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ANIELE
M
AGGI
1504
osservazioni astronomiche indiane non è affatto attendibile, neppure in un periodo
più tardo in cui l’astronomia si ispirò a modelli greci, tanto meno dunque nel
periodo più antico. In effetti l’inattendibilità scientifica del Jyotiṣavedāṅga è stata
più volte sottolineata, fra gli altri da Oldenberg che ha fatto notare come esso sia
costruito sulla base di un sistema determinato a priori entro il quale sono costretti
anche i dati che ci si attenderebbe provenire da osservazioni precise.
17
Un caso singolare volle che il primo articolo di Jacobi sulla possibilità di
determinare l’età della RVS in base alla precessione degli equinozi
18
fosse di poco
preceduto, in quello stesso 1893, da un libro di un dotto indiano, Bāl Gaṅgādhar
Tilak, che affrontava lo stesso argomento con analogo metodo e risultati
19
–
indipendentemente dal quale, tuttavia, Jacobi era giunto alle sue conclusioni.
20
Da
subito si scatenò sull’argomento un vero vespaio, che vide coinvolti per diversi
anni i migliori nomi dell’indianistica – e astronomi –, fra i quali non solo
Oldenberg, che s’impegnò puntigliosamente a ribattere rigo per rigo a ogni pagina
stampata da Jacobi, ma anche, per ricordarne qui in particolare un altro, Whitney.
21
È chiaro che qui non si trattava di un testo in ogni caso appartenente al rango della
letteratura tecnica, come il Jyotiṣavedāṅga, ma della RVS, di un testo sacro, anzi, del
testo più sacro dell’India, l’attribuzione al quale della capacità di documentare
osservazioni ‘scientifiche’,
22
insieme con la sua assegnazione a una altissima
antichità, produceva fatalmente una miscela esoterica:
23
la RVS come le piramidi
egiziane. Quel che veniva messo, intenzionalmente o no, in gioco era, insomma, la
natura stessa della RVS, dell’opera cioè che continuava a essere la vedette della
letteratura sanscrita e una delle vedettes delle letterature orientali in generale – la
seconda metà dell’’800 è stata l’epoca d’oro della filologia rigvedica – e che ora si
trovava a passare attraverso una temperie della sensibilità europea attratta, una
volta esaurito lo slancio positivistico, dalle sirene del simbolismo e dal richiamo
dell’“aldilà delle cose”. V’erano poi altre implicazioni, emerse alla luce in
17
Oldenberg, 1894, p. 643=657, n. 4. Il dato del Jyotiṣavedāṅga è ancora ripreso da uno studioso indiano
contemporaneo, in un contesto però di prudenza e consapevolezza e nel quadro di una posizione che
assegna comunque sia alla RVS un periodo di composizione che va dal 1770 (con un’ubicazione
geografica nell’attuale Afghanistan sudoccidentale) al 900, cfr. Kochhar, 2000, pp. 24-26, 92, cfr. 225.
18
Jacobi, 1893. Jacobi tenne sull’argomento anche una relazione al 10
o
Congresso internazionale degli
orientalisti a Genf nel 1894, non ancora a disposizione di Oldenberg al momento del suo primo articolo,
cfr. Oldenberg, 1894, p. 629=643, n. 2.
19
Tilak, 1893.
20
Così Mylius, 1965, p. 12, sulla base della Schlussbemerkung in Jacobi, 1893, p. 73=263. Prima della
pubblicazione del libro di Tilak risulta peraltro pubblicato, con la data dell’anno precedente, un
opuscoletto di 8 pagine, contenente un Summary del libro stesso (Tilak, 1892). Alcuni punti del libro di
Tilak sono poi discussi da Jacobi, 1894 [1895].
21
Whitney, 1894. Altre prese di posizione sull’argomento da parte di Whitney sono citate da Keith, 1910,
p. 466. Alcuni – non tutti – degli intervenuti nel dibattito sono ricordati da Tilak, 1971 (1903), p. V
(“Preface”); a questi si aggiunga, oltre a Oldenberg (!), Keith, anch’egli sfavorevole alla teoria, cfr. Keith,
1910, il quale poi neppure più la menziona nella rassegna in Keith, 1989 (1925), pp. 614-619
(comprendenti l’“Appendix A. The age of the Avesta and the Rigveda”).
