Le rappresentazioni di kōdan
nel Giappone di oggi
1589
2. Oralità e scrittura nella modernizzazione
Nel passaggio all’era Meiji, il mondo degli yose continua a ricoprire un ruolo di
trasmissione della cultura storica di conoscenza comune, una sorta di kyōshitsu
(aula) alla portata di tutti.
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Collegati a questo aspetto sono i suffissi, che continuano
anche in epoca moderna a essere utilizzati per gli artisti giunti al massimo livello
della gerarchia:
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se per il kōdanshi si usa sensei, che sottolinea l’aspetto didattico,
per i
rakugoka si usa
shishō, che mette in evidenza di più quello di artista o
interprete.
Dal periodo Meiji in poi, il kōdan conosce anche il fenomeno dei sokkikōdan,
kōdan stenografati al momento della performance, dei kakikōdan, kōdan scritti,
pensati e prodotti non più per la declamazione ma per la pubblicazione, e degli
shinkōdan (
kōdan nuovi), dei testi originali prodotti per la forte richiesta dei lettori.
Le case editrici rispondono al successo e cominciano a seguire il genere sia la
Tachikawa Bunko, dal 1911, sia, qualche anno dopo, la Yūbenkai kōdansha,
l’attuale Kōdansha, che sistematizzano il repertorio dei kōdan con alcune serie che
incorniciano e consegnano alla storia personaggi come Mito Kōmon o episodi
come quelli che compongono lo Ōoka seidan (I casi del giudice Ōoka).
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Anche le
riviste letterarie includono brani di
kōdan, e nasce tra le altre, sempre nel 1911, la
Kōdan kurabu.
Nel rapporto con la scrittura bisogna comprendere anche la presenza del kōdan
nei romanzi del periodo Meiji. Nelle opere di molti scrittori moderni, infatti, si
ritrovano tracce delle loro frequentazioni agli yose, a testimonianza di come fossero
un comune luogo di intrattenimento.
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Per citare due casi famosi, il primo è quello
di Natsume Sōseki (1867-1916) che nei suoi romanzi descrive artisti e soggetti del
kōdan e del
rakugo, repertori dai quali dichiarava di essere stato molto influenzato,
sia nell’umorismo, sia nell’uso colloquiale e diretto della lingua. In particolare,
nell’opera a carattere diaristico Garasu do no uchi (Da dietro la porta a vetri, 1915),
inserisce in più paragrafi nomi di kōshakushi e di yose:
Quando ero bambino, andavo spesso a sentire i kōshaku allo yose di
Setomonochō a Nihonbashi. […] Poiché in questo teatro facevano di sera solo
spettacoli di varietà, non lo frequentavo che di giorno. A giudicare dal
numero di volte in cui mi ci recavo, era forse lo yose che più visitavo. A quel
tempo ovviamente non abitavo ancora all’estremità di Takadanobaba, ma il
fatto che il luogo del teatro fosse comodo, non mi evita oggi di meravigliarmi
di quanto tempo avessi per sentire i kōshaku.
E ancora:
In ambienti dall’atmosfera piuttosto silenziosa e malinconica, ho sentito
9
Aritake, 1973, p. 189.
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I livelli sono, cominciando dal basso: minarai o zenza, futatsume, shin’uchi.
11
Takarai, 1971, pp. 38-42.
12
Aritake, 1973, pp. 195-196.
M
ATILDE
M
ASTRANGELO
1590
diversi
kōdan dal sapore antico di tanti artisti. Tra questi ce n’era uno che
faceva un uso particolare di parole come sutotoko, nonnon, zuizui. Si chiamava
Tanabe Nanryū [II] e all’inizio faceva in qualche yose l’addetto alle scarpe
all’ingresso. I termini da lui usati erano molto conosciuti, ma nessuno ne
comprendeva il significato, e del resto per Tanabe erano semplicemente degli
aggettivi che dovevano rendere l’avanzare dei guerrieri”.
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Il secondo esempio che riportiamo è quello di Mori Ōgai (1862-1922) che dedica
uno dei suoi romanzi storici, Suzuki Tōkichirō (Suzuki Tōkichirō, 1917), a ‘ridare
dignità’ alla figura di un magistrato del periodo Edo, a suo parere descritta senza
alcun riscontro delle fonti nel kōdan Ansei mitsugumi sakazuki (Le tre coppe di sake
del periodo Ansei), del declamatore Shōrin Hakuen I (1812-1855). Quello che
emerge chiaramente è la profonda conoscenza di Ōgai degli artisti del genere, e
soprattutto quanto fosse per lui affascinate, nonché uno spunto artistico, uno
spettacolo capace di intrattenere il pubblico con la Storia.
Che persona era Suzuki Tōkichirō? Se molti conosco questo nome è
certamente grazie al
kōdan di Shōrin Hakuen
Ansei mitsugumi sakazuki.
Tuttavia è un peccato che la sua narrazione non sia basata sulla realtà corretta
poi da qualche abbellimento, ma sia costruita quasi esclusivamente su falsità.
So che il kōdan non è veritiero, e del resto di fonti attendibili per raccontare di
Tōkichirō ce ne sono poche.
E ancora:
[…] Negli ultimi anni mi sono un po’ allontanato dagli spettacoli, ma
quando ero ragazzo andavo quasi ogni sera in uno yose e quasi ogni mese a
teatro. Doveva essere proprio quel ripercorrere le tracce del passato, tipico dei
kōshakushi, a portarmi a varcare appositamente il confine di quel mondo, a
entrare in uno yose e a sentirli narrare le loro storie elaborate. Vedevo inoltre
che alla richiesta di tematiche antiche rivolta agli artisti, essi rispondevano
adeguando anche la recitazione. Il pubblico dei primi anni Meiji non solo non
trovava a ridire di tale repertorio, ma anzi lo gradiva. Coloro che oggi
leggono i quotidiani si lamentano appena si passa a parlare delle fonti,
protestano e si dimostrano intolleranti alla precisione delle notizie: è un segno
dei cambiamenti dei tempi.
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3. Oralità e scrittura oggi
Durante il secondo conflitto mondiale, come abbiamo visto, il kōdan viene
rivestito di un ruolo educativo, a sfondo nazionalista, che gli conferma la
popolarità. Ciò avvenne anche con la complicità di molti artisti che nelle loro
performance accettarono di inneggiare alla sicura vittoria del Giappone esaltando
13
Natsume, 1933, p. 100, pp. 101-102.
14
Mori, 1971, p. 240-241.