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virginibus et viduis locum habere sancimus. D. XV k. Dec.
Constantinopoli dn. Iustiniano pp. A. III cons. [a. 533].
La costituzione modifica innanzitutto la nozione stessa di ratto, che
precedentemente contemplava un numero di fattispecie assai limitato. A
partire da Giustiniano, sotto il nome di ratto viene ricompresa ogni
sottrazione, consensuale o violenta, di vergini onorate, donne nubili
ingenue, già fidanzate o no, vedove, anche se libertine o serve altrui,
vergini e vedove dedicate a Dio, donne coniugate (
11
). Sembra quindi che
non integri reato solo il rapimento di schiave o liberte che non siano
vedove e non si possano qualificare come honestae. Se ne deduce che la
costituzione ha come oggetto, principalmente, il ratto a fine di matrimonio
ma contempla anche l’eventuale fine di libidine in quanto rientra nella
fattispecie la deduzione di donne sposate nonché di schiave, a cui le nozze
sono precluse (CI. 9, 13, 1, pr.).
Sempre al fine di descrivere la figura del ratto così come concepita dal
regime introdotto da Giustiniano, va evidenziato che, affinché si possa
parlare di questo reato, è sufficiente l’atto consumativo in sé,
indipendentemente dall’eventuale consenso prestato dalla vittima: solo
nel caso di ratto della propria fidanzata pare richiesto l’elemento della vis
(CI. 9, 13, 1, 1b).
Invece, per quanto riguarda il rapimento al fine di congiunzione
sessuale con una donna sposata, il paragrafo CI. 9, 13, 1, 1a afferma che
l’autore è tenuto “tam adulterii quam rapinae” e che la pena contro di lui
deve essere calibrata su quella del crimen adulterii: si parla esplicitamente
di duplex crimen, tratteggiando quindi l’ipotesi di un concorso formale di
(
11
) Sottolinea questo punto J. B
EAUCAMP
, Le statut de la femme à Byzance (4
e
-7
e
siècle), I, Le
droit imperial, Paris 1990, pp. 107-121 secondo cui il fondamento della legislazione
postclassica e giustinianea è la tutela dell’etica sessuale, e a tal scopo ogni donna,
appartenente a qualunque status sociale e condizione all’interno della famiglia, va
protetta nella sfera della sua moralità.
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reati, secondo una moderna terminologia che pure è legittimata dagli
studiosi del diritto romano (
12
).
La repressione del crimine è estrememente severa. Il rapitore e i
complici che hanno preso parte alla consumazione del delitto, se sorpresi
in flagrante reato, possono venire uccisi impunemente da genitori, parenti,
tutori, curatori, patroni e padroni della rapita: si tratta di una vera e
propria ipotesi di giustizia privata, ammessa dal legislatore a scopo
deterrente, “ne igitur sine vindicta talis crescat insania”. Questa disposizione
appare particolarmente significativa in quanto viene a porsi come
un’eccezione all’esclusività della giurisdizione statuale, giustificata per via
dell’estrema gravità del fatto criminoso (CI. 9, 13, 1, 1) (
13
).
Nel caso in cui il colpevole riesca a fuggire, si esortano i funzionari di
ogni ordine e grado a rintracciarlo affinché sia sottoposto a regolare
processo. Sono dunque previsti due mezzi di persecuzione del crimine: in
ipotesi di flagranza è esercitabile la vindicta privata; nell’evenienza di fuga
del colpevole o di protezione assicurata da una persona potente ha luogo
la giurisdizione statuale.
Il processo si svolge presso il foro nella cui giurisdizione è avvenuta la
cattura del colpevole (non si applica quindi la regola della prescriptio fori) e
si conclude con una sentenza inappellabile. Il divieto di appello,
subordinato alla sicurezza e alla legittimità delle prove raggiunte, è
previsto allo scopo di arrivare alla definizione del procedimento il più
celermente possibile (CI. 9, 13, 1, 1c-1d) (
14
).