22
Si continua a impiegare il termine nel senso occidentale e ottocentesco, tenendo conto di Staal, 1982.
23
“Una conclusione scientifica cessa di essere scientifica se è presentata come una rivelazione”
(Kochhar, 2000, p. 22, cfr. 2).
Astronomia indiana e datazione del Veda
1505
particolare attraverso la polemica di Hermann Oldenberg.
Scrive, senza batter ciglio, Jacobi:
Le combinazioni [dei dati concernenti vari sistemi di dividere l’anno in
stagioni] su esposte indicano a mio parere infallibilmente una posizione dei
coluri quale la abbiamo data [per cui il coluro dei solstizi passava per le
Uttaraphalgunī
24
e quindi
25
l’equinozio di primavera cadeva nel Mṛgaśiras
26
].
L’età vedica più tarda ha effettuato una correzione, che consiste nello
spostamento del punto di inizio [nella serie delle costellazioni] dal Mñgaçiras
alle Kṛttikâ,
27
e proprio questa circostanza presta alla sua determinazione un
significato di attualità: esso deve essere stato all’incirca giusto per il tempo della
correzione. Ora l’equinozio di primavera era nelle Kṛttikâ e il solstizio d’estate
nelle Maghâ,
28
come si può vedere dalla seguente tabella dei nakshatra
29
basata
su Whitney, Sûrya-Siddhantâ p. 211, verso il 2500 a.C. Per tener conto di un
errore di osservazione di quei primitivi astronomi, l’incertezza di questo dato
può comportare cinque secoli da entrambe le parti. Il dato del Jyotisha sulla
posizione dei coluri è molto più tardo: corrisponde al XIV o XV sec. a.C. e
testimonia di una reiterata determinazione dei medesimi. Ciò tuttavia importa
ora meno, laddove l’essenziale è che i testi vedici veri e propri contengono una
determinazione dei coluri palesemente giusta al loro tempo, quindi solo corretta
nel Jyotisha. E significativamente più antica è la posizione dei coluri resa
accessibile per il Ṛig-Veda, la quale, come mostra la nostra tavola, corrisponde a
realtà verso il 4500 a.C. In questo tempo a dire il vero difficilmente possiamo
situare il Ṛig-Veda, ma piuttosto gli inizi del periodo culturale dal quale ci sono
giunti come suo prodotto maturo, forse addirittura tardo, gli inni del Ṛig-Veda.
Questo periodo culturale si è dunque esteso all’incirca dal 4500 al 2500 a.C. e
certamente non sbaglieremo se assegniamo la raccolta di inni a noi conservata
alla seconda metà di questo periodo.
30
Con queste considerazioni, come si vede, si finisce per non allontanarsi di molto
– in relazione, s’intende, a grandezze temporali del genere – dalla datazione
24
= β e 93 del Leone, cfr. Macdonell – Keith, 1995, p. 416 (voce Nakṣatra. Le identificazioni sono date
secondo la più tarda equiparazione della serie dei nakṣatra allo Zodiaco greco, per cui per la fase vedica
devono essere intese solo in modo indicativo). Questa è la conclusione a cui Jacobi giunge per l’età della
RVS attraverso la combinazione di un dato rigvedico (dal cosiddetto inno alle rane) con un altro dato
proveniente da un testo bensì anch’esso rigvedico (il sūryasūkta) ma in realtà utilizzato secondo la
variante atharvavedica – né è questo l’unico aspetto arbitrario anche di questa parte della sua
argomentazione.
25
Le corrispondenze possono essere controllate utilizzando la tabella menzionata immediatamente sotto
e posta alla fine dell’articolo, p. 74=264.
26
= λ, φ
1
, φ
2
di Orione, cfr. Macdonell – Keith, 1995, pp. 415-416 (voce Nakṣatra).
27
= Pleiadi, cfr. ivi, p. 415 (voce Nakṣatra).
28
= “la Falce, o α, η, γ, ζ, μ, ε del Leone”, ivi, p. 416 (voce Nakṣatra).
29
“costellazioni”.
30
Jacobi, 1893, pp. 71-72=261-262. Trad. dall’orig. tedesco; sono mantenute le trascrizioni sanscrite
dell’originale.