D
ANIELE
M
AGGI
1506
bramanica tradizionale (laddove Tilak, con lo stesso termine inferiore, risaliva,
ancora più indietro, al 6000 a.C. come termine superiore).
31
Non c’è un solo passo, nel primo articolo di Jacobi, in cui egli dica
esplicitamente che il primo posto tenuto dalle Kṛttikā nella serie delle costellazioni
secondo gli elenchi vedici a partire dalle Saṃhitā postrigvediche
32
sia da
interpretarsi come l’indicazione del punto equinoziale: la cosa è data tanto per
scontata da apparire, nonostante la sua centralità nell’economia dell’intera costruzione
cronologica, un elemento addirittura secondario e trascurabile.
Il procedimento mentale per cui si faceva passare per realtà un puro e semplice
assunto fu stigmatizzato fin dall’inizio da Oldenberg, che vide rispecchiato
nell’identificazione del punto equinoziale con le Kṛttikā tutto un modo di affrontare
il problema dell’esegesi vedica rispetto al quale si trovava, risolutamente, dall’altra
parte:
L’astronomia più tarda ha notoriamente spostato il punto d’inizio [nella serie
delle costellazioni] all’Aśvinī
33
in quanto punto [dell’equinozio] di primavera: si
presentava così facilmente l’idea che l’antico punto di inizio, le Kṛttikā,
34
sia stato il
punto della primavera. Non si può tuttavia trascurare che il sistema più tardo, come
è noto da tempo, subisce l’influenza greca. Da questa dipende, o almeno da questa è
favorito l’impiego della serie dei nakṣ atra, messi alla pari con lo Zodiaco, per la
fissazione delle posizioni del sole; da questa influenza dipende anche l’osservazione
del punto della primavera (inizio dell’Aśvinī uguale inizio dell’Ariete) e la sua
promozione a punto di inizio dell’intero sistema. Per gli indiani dell’età antica,
tuttavia, i nakṣatra non avevano, come abbiamo visto,
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il significato di indicare
posizioni del sole; possiamo aggiungere che, verisimilmente, rimasero per loro
altrettanto inosservati anche gli equinozi, laddove al contrario si prestò la più viva
attenzione ai solstizi, ai punti di inizio del corso solare settentrionale e meridionale.
36
31
E perfino questa datazione impallidisce di fronte a altre ancora sostenute da dotti indiani fino a tempi
relativamente recenti (12000 a.C, pliocene, miocene), cfr. Mylius, 1965, p. 12. Tilak stesso, d’altra parte,
nel prosieguo di studi in parte condotti in carcere (dove era stato imprigionato per motivi politici e dove
gli giunse il sostegno di Max Müller, cfr. il “Preface” al libro menzionato immediatamente qui sotto)
pubblicò poi Tilak, 1971 (1903), in cui gli inizi della civiltà aria sono ricondotti al periodo interglaciale in
una patria “artica” e la RVS che possediamo, datata secondo il libro precedente, non sarebbe d’altra
parte da considerare se non una “riproduzione”, diversa nella forma ma non nella sostanza, di
tradizioni risalenti a quell’età (cfr. in partic. pp. 375-376). La teoria artica del perseguitato dal governo
inglese finiva così per ricongiungersi ‘oggettivamente’ a un filone di studi sulla patria primitiva
indoeuropea (cfr. Tilak, 1971 [1903] stesso, p. X), che sarebbe stato utilizzato per la costruzione della
teoria razziale nazista (Tilak, 1971 [1903] ebbe una 1
a
rist. nel 1925; cfr. Mees, 2004, p. 148 per gli aspetti
ideologici del filone di scritti sull’Atlantide, “scatenato” da Tilak in Germania).
32
Cfr. qui sopra nel testo.
33
= β e ζ dell’Ariete, cfr. Macdonell – Keith, 1995 (1912), p. 416 (voce Nakṣatra).
34
“antico” ma sempre non quello rigvedico, nella costruzione di Jacobi.
35
Cfr. Oldenberg, 1894, pp. 629-630=643-644.
