio servizio era simbolo di prestigio anche per la loro rarità, dato che
molti tra i servi sottoposti all’operazione in giovane età non
sopravvivevano ad essa. Data la forte richiesta, il commercio degli eunuchi
non subì interruzione neppure quando le leggi romane proibirono
l’evirazione, in quanto essi continuarono ad essere importati dalle regioni
barbare.
136
È opera di Domiziano il primo intervento imperiale contro la
castrazione: prima di lui infatti il diritto romano non prevedeva sanzioni
verso chi esercitava tale pratica. Nelle fonti letterarie rimane traccia del
provvedimento con cui l’imperatore vietò questa operazione (pur senza
impedire le importazioni di eunuchi dall’estero) e calmierò i prezzi degli
schiavi evirati che si trovavano ancora presso i mercanti (
34
).
Passando alle fonti giusprudenziali, non si può prescindere dal citare
i cinque passi riportati nel Digesto a proposito di castrazione (
35
): da tali
norme si evince che costituisce reato l’evirazione praticata a fini di libidine
o di lucro, che agli autori materiali è inflitta la pena di morte se sono di
stato servile, la deportazione se si tratta di liberi (D. 48, 8, 3, 4 che
richiama, per quanto rigurda le sanzioni, la lex Cornelia de sicariis et
veneficis; D. 48, 8, 4, 2) mentre chi ha fornito il servo subisce la confisca
dello schiavo stesso nonché di metà del patrimonio e dell’edificio in cui si
(
34
) Lo riferisce tra gli altri S
UETONIUS
, De vita Caesarum, Domit. 7: … castrari mares vetuit;
spadonum qui residui apud mangones erant, pretia moderatus est. Si veda B
IONDI
, Il diritto
romano cristiano,
III,
cit., p.
446.
(
35
) D. 48, 8, 3, 4 (Marcian. 14 inst.): Item is, cuius familia sciente eo apiscendae reciperandae
possessionis causa arma sumpserit: item qui auctor seditionis fuerit: et qui naufragium
suppresserit: et qui falsa indicia confessus fuerit confitendave curaverit, quo quis innocens
circumveniretur: et qui hominem libidinis vel promercii causa castraverit, ex senatus consulto
poena legis corneliae punitur.
D. 48, 8, 4, 2 (Ulp. 7 de off. procons.): Idem divus Hadrianus rescripsit: “Constitutum quidem est,
ne spadones fierent, eos autem, qui hoc crimine arguerentur, Corneliae legis poena teneri
eorumque bona merito fisco meo vindicari debere, sed et in servos, qui spadones fecerint, ultimo
supplicio animadvertendum esse: et qui hoc crimine tenentur, si non adfuerint, de absentibus
quoque, tamquam lege Cornelia teneantur, pronuntiandum esse. plane si ipsi, qui hanc iniuriam
passi sunt, proclamaverint, audire eos praeses provinciae debet, qui virilitatem amiserunt: nemo
enim liberum servumve invitum sinentemve castrare debet, neve quis se sponte castrandum
praebere debet. at si quis adversus edictum meum fecerit, medico quidem, qui exciderit, capitale
erit, item ipsi qui se sponte excidendum praebuit”.
D. 48, 8, 5 (Paul. 2 de off. procons.): Hi quoque, qui thlibias faciunt, ex constitutione divi hadriani
ad ninnium hastam in eadem causa sunt, qua hi qui castrant.
D. 48, 8, 6 (Ven. 1 de off. procons.): Is, qui servum castrandum tradiderit, pro parte dimidia
bonorum multatur ex senatus consulto, quod neratio prisco et annio vero consulibus factum est.
D. 48, 8, 11, pr. (Mod. 6 reg.): Circumcidere iudaeis filios suos tantum rescripto divi pii
permittitur: in non eiusdem religionis qui hoc fecerit, castrantis poena irrogatur.
137
è svolto il crimine (D. 48, 8, 6); sono infine sottoposti alla pena capitale il
medico che abbia praticato l’operazione e lo schiavo che si sia rivolto a lui
di propria volontà (D. 48, 8, 4, 2).
Successivamente,
la
materia
viene
di
nuovo
affrontata
dell’imperatore Costantino, che si pronuncia con CI. 4, 42, 1 (
36
); poiché gli
evirati rappresentano un esempio di mollezza e impudicizia, questa
pratica, nel quadro di un’auspicata restaurazione degli antichi costumi
romani, deve essere perseguita severamente. Leggendo il testo della
costituzione si può osservare che essa disciplina unicamente la castrazione
di schiavi e non anche di uomini liberi: infatti tra le sanzioni è prevista la
confisca del servo sottoposto a mutilazione. Nel comminare la pena di
morte al solo esecutore materiale del reato e nel punire il mandante,
proprietario dello schiavo, con la perdita di quest’ultimo, Costantino si
uniforma alla disciplina previgente, che differenziava le due posizioni.
Un elemento di novità è piuttosto il riferimento alla confisca del
servo: si tratta di un aspetto secondario che pure riveste grande
importanza per comprendere quale sorte sia riservata all’eunuco, in
un’ottica di protezione dello schiavo nei confronti del padrone.
Come vedremo al termine di questa breve sintesi della disciplina del
reato, sarà Giustiniano a uniformare il trattamento degli esecutori
materiali e dei mandanti, comminando a tutti coloro che hanno preso
parte alla castrazione la pena di morte.
Tra gli anni 457-465, circa un secolo dopo la legge di Costantino,
viene emanata dall’imperatore Leone I una costituzione che disciplina il
commercio degli schiavi castrati: anch’essa è conservata all’interno del
Codex repetitae praelectionis, sotto il titolo De eunuchis (
37
). La legge proibisce
(
36
) CI. 4, 42, 1: Imp. Constantinus A. Ursino duci Mesopotamiae. Si quis post hanc
sanctionem in orbe romano eunuchos fecerit, capite puniatur: mancipio tali nec non etiam loco, ubi
hoc commissum fuerit domino sciente et dissimulante, confiscando. D. VI k. Mart.
(
37
) CI. 4, 42, 2: Imp. Leo A. Viviano pp. Romanae gentis homines sive in barbaro sive in
romano solo eunuchos factos nullatenus quolibet modo ad dominium cuiusdam transferri iubemus:
poena gravissima statuenda adversus eos, qui hoc perpetrare ausi fuerint, tabellione videlicet, qui
huiusmodi emptionis sive cuiuslibet alterius alienationis instrumenta conscripserit, et eo, qui
octavam vel aliquod vectigalis causa pro his susceperit, eidem poenae subiciendo. 1 Barbarae autem
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