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In nessun caso però la donna può acconsentire alle nozze riparatrici:
nell’eventualità di celebrazione di illicitae nuptiae il matrimonio è
considerato nullo. Il ratto costituisce dunque impedimento matrimoniale:
la donna rapita non può sposarsi con il suo rapitore ma solo con un altro
uomo, facendone richiesta ai genitori nel rispetto delle regole previste per
il iustum matrimonium secundum nostras leges et antiquam consuetudinem (CI.
9, 13, 1, 2).
La legge è inoltre particolarmente significativa perché disciplina il
concorso di persone nel reato (
17
): il legislatore stabilisce che la pena di
morte e la confisca del patrimonio da comminarsi al rapitore (quest’ultima
prevista solo nel caso in cui la rapita sia un’ingenua) debbano trovare
applicazione anche nei confronti di coloro che abbiano in qualche modo
agevolato la commissione del delitto, i cosiddetti correi (CI. 9, 13, 1, 3-3a).
Vengono a questo proposito indicate varie figure di concorrenti a seconda
che si tratti di persone che, pur non avendo preso parte all’atto
consumativo, abbiano partecipato alla fase ideativa del reato (conscii) o,
altrimenti, siano state pagate per eseguirlo materialmente (ministri)
oppure abbiano dato ricovero al rapitore accettando di tenere nascosta la
rapita (eos susceperint) o, infine, abbiano in qualche altro modo prestato la
loro opera di favoreggiamento (cioè coloro che quamcumque opem eis
intulerint). Tutti questi soggetti, che hanno dato un aiuto solo indiretto al
(
17
) C. G
IOFFREDI
, I principi del diritto penale romano, Torino 1970, pp. 111-127 si sofferma
sul tema della compartecipazione al reato in una prospettiva storica: l’Autore sostiene che
il principio della diversa partecipazione al fatto criminoso e – di conseguenza – della
diversa responsabilità e punibilità si deduce solo in via indiretta dalle fonti giuridiche
romane. Di certo esiste una terminologia che distingue l’autore principale (definito ad
esempio princeps delicti o principalis reus) dai correi, che a loro volta si differenziano in
auctores o instigatores, conscii, ministri (coloro che, per via della loro posizione subordinata,
abbiano compiuto materialmente il misfatto), socii, participes, adiutores ecc., a seconda che
si tratti di concorso materiale o morale: l’espressione ope consilio indica tutti e due gli
aspetti poiché ops è l’appoggio materiale mentre consilium è l’aiuto morale; per quanto
riguarda il regime della pena, secondo Gioffredi, se in generale si propende per l’uguale
punibilità dei colpevoli, in ipotesi di reati complessi o di nuova configurazione si prevede
una pena graduata in base alla gravità della partecipazione al reato.
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rapitore, sono puniti con la poena tantummodo capitalis, ovvero,
probabilmente, con la pena di morte senza confisca dei beni (
18
).
I parentes della donna rapita che non hanno fatto perseguire il rapitore
sono condannati alla deportazione: la legge infatti non individua nei
genitori le vittime del reato, piuttosto ravvede un interesse pubblico alla
repressione di tale crimine; lo testimonia il fatto che non è concessa
nessuna possibilità di composizione tra rapitore e famiglia della rapita,
come invece era previsto in passato (CI. 9, 13, 1, 3c).
Un ulteriore motivo di interesse suscitato da questa costituzione è
costituito dal fatto che Giustiniano modifica il trattamento della donna
rapita: costei, se in precedenza era punita con la morte nel caso avesse
seguito di sua volontà il colpevole, o era privata della successione dei
parentes per non aver opposto sufficiente resistenza, ora viene risparmiata
da ogni sanzione: ciò in quanto – si rileva – la donna non avrebbe
commesso il crimine senza la sollicitatio e le odiosae artes dell’uomo, che
viene quindi considerato l’unico responsabile della condotta illecita. Recita
la legge: “Se infatti gli stessi rapitori per paura dell’atrocità della pena si
asterranno da un delitto di tal genere, a nessuna donna, sia consenziente
sia controvoglia, sarà lasciata occasione di peccare, perché questa stessa
volontà è indotta alla donna dalle insidie dell’uomo malvagio che medita
il rapimento” (CI. 9, 13, 1, 3b). L’imperatore considera una punizione più
che sufficiente la riprovazione sociale (dedecus, disonore) in cui la donna
vittima di rapimento è destinata a incorrere (
19
).
(
18
) U.
B
RASIELLO
, s.v. Concorso di persone nel reato (dir. rom.), in ED, VIII, 1961, pp. 561-563
afferma che si tratta di un tema estremamente complesso che non ha mai costituito
oggetto, nel diritto romano, di una teoria generale: bisogna infatti tenere conto delle
diverse forme che la partecipazione al reato può assumere, ognuna delle quali può essere
destinataria di un regime diverso; date queste premesse la Novella in oggetto riveste
grande importanza per lo spazio che dedica alla descrizione delle varie figure dei
concorrenti del rapitore.
(
19
) B
OTTA
, “Per vim inferre”. Studi su stuprum violento e raptus nel diritto romano e bizantino,
cit., pp. 126-176 parla di una “presunzione d’incolpevolezza” della donna, anche quando
essa si riveli d’accordo con il rapitore. Del resto, per configurare il reato, il consenso della
donna è irrilevante rispetto al dissenso di quei soggetti che sono visti come i reali
portatori dell’interesse leso dal raptor ovvero parentes, tutores, curatores, domini, patroni e
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