(
12
) Si veda F. B
OTTA
, “Per vim inferre”. Studi su stuprum violento e raptus nel diritto romano e
bizantino, Cagliari 2004, pp. 126-176.
(
13
) Nonostante si sia ormai pienamente affermato il principio secondo cui la repressione
penale è prerogativa esclusiva dello Stato, in questa circostanza l’imperatore introduce, in
via del tutto eccezionale, la possibilità che i soggetti lesi si facciano giustizia da sè.
Secondo B
ONINI
, Ricerche di diritto giustinianeo, cit., p. 173, nota 16 la difesa privata è tanto
più giustificabile nel caso di ratto di donna sposata, in quanto ricorrono anche gli estremi
del reato di adulterio.
(
14
) L’imperatore ripristina il divieto di appellare la sentenza di condanna che, già
previsto da Costantino, sembrerebbe abrogato in età successiva con due costituzioni
conservate nel Codice Teodosiano: CTh. 11, 30, 20 del 347 che ammette l’appello nei
processi in cui sia in gioco la vita dell’imputato e CTh. 11, 30, 57 del 398 che sembra
20
Sempre sotto il profilo processuale, risulta abrogata la prescrizione
quinquennale dell’accusa introdotta da Valentiniano I nel 374 (CTh. 9, 24,
3) in quanto il delitto torna ad essere perseguibile in perpetuo.
La forte volontà di reprimere efficacemente il reato in questione trova
quindi riscontro non soltanto nella severità delle pene – che saranno
esaminate di seguito – ma anche nelle suddette regole processuali di
imprescrittibilità dell’azione, inappellabilità della sentenza di condanna,
inefficacia della regola della praescriptio fori e infine nell’ampia ammissione
della difesa privata, a cui sono legittimati i parentes, i consanguinei, i tutores,
i curatores, i patroni e i domini delle rapite che abbiano sorpreso il rapitore
in flagranza.
Per quanto riguarda le sanzioni, il rapitore viene condannato alla pena
capitale. La previsione costantiniana di una pena esacerbata non si ritrova
nella disciplina giustinianea: anche se non è espressamente menzionato, il
fatto che ai complici di stato servile sia comminata la pena della
vivicombustione lascia supporre che a rapitore e complici di condizione
libera spetti invece la pena di morte non esacerbata. A parte la variazione
prodotta dallo status libertatis, la misura della pena non muta né in base
alla posizione sociale (condicio, gradus, dignitas) né in base al sesso: vir e
mulier subiscono infatti la medesima sanzione (
15
).
Alla pena di morte si aggiunge la sanzione pecuniaria: se la vittima è
un’ingenua (
16
) il rapitore e i complici subiscono infatti la confisca dei beni,
che saranno devoluti alla donna stessa e costituiranno la sua dote, nel caso
la rapita sia ancora nubile e intenda prendere marito (CI. 9, 13, 1, 1f-1g).
prevedere la possibilità di appellare la sentenza in ogni caso. Quest’ultima disposizione è
accolta nel Codice di Giustiniano ma, con riferimento al ratto, su di essa prevale la lex
specialis CI. 9, 13, 1, 1d.
(
15
) Sull’argomento si veda, nello specifico, P
ULIATTI
, La dicotomia vir-mulier e la disciplina
del ratto nelle fonti legislative tardo imperiali, cit., pp. 471-529. Il fatto che tra i correi non si
effettuino distinzioni di sesso e grado, a parte il caso dei complici di condizione servile
verso cui si applica la variazione in peius, conferma l’orientamento postclassico e
giustinianeo tendente alla pena fissa e all’uguaglianza formale della legge. Si veda F. M.
DE
R
OBERTIS
, La variazione della pena nel diritto romano, Bari 1954, pp. 104 ss.
(
16
) L’amissio bonorum che grava sul rapitore e sui complici non viene comminata nel caso
in cui soggetto passivo del reato sia un’ancilla o una libertina (CI. 9, 13, 1, 1e).
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