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Nella prefazione si sottolinea, in primo luogo, che solo all'imperatore, in
quanto titolare del potere legislativo, è riservata la funzione interpretativa.
Si tratta forse dell'unico caso in cui un’enunciazione di portata così ampia
viene collocata nel contesto di uno specifico intervento, resosi
indispensabile per fugare le interpretazioni date dal mondo della pratica a
CI. 9, 13, 1 in tema di ratto, costituzione che, prestandosi a una lettura
alquanto elastica, era spesso intesa nel modo più favorevole al reo.
L'interpretazione della norma, che in età classica veniva effettuata dai
giuristi, diventa così prerogativa dell'imperatore e poiché ogni intervento
imperiale assume ormai forza di legge, si può a buon diritto parlare di
quella particolare tipologia d’interpretazione che è l’interpretazione
autentica. Essa è caratterizzata, com'è noto, da alcuni elementi tipici:
l'incertezza sul significato della disposizione legislativa, l'identità tra
l'autore della legge e quello dell'interpretazione, l'efficacia retroattiva
dell'interpretazione stessa. Occorre tuttavia distinguere tra i casi in cui la
cancelleria imperiale, interpretando la norma, provoca un vero e proprio
mutamento nel diritto vigente e i casi in cui si limita a chiarire il significato
della norma stessa, senza però che il suo intervento abbia una reale portata
innovativa (
22
).
Dopo questa premessa sulle prerogative del legislatore, si ripercorrono i
passaggi principali di CI. 9, 13, 1 ponendo l'accento sulla disposizione
secondo cui il patrimonio dei raptores e dei participes spetta alla rapita, ma
a quest’ultima non è consentito nel modo più assoluto sposare il proprio
rapitore. A questo punto la cancelleria rileva che nella prassi la norma è
(
22
) Sul principio secondo cui la funzione legislativa e quella interpretativa spettano solo
all’imperatore – principio ispirato all’esigenza di certezza del diritto e richiamato in CI. 1,
14, 12 del 529, nella cost. Tanta del 533, in Nov. 113 del 541 e infine in Nov. 143 qui
esaminata – si vedano A. B
URDESE
, Note sull’interpretazione in diritto romano, in BIDR, XCI,
1988, pp. 205-207;
F.
G
ALLO
, La codificazione giustinianea, in Index, XIV, 1986, pp. 33-46;
I
D
.,
Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano, edizione
completata con la parte relativa alla fase della codificazione, Torino 1993, pp. 161 ss., secondo
cui “nel sistema giustinianeo appare perfezionata e rinsaldata la base teorica del principio
fondamentale secondo cui il potere di creare diritto spetta esclusivamente
all’imperatore”; U. V
INCENTI
,
Il valore dei precedenti giudiziali nella compilazione
giustinianea
2
,
Padova
1995,
pp. 49-50.
26
stata interpretata nel senso che la rapita, unitasi in matrimonio con il
rapitore, avrebbe nonostante ciò il diritto di acquisire i beni di questo, o a
titolo di “praemium legis” o – eventualmente – in forza del testamento. Tale
interpretazione tuttavia è in contrasto con la logica di CI. 9, 13, 1 che, così
applicata, perderebbe senso in quanto la disponibilità della donna a
sposare il rapitore contra ius dovrebbe comportare l’inflizione di una pena
e non certo la concessione di un beneficio. Urge quindi una nuova
pronuncia imperiale che sciolga ogni dubbio, fornendo una corretta
interpretazione del significato della legge.
Nov. 143 De raptis mulieribus et quae raptoribus nubunt
Idem Aug. Areobindo
.
. Legis interpretationem
culmini tantum principali competere nemini venit in dubium, cum
promulgandae quoque legis auctoritatem fortunae sibi vindicat eminentia.
Meminimus itaque pro raptu mulierum, sive iam desponsatae fuerint vel
maritis coniunctae sive non vel etiam si viduae sint, legem ante posuisse, et
capitis subiecisse supplicio non tantum raptores, verum comites etiam
eorum nec non alios qui eis auxilium tempore invasionis contulisse
noscuntur, et non tantum parentibus mulierum, verum consanguineis etiam
et tutoribus et curatoribus in huiusmodi dedisse per eandem legem
vindictam, et praesertim poenis locum dedisse, si iam nuptae vel desponsatae
mulieres rapiantur, cum non solum raptus mulieris, verum adulterium
etiam per huiusmodi temeritatem committitur. Et super alias poenas raptoris
etiam nec non aliorum qui cum eo fuerint patrimonium raptae mulieri
vindicari per eandem legem praecepimus, ut dotis etiam marito dandae
legitimo copia per raptoris ei ministraretur substantiam. Illo quoque
specialiter adiecto, ut nulla sit mulieri vel virgini raptae licentia raptoris
eligere matrimonium, sed cui parentes voluerint excepto raptore legitimo
matrimonio copulari, nullo modo nullo tempore licentia muliebri raptae
permissa raptoris se coniungere matrimonio: sed parentes etiam, si tali
consenserint matrimonio, deportari praecepimus. Sed mirati sumus, quod
conati sunt aliqui dicere raptam mulierem sive volentem sive nolentem, etsi
raptoris amplexa sit matrimonium contra nostrae constitutionis tenorem,
debere tamen raptoris eam habere substantiam vel quasi legis praemium vel
ex testamento forte, si hoc etiam factum esse contigerit. Qui enim dicere
praesumpserunt, praedictae legis seriem intellegere non potuerunt. Qui
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