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ACQUI TERME
L’ANCORA
27 AGOSTO 2017
Acqui Terme. Anche un
concerto “wagneriano” (non
nella sostanza, ma nella for-
ma, con un recital della durata
di quasi quattro ore, che si è
concluso verso l’una e un
quarto di notte!!!) tra gli ultimi
appuntamenti dell’estate Inter-
Harmony.
A ribadire la conferma di un
dato. Che riteniamo il primo
per importanza.
Ed è questo.
La stagione musicale e i cor-
si che Misha Quint ha portato
nella nostra città son stati ca-
paci di dispensare inedito en-
tusiasmo e una energia mai vi-
sta.
E non poteva essere diver-
samente, in considerazione
della gioventù musicale, dav-
vero vocata alla musica e alla
interpretazione, che ha fatto ri-
suonare di note e di tanti tim-
bri, durante il giorno, le vie del-
la città (Piazza Duomo, Via al-
la Bollente, Via XX settembre,
e altre ancora), dando appun-
tamento poi, alla sera, a con-
certi di clamorosa qualità.
Acqui come Torino. Il turi-
smo culturale che finisce per
mettere in secondo piano le
vecchie identità (ma che ulte-
riore spinta se, da noi, le Ter-
me tornassero in auge...).
Ma torniamo all’esperienza
delle quattro ore d’ascolto: è
successo mercoledì 26 luglio
nella Chiesa (altro gioiello per
la musica) di Santo Spirito.
Per Acqui tante “prime ese-
cuzioni assolute”: dalla Fanta-
sia di Lees (1924-2010) al
Pre-
ludio amazzonico n.2 del Pi-
menta (classe 1957, un autore
contemporaneo), con entram-
bi i pezzi per piano solo; e poi
- sempre tra quelli che più ci
hanno impressionato - il Quin-
tetto violino clarinetto, corno,
cello e piano op. 42 del Fibich
(1850-1900) e il Sestetto op.
37 (stesso
organico cameristi-
co più il clarinetto) di Dohnanyi
(1877-1960).
E altre 22 (ventidue!!) pagi-
ne che, oltre a far riferimento
ai più classici Autori (Bach,
Beethoven, Brahms, Liszt)
chiamavano in causa Ginaste-
ra e Kasputin, Chausson (con
la Chanson perpetuelle), Brit-
ten e Ferrari... Senza contare,
tra gli ultimi brani, anche il pri-
mo tempo del Concerto per
violino op.35 di Tchaikovsky,
con il pianoforte a sostituire
l’orchestra.
Voci e strumenti ad alternar-
si, solisti ed ensemble; la cu-
riosità per brani mai ascoltati e
il fascino di gustare “dal vivo”
quanto si è sempre ascoltato
in CD o alla radio. Inevitabile,
più che normale e comprensi-
bile, una progressiva rarefa-
zione del pubblico, ma in tanti,
sino alla fine, han voluto fer-
marsi. Davvero soggiogati dal-
la forza dell’arte dei suoni. Di
quella disciplina musicale che
qualche ministro, qualche pe-
dagogista un giorno ci spie-
gherà perchè così poca impor-
tanza assume nel curriculum
scolastico del nostro Paese.
Ora, per noi, è necessario
svolgere i “compiti”,
in vista del 2018
E se, come sembra, quello
di InterHarmony è un “arrive-
derci al prossimo anno”, venga
l’augurio e la sollecitazione al
Comune e all’assessore Ter-
zolo affinché, sin d’ora, si met-
ta al lavoro per coordinare le
date del Festival con gli altri
eventi (banale rilevare che le
manifestazioni all’aperto “con
watt” non debbano confliggere
con i recital; c’è, poi, sempre il
problema della sovrapposizio-
ne di date; che è questione
sempre attuale: anche la sera
del 24 agosto non lascia alter-
native: o i Fortunelli in catte-
drale, o i mandolini nel chiostro
di San Francesco), per miglio-
rare, in merito a diversi dettagli
(che possono sembrare margi-
nali e non lo sono) il contesto
musicale.
E, soprattutto, per far cono-
scere fuori città (ad astigiani,
alessandrini, langhetti e ligu-
ri...) l’esistenza di una manife-
stazione che chi ama il reper-
torio classico non deve proprio
perdersi.
Il saluto, indimenticabile,
dell’orchestra sinfonica
Per chiudere le cronache In-
terHarmony non resta (glis-
sando, ed è un peccato, per
motivi di spazio, su un altro
gran concerto, quello del 27 lu-
glio, con i Maestri), per chiude-
re non resta che andare alla
sera finale e sinfonica di saba-
to 29 luglio, all’Addolorata
(Verdi e l’Ouverture da La for-
za del destino; poi Doppio
Concerto, Op.102 di Johannes
Brahms e Sinfonia, n. 9 in mi
minore, Dal nuovo mondo,
Op.95 di Antonin Dvorak).
Con i solisti, ispiratissimi,
Vadim Repin, violino, e Misha
Quint, violoncello, davvero su-
perlativi. Al pari del maestro di-
rettore Dorian Keilhack. Capa-
ce, in tempi record, di conferi-
re un amalgama ai giovani
strumentisti dell’orchestra (ol-
tre 70 elementi) che, per la pri-
ma volta, si ritrovavano insie-
me per un cimento non facile.
(E, difatti, assistendo alle pri-
me prove generali, venerdì 28,
a sera, un poco anche noi ave-
vamo svariati indizi dell’arduo
compito che bisognava assol-
vere...).
Nel giro di 24 ore (e con una
ulteriore sessione di lavoro
d’insieme del mattino del 29
che ci è stato riferito particolar-
mente lunga e faticosa: un gra-
zie al timpanista Mº Marco Oli-
vero, con altri dieci musicisti
italiani coinvolto in questo reci-
tal) una sorprendente meta-
morfosi. Capace di consegna-
re, ad una platea foltissima,
una interpretazione difficile da
dimenticare. E che aveva da
scrosci di applausi, chiamate e
ascoltatori (forse commossi?
noi un poco lo eravamo...), tut-
ti in piedi, lo sperato, giustissi-
mo suggello.
Giulio Sardi
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Dopo gli ultimi strepitosi recital di luglio
Festival Interharmony 2018: un bel progetto cui lavorare