R
ICCARDO
M
AISANO
1542
Paolo, e precisamente nella cosiddetta “apocalisse sinottica”, dalla quale risulta che
l’accezione nuova del vocabolo ha avuto accoglienza anche in una comunità più
lontana dalla tradizione paolina, come quella di Matteo.
Segue una rassegna delle ricorrenze di parousiva nelle epistole cattoliche e nei
primi scrittori cristiani: Ignazio, Giustino, Tertulliano, nei quali si fa strada la
tendenza a distinguere la prima venuta del Cristo (mortale e senza gloria) dalla
seconda (nella gloria trionfante). “La dicotomia parusiaca”, osserva Buonaiuti (p.
30), “è poi passata trionfante nella coscienza e nella tradizione cristiana, la quale ha
parlato di un ritorno del Cristo giudice, non più della venuta del Cristo re. Le
esigenze dello sviluppo religioso hanno fatto violenza all’idioma primitivo”.
Buonaiuti rileva poi il significato che ha l’assenza del vocabolo nel greco dei
Settanta e nella letteratura apocalittica giudaico-ellenistica. Il fatto che il giudaismo
di lingua greca, chiuso all’influenza della vita pubblica e privata della circostante
società pagana, abbia ignorato il vocabolo nonostante le sue notevoli potenzialità,
mostra, per contrasto, la capacità che ebbe il cristianesimo di innestare
un’esperienza giudaica (l’apocalittica) su un’istituzione politica e un fatto sociale
del mondo imperiale greco-romano (l’adventus): un innesto di cui fu espressione
appunto l’uso religioso di un vocabolo burocratico. Mi sembra questo il contributo
più significativo di Buonaiuti al progresso degli studi sul termine in questione. Un
raffronto con le ricerche più recenti sull’argomento rivela infatti che la
documentazione oggi disponibile coincide essenzialmente con quella rinvenuta e
ordinata da Buonaiuti, e che non ci sono stati sostanziali passi avanti dal punto di
vista ermeneutico, o anche solo nell’indagine terminologica.
6
Per approntare la sua documentazione, Buonaiuti effettua una duplice
indagine. In primo luogo esamina i testi apocalittici giudaici dell’età
intertestamentaria giunti fino a noi in lingua greca: Enoch, i Salmi di Salomone, il
Libro dei Giubilei, i Testamenti dei XII Patriarchi, l’Assunzione di Mosè, Baruch, ecc.
L’escatologia che compare in questi testi, osserva Buonaiuti (p. 32), non è uniforme:
nazionalista o meno, individualistica o collettiva, politica o spirituale, animata da
un messianismo personale o prescindente da un messia mediatore e re. Ma in tutti
questi testi giudaici il termine parousiva, nota Buonaiuti, non appare mai, se non in
alcuni rari passi che a vario titolo si presentano come posteriori interpolazioni
cristiane.
La seconda fase dell’indagine lessicale effettuata da Buonaiuti ha come oggetto
le scarse testimonianze della letteratura greca pagana (i tragici, Tucidide, Polibio) e
la ricca documentazione papiracea ed epigrafica. Lo scrutinio permette all’autore
di rilevare un innegabile parallelismo fra l’uso linguistico dei primi cristiani a
proposito della parousia del Cristo e l’uso dei pagani a proposito della parousia
dell’imperatore. Prendendo le mosse da tale constatazione, Buonaiuti formula
alcune considerazioni di ordine psicologico, storico-letterario e storico-religioso per
proporre ulteriori linee di ricerca movendo dal materiale documentario passato in
6
Spicq, 1994, pp. 331-333, e Danker, 2000 (alle rispettive voci), che rappresentano tuttora i migliori
contributi in materia, si possono comparare in modo sostanziale ai procedimenti e agli esiti
buonaiutiani.
Due note di Ernesto Buonaiuti su Parousia
ed Epiphaneia
1543
rassegna. In particolare, Buonaiuti suggerisce un’indagine sulle relazioni che è
necessario stabilire tra l’uso paolino del termine parousiva e l’uso matteano di esso,
in contrasto con i testi paralleli di Marco e Luca; e un’indagine sulla ricorrenza del
vocabolo nelle epistole cattoliche come indizio di un rapporto fra queste e la
tradizione paolina. Per ultimo è proposto il quesito più importante, che Buonaiuti
lascia solo apparentemente senza risposta (p. 44):
In quale rapporto sta l’uso pagano del vocabolo e le esperienze da questo
espresse e il suo uso cristiano e le rispettive esperienze religiose? Gli storici
del primitivo pensiero cristiano sogliono contrassegnare il passaggio dal
concetto ebraico di Messia a quello etnico-filosofico di Logos come una data
miliare nella storia della nostra evoluzione religiosa. Non dovrebbe piuttosto
dirsi che il successo della più antica propaganda evangelica è passato nel suo
stadio più saliente, quando nelle comunità della Macedonia san Paolo ha
trovato in una parusia di un Redentore trionfatore della morte, l’equivalente,
la purificazione della parusia imperiale? Con questa sostituzione non si è
stabilita una vera affinità fra l’esperienze escatologiche del cristianesimo
palestinese e il cristianesimo della gentilità? Trasponendo il linguaggio
popolare pagano non si è trovato il veicolo più capace di favorire la
trasmigrazione e la diffusione di un atteggiamento escatologico di spirito
sostanzialmente identico?
Il saggio successivo, dedicato all’analisi del vocabolo ejpifavneia (“L’epifania del
Signore”, pp. 47-51 del volume citato), è assai più breve. Richiamandosi ad uno
spunto accennato nello scritto precedente, dove è menzionata un’epigrafe dell’isola
di Cos in cui ejpifavneia compare come sinonimo di parousiva, Buonaiuti rileva che la
presenza della parola nel Nuovo Testamento è circoscritta alle pastorali, dove
(specialmente in 1 Tim. 6, 14; 2 Tim. 4, 1. 8; Tit. 2, 13) reca con sé un’accezione
spiccatamente escatologica. Si registra quindi una sinonimia fra parousiva ed
ejpifavneia
ad indicare “l’avvento circostanziato di Colui che inaugurerà il regno della
giustizia”. Anche in questo caso, osserva Buonaiuti, come già per parousiva, l’uso
neotestamentario riprende non quello della letteratura pagana o giudaica
precedente, ma quello contemporaneo del linguaggio ufficiale dell’impero. Dopo un
breve excursus sull’accezione del verbo faivnw e dei suoi derivati nella primitiva
letteratura cristiana con riferimento alla manifestazione divina come soccorso e
illuminazione interiore, Buonaiuti conclude il suo contributo ancora una volta
proponendo un approfondimento della ricerca, e precisamente l’individuazione del
tempo e del modo della fissazione del vocabolo ejpifavneia a designare uno speciale
episodio della vita umana del Cristo e una speciale festa che lo commemora.
A proposito del sostantivo ejpifavneia e del suo uso nelle epistole pastorali ho
avuto modo io stesso di riprendere autonomamente uno degli spunti di Buonaiuti
in occasione di una proposta di rilettura di 2 Tim. 4, 1-8.
7
Dopo aver rilevato la sua
funzione di “segnale” compositivo che il vocabolo svolge nel brano citato, ho
7
Maisano, 2000.