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Premessa
Sono certo che gli amici trapanesi continueranno su questa linea e che ci offri-
ranno ancora altre pagine da leggere e meditare su un patrimonio che mai potrà finire
di stupirci e di appassionarci. A tutti loro il nostro grazie convinto.
Alessandro Musco
Introduzione
I lavori raccolti in questo volume sono il frutto di alcuni seminari, svoltisi
presso la sede dell’Officina di Studi Medievali di Trapani, su argomenti e tematiche
prettamente medievali e concernenti, in particolare, la storia delle idee filosofiche,
politiche e sociali. L’obiettivo, oltre alla diffusione dei saperi medievali, è quello di
gettare le basi per lo sviluppo sul territorio di una nuova ricerca sul Medioevo, libera
da dogmatismi e capace quindi di scrollarsi di dosso pregiudizi e incrostazioni che
attraverso i secoli ne hanno condizionato i risultati, poiché è innegabile che sullo
sfondo vi è sempre stata la presenza enigmatica e, allo stesso tempo, inquietante del
potere e delle sue strutturazioni storiche.
In questa eterna lotta fra l’esigenza del libero sviluppo speculativo dell’uo-
mo e quella rappresentata dalle forme culturali di istituzionalizzazione del potere,
è quest’ultima che il più delle volte si è affermata, legittimando una cultura assolu-
tistica ed esaustiva con la pretesa di cancellare ogni pensiero che non obbedisca al
rigido binario dell’ortodossia. Non dimentichiamo che molto spesso nei testi scola-
stici siamo stati soliti leggere che il Medioevo è stato un periodo buio della nostra
storia. Ma ciò non è assolutamente vero. In realtà, il Medioevo è stato un periodo
ricco di fermenti culturali e di intelligenze speculative di grosso spessore, costrette il
più delle volte a navigare “in apnea” per evitare di incappare nelle soffocanti maglie
sanguinarie dell’Inquisizione. Condizionata da un tale clima, la cultura filosofica
medievale in occidente si è trovata appiattita su un’accezione sostanzialmente cri-
stiana del pensiero filosofico, trascurando coscientemente il grande apporto della
filosofia araba e di quella ebraica, considerandole e leggendole, tutt’al più, come
forme di anticipazione dei grandi autori della Scolastica.
L’Officina di Studi Medievali guarda invece al Medioevo, come è suo costu-
me, nel senso più lato e inclusivo con proiezioni sulle sue radici nelle culture antiche
e sui suoi lasciti alle culture moderne.
Il nostro augurio è che questi contributi, nella piena libertà di pensiero, possa-
no produrre nuovi sviluppi o, quanto meno, nuove ipotesi di ricerca in una visione di
continuità tra il soggetto medievale e quello moderno.
Salvatore Girgenti
Manuela Girgenti
Filone d’ Alessandria e il giudaismo rabbinico
Premessa
L’ebraismo, dal XIII secolo a.C. sino all’avvento del cristianesimo, si è prin-
cipalmente caratterizzato come dottrina di vita, privilegiando l’approccio pratico, in
luogo di quello teoretico, verso i grandi temi della vita spirituale dell’uomo. La storia
di questo popolo è stata consegnata alle Sacre Scritture, un insieme di testi nei quali
si riteneva che Dio avesse parlato per bocca di uomini da lui prescelti. Il cuore delle
scritture per l’ebraismo è il pentateuco, una raccolta di leggi che, secondo la tradi-
zione, erano state scritte da Mosè su ispirazione di Dio e così chiamato perché con-
teneva i libri della Genesi, dell’Esodo, del levitico, dei Numeri e del Deuteronomio.