36
Oldenberg, 1894, pp. 630-631=644-645. Trad. dall’orig. tedesco; sono mantenute le trascrizioni
sanscrite dell’originale. Sull’altra conseguenza della precessione degli equinozi, lo spostamento del polo
celeste, trattata anch’essa da Jacobi, 1893, pp. 72-73=262-263 e anzi considerata suo punto di partenza da
Mylius, 1965, p. 12, cfr. l’osservazione di Oldenberg, 1895, p. 476=669, n. 2.
Astronomia indiana e datazione del Veda
1507
Il fronte su cui Oldenberg si trova a combattere è il medesimo che lo vedeva
impegnato contro il filone interpretativo che faceva capo alle Vedische Studien di R.
Pischel e K. F. Geldner:
37
qui come altrove Oldenberg riasserisce l’arbitrarietà di
una trasposizione meccanica al
Veda di fatti propri dell’India posteriore e moderna
(che ciò si faccia nell’ottica vuoi di un’attualizzazione del Veda vuoi di una sua
dilatazione nella perennità).
38
Sarà stato anzi proprio quest’intimo aspetto
dell’argomentazione di Jacobi, al di là della credibilità o meno dei risultati
cronologici in sé e per sé, a indurre Oldenberg a una polemica che si direbbe
spietata nella sua minuziosità e pertinacia.
Un ulteriore aspetto merita di essere messo in luce. Nel corso della folta
successione di articoli dedicati da Oldenberg alla polemica con Jacobi – ben
cinque
39
–, lungi da assistere a un suo esclusivo circoscriversi intorno a questioni di
dettaglio, si può cogliere il progressivo precisarsi di un nuovo modo di affrontare
le problematiche poste dalla filologia vedica.
Di fronte a uno Jacobi che non sembra scostarsi da una concezione biologica della
storia umana – sono caratteristiche espressioni come “infanzia della cultura”
40
–,
incapace di cogliere il divario fra l’età antica, nella fattispecie vedica, e la moderna:
il moderno calendario basato sull’astronomia greca si differenzia da quello
del tempo passato solo per il fatto che si presumeva ormai di poter calcolare
precisamente in anticipo ciò che prima si doveva trovare attraverso una reale
osservazione,
41
Oldenberg fin dal primo articolo asseriva con decisione, concludendo le
considerazioni già citate:
Che dunque l’inizio della serie dei nakṣatra dipenda dalla posizione del
sole al tempo dell’equinozio di primavera è un’ipotesi che in questa forma è
assai poco verisimile per la rappresentazione vedica del mondo.
42
37
Per ciò cfr. Renou, 1928, pp. 41-54, 72. Rispetto tuttavia alle conclusioni di Renou, oggi, a 80 anni di
distanza da quest’opera, ci sembra di poter dire che la “vitalità” del magistero filologico resti ancora
grandemente dalla parte di Oldenberg, tanto più tenendo conto della sostanziale ritrattazione da parte
di Geldner delle sue posizioni precedenti nella traduzione completa della RVS, che sarebbe stata
probabilmente più evidente una volta completata la pubblicazione, molti anni dopo la morte dell’autore
([Rig-Veda], 1951-1957), che all’epoca dei Maîtres, quando era uscito solo il I vol. ([Rigveda], 1923, cfr.
Renou, 1928, pp. 55-56).
38
Sulla solidarietà fra la tendenza, in India, a datare il Veda nella nebbia dei tempi e la credenza nella
sua eternità cfr. Gonda, 1975, p. 21, n. 15.
39
Al già menzionato del 1894 (che tiene dietro a Jacobi, 1893; idem, 1894 [1895]) seguono Oldenberg,
1895, ugualmente già menzionato (c. s. a Jacobi, 1895), Oldenberg, 1896 (c. s. a Jacobi, 1896), Oldenberg,
1909 (c. s. a Jacobi, 1909), Oldenberg, 1910 (c. s. a Jacobi, 1910).
40
Jacobi, 1896, p. 83=292 (nella frase finale dell’articolo).
41
Idem, 1895, p. 222=269. Trad. dall’orig. tedesco.
42
Oldenberg, 1894, p. 631=645. Trad. dall’orig. tedesco. Sul “pericolo” dell’“appiattimento della distinzione
fra i due diversi ritmi storici, biologico e umano-sociale”, cfr. Timpanaro, 1970, p. 138 (dal IV saggio,
“Lo strutturalismo e i suoi successori”).