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Giuseppina Mammana
In questa condizione, si può sviare la stessa volontà libera dell’uomo: e nasce
così il male morale. L’anima, volgendosi ai beni di grado inferiore, anziché a Dio,
devia e decade. Quando al Bene supremo sostituiamo un bene inferiore a Lui – peg-
gio poi se è inferiore a noi stessi – noi pecchiamo. Il male morale è dovuto al libero
arbitrio che, scegliendo fra i beni opera male la sua scelta: anche per le azioni vale
quanto per gli esseri: le azioni sono buone quando hanno misura, forma e ordine:
quando non sono in difetto rispetto alla perfezione. Da questo deviamento provie-
ne a sua vota il male fisico, il dolore, l’inquietudine spirituale, l’ansia, gli squilibri
dell’organismo, le malattie.
Rispettare l’ordine dell’universo imposto da Dio, significa rispettare la sua
eterna legge ed operare secondo verità e amore per il bene.
Solo la grazia divina, dono sovrannaturale e imperscrutabile, salva l’uomo.
Dopo il peccato originale egli è decaduto ed ha perso la possibilità di essere partecipe
della natura divina. Solamente con la grazia è salvo, senza grazia è impotente e si perde.
La grazia è un dono gratuito di Dio. Nulla può infatti valere a meritarla, nulla
può costituire un diritto a riceverla. Ma anch’essa non può operare contro la nostra
volontà. Sussiste quindi il libero arbitrio per accettarla o rifiutarla. Il primo libero ar-
bitrio (libertà minore) quello che fu dato ad Adamo consisteva nel “poter non pecca-
re”. Perduta questa libertà per la colpa originaria che costringe l’uomo a “non poter
non peccare”, l’individuo può vincere il peccato solo mediante l’aiuto della grazia
divina, concessa in virtù dei meriti di Cristo.
Infine, l’ultima libertà che Dio darà come premio ai beati, è quella di non poter
peccare (libertà maggiore). Con questo dono divino l’uomo può liberarsi totalmente
dal peccato e dal male. È questa una possibilità fondata sulla grazia divina: «Dio
stesso è la nostra possibilità», dice Agostino (Soliloqui II, 1).
Posto che la grazia divina sia in ogni caso indispensabile per la salvezza, sor-
ge una domanda: viene concessa a tutti indistintamente o solo ad alcuni? Agostino
risponde che tutti gli uomini costituiscono una “massa di dannati” e Dio concede a
tutti la grazia sufficiente alla salvezza, pur lasciando a tutti la possibilità di perdersi.
Solo gli “eletti”, che l’Onnipotente ha predestinato
ab aeterno, si salvano.
È un mistero penetrare nell’
eterno consiglio.
Lutero, monaco agostiniano, che riteneva implacabile la giustizia di Dio, af-
fermava che solo con la fede e con la conoscenza delle Sacre Scritture, è possibile
ottenere la grazia misericordiosa della salvezza.
Calvino ha invece affermato – con la teoria della doppia predestinazione – che
Dio predestina alcuni alla salvezza ed altri alla perdizione.
Agostino appare più propenso ad affidare a Dio, più che all’uomo o alla co-
operazione uomo-Dio, l’impresa della salvezza. In realtà, insieme alla conoscenza
delle Sacre Scritture, alla certezza della presenza di Dio in noi, c’è in Agostino una
fede immensa che rappresenta il porto sicuro che acquieta l’anima, dopo l’estenuante
ricerca di dare un senso alla sua vita.
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La ricerca di sé come ricerca di Dio e dell’anima nel pensiero di S. Agostino
Alcuni critici parlano di ambiguità del suo pensiero e di contraddizioni.
Ma la lezione che ci lascia, consiste nell’incoraggiamento a cercare la nostra
identità con la ragione e con la fede; la fede ci aiuta a prendere coscienza della sacra-
lità della vita ed a sperare che dopo la morte la nostra anima possa continuare a vive-
re alla luce del creatore.
La Fede e la Ragione costituiscono come due ali per mezzo
delle quali lo spirito umano si eleva alla contemplazione della verità. Con
questo
pensiero di innegabile bellezza, che ben esprime il sentire comune della Chiesa nei
secoli, il compianto Pontefice Giovanni Paolo II iniziava una delle più importanti
encicliche del suo lungo pontificato:
Fides et Ratio.
L’Essere è eterno, ma il mondo creato dal Padre e dal Figlio è mutevole, pur
avendo in se le forme e le ragioni immutabili delle cose.
Chi può fermare – anche per un momento – il moto del tempo per contempla-
re lo splendore dell’eternità, che è sempre un continuo presente, e paragonarla con
il flusso ininterrotto del tempo? L’eternità è sempre
un presente. Il tempo non può
mai avere un presente: il passato è sospinto via dal futuro, il futuro subentra sempre
al passato, e il passato e il futuro provengono sempre e si muovono in Colui che è
l’eterno presente (Le Confessioni,
libro XI, p.459).
In realtà Dio è l’autore non solo di ciò che esiste nel tempo, ma del tempo stesso.
Prima della creazione non c’era tempo: non c’era dunque un prima e non ha
senso domandarsi che cosa facesse “allora”. L’eternità è al di sopra di ogni tempo: in
Dio nulla è passato e nulla è futuro, perché il suo essere è immutabile e l’immutabi-
lità è un presente eterno in cui nulla trapassa.
Ma che è il tempo? In realtà è nulla di permanente. Il passato è tale perché non
è più, il futuro è tale perché non è ancora e, se il presente fosse sempre presente e
non trapassasse continuamente nel passato, non sarebbe tempo ma eternità. Eppure,
nonostante questa fuggevolezza del tempo, noi continuiamo a misurarlo, parlando di
tempo lungo e di tempo breve. In realtà, il tempo è una dimensione dell’anima che
conserva la memoria del passato, ha l’attenzione al presente che passa e l’attesa del
futuro nella continuità interiore della coscienza.
Non è esatto dire che esistono tre tempi. Sarebbe meglio dire: si, sono tre, ma
sono “il presente” del passato, “il presente” del presente e “il presente” del
futuro. Questi tre tempi sono nella mia mente, non li vedo altrove: il presente
del passato è la memoria, il presente del presente è lo sguardo, il vedere , il
presente del futuro è l’attesa (Le Confessioni, libro XI, p. 471).
Partito alla ricerca della realtà oggettiva del tempo, Agostino giunge invece
a chiarirne la soggettività. Ancora una volta il ripiegarsi della coscienza su stessa
appare come il metodo risolutivo di un problema fondamentale.
Nello spirito è la misura del tempo.
Ed io ho perso tempo nello studiare il tempo, del quale non conosco affatto