Mosè è proprio il personaggio chiave della storia del popolo ebraico. A lui Dio affidò
il compito di riportare in Palestina il popolo israelita, liberandolo dalla schiavitù in
Egitto, dove si erano trasferiti in seguito ad una carestia. La liberazione dall’Egitto
ebbe anche come conseguenza una alleanza fra Dio e il popolo di Israele, di cui
Mosè fu il mediatore. Mantenendo fede a questo patto, Jahvè, non solo avrebbe fatto
loro dono della terra promessa, ma lo avrebbe anche considerato come suo popolo
eletto. Così, stando al libro dell’esodo, sul monte Sinai Mosè ricevette da Dio il De-
calogo (i dieci comandamenti) dal cui rispetto dipendeva la solidità del patto di alle-
anza. In realtà, la penetrazione nella terra promessa da parte del popolo ebraico non
avvenne pacificamente, ma attraverso una serie di lotte con le popolazioni locali. Nel
722 a. C., poi, il regno di Israele, dopo una debole resistenza, dovette piegarsi alla
potenza assira. Momenti di grande drammaticità si registrarono, inoltre, nel 538 a.C.,
in seguito all’occupazione della Palestina da parte del re Nabucodonosor. In quella
circostanza gli ebrei, non solo subirono l’onta di vedere distrutto il loro Tempio,
ma andarono incontro a una nuova deportazione. Alla luce di queste esperienze non
pochi ebrei cominciarono a nutrire dubbi sul patto di alleanza con Dio e, in partico-
lare, sulla predilezione di Jahvè nei loro confronti. È in questo clima che attorno alla
metà dell’VIII secolo a. C. si va sempre più affermando la predicazione dei profeti,
uomini illuminati che parlavano per volere e a nome di Dio. A detta di questi ultimi,
gli avvenimenti drammatici che avevano colpito il popolo di Israele scaturivano dal
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Manuela Girgenti
fatto che quest’ultimo aveva infranto la legge, ricadendo spesso nell’antico peccato
di adorare falsi idoli e, quindi, di essersi allontanato da Dio. I profeti, in poche paro-
le, lanciarono un messaggio di conversione e, nel contempo, un invito a tornare alla
fede in Jahvè e a rimanere fedeli all’alleanza mosaica.
L’osservanza delle leggi, dunque, che, come abbiamo già detto, erano state
scritte da Mosè su ispirazione di Dio, costituiva per gli ebrei un irrinunciabile im-
perativo categorico. Un atteggiamento, quest’ultimo, che chiarisce il motivo per cui
gli ebrei, prima dell’incontro con la filosofia greca, si mostrarono poco propensi ad
occuparsi di speculazioni filosofiche, disinteressandosi a livello culturale di tutto ciò
che non riguardasse lo studio della legge. Il Deuteronomio, infatti, il primo grande
codice religioso del popolo ebraico redatto non oltre l’anno 621 a. C., accoglieva
quella che era stata la principale occupazione dell’età profetica: la volontà,cioè, di
assicurare l’ordinamento morale, mediante la giustizia e, nello stesso tempo, di ricor-
dare che il popolo di Israele è il figlio prediletto di Jahvè, Dio dell’Universo, non per
i suoi meriti, ma per un dono misericordioso dello stesso Jahvè, dovuto al suo amore
e alle promesse fatte ai patriarchi. E, in realtà, i testi sacri degli ebrei, il Talmud e la
Torah, con la varietà inesauribile del loro contenuto, sembravano appagare la loro
sete di conoscenza e le loro più immediate esigenze spirituali.
L’osservanza della legge diventava così l’unico mezzo per raggiungere la san-
tità e la salvezza. Per i farisei, infatti, una delle principali sette dell’ebraismo e dalle
cui fila provenivano i rabbini più autorevoli, «non l’intenzione decide della moralità
della vita, ma la somma delle azioni, prese come unità esteriorizzata in rapporto
alla loro corrispondenza ai precetti legali».
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Lo spirito religioso si esauriva, quindi,
in una applicazione esatta delle norme legali. Di conseguenza, la casta sacerdotale,
essendo l’unica interprete autorizzata dalla legge, venne ad assumere un ruolo di
primo piano. Trasse origine così la Midrash, una specie di giurisprudenza intorno ai
precetti della legge, che si attardava in una casistica minuta, irretendo la coscienza in
una folla di schemi e di norme.
Con questa integrazione delle norme legali – rileva il De Ruggiero – la religio-
sità giudaica viene ravvolta in una solida rete esteriore, che ne frena ogni slan-
cio; il convincimento dell’antico Israele, che il vivere moralmente equivalga
ad osservare le usanze israelitiche, viene respinto; la moralità consiste invece
nella osservanza della legge posta da Dio.
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Da tale stato di fatto ne consegue un oggettivismo formalistico e legale, che si
traduce in una esegesi minuta dei libri della legge e in un continuo sforzo per adeguare
il proprio comportamento a quella casistica intellettuale, soffocando, di conseguenza,
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G. D
e
R
uGGieRo
, La filosofia del cristianesimo, vol. I, Bari, 1941, p. 82.
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Ibid, pag. 80.
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