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Filone d’ Alessandria e il giudaismo rabbinico
mantenere viva e unita l’identità ebraica nelle comunità della diaspora.
Per
fare accettare la Mishnah all’intero popolo d’Israele
i rabbini riplasmaro-
no il significato della parola Torah, attraverso un processo esegetico che collegava
le affermazioni della
Mishnah con i versetti della Scrittura. Non a caso, le opere che
vennero
redatte dopo la Mishnah fino al 600 e.v. furono tutte intese a spiegare l’ori-
gine di questo documento fondativo, collegandolo alla Torah scritta, facendo sorgere
la necessità, all’interno del processo di interpretazione della
Mishnah, di raccogliere
e sistematizzare queste esegesi in correlazione alla stessa
Mishnah, letta riga per riga
e paragrafo per paragrafo,
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poiché «null’altro significa esegesi se non interpretare il
testo, traendone fuori il significato».
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In realtà è proprio su questo concetto che si regge l’ermeneutica del giudaismo
rabbinico, poiché, secondo la tradizione ebraica, «la parola rappresenta il luogo della
rivelazione, lo spazio in cui abita la divina presenza».
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Ciò che si vuole mettere in
evidenza è che l’ermeneutica del giudaismo rabbinico verte sulla consapevolezza
che le parole umane impiegate a spiegazione della Scrittura non possono esaurire il
contenuto del messaggio divino, se non tramite continue approssimazioni. L’unico
veicolo che il saggio possiede per avvicinarsi il più possibile al significato delle
parole rivelate è la pluralità di sensi. Questo spiega l’accusa, rivolta spesso alla let-
teratura rabbinica, di essere percorsa da interpretazioni contrastanti; un limite – se-
condo Perani – che molto probabilmente scaturisce «dalla mancanza di un’autorità
centrale, capace di vigilare sull’uniformità delle credenze religiose, simile al ruolo
svolto nella religione cristiana dalla figura del pontefice e dal fatto che nella storia
del giudaismo non sono mai avvenuti concili ecumenici per fissare il dogma e che,
di conseguenza, non si è mai sviluppata una dogmatica».
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Nel giudaismo rabbinico,
in realtà, ha sempre regnato una grande libertà di opinioni divergenti, a volte anche
contrapposte; una diversità di opinioni che in genere è stata sempre interpretata come
la conseguenza necessaria della ricchezza della parola di Dio, condizione che conno-
ta la cultura ebraica come civiltà del commento.
Ed ancora la ricerca del significato “altro”, polisemico, narrativo, lungi dal
costituire un problema particolare per gli esegeti, creando delle combinazioni di si-
gnificato eterogenee e delle posizioni antitetiche, rafforza l’essenza di una teologia
concepita essenzialmente come racconto e di una ermeneutica ricca di valori etici.
Bisogna, infatti, ricordare che, secondo la religione ebraica, Israele è stato scelto per
rivelare l’amore che Dio porta a tutta l’umanità, ragion per cui l’uomo deve proporsi
di allontanare da sé tutto ciò che contrasta col volere di Dio e, nello stesso tempo, di
39
J. n
eusneR
,
I fondamenti del giudaismo, cit., pp. 127-128.
40
B. M
aGGioni
,
Esegesi biblica in P. R
ossano
– G. R
avasi
– a. G
HiRLanDa
(a cura di),
Nuovo
dizionario di Teologia biblica, Ed. Paoline 1988, p. 497.
41
P. s
teFani
,
Lettura ebraica della Bibbia, in
Nuovo dizionario di Teologia biblica, cit., p. 816.
42
. M. P
eRani
,
Personaggi biblici nell’esegesi ebraica, Firenze 2003, p. 147.
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Manuela Girgenti
consacrarsi al suo servizio, resistendo a tutti quegli impulsi che fanno dell’egoismo
l’essenza della natura umana. In poche parole: di obbedire a un’etica incentrata sul
servizio del prossimo. I precetti e le prescrizioni, infatti, presenti copiosamente nei
testi sacri giudaici, non servono solamente a coltivare e sviluppare le più elevate
qualità umane, ma contengono una carica di dinamismo morale, capace di trasfor-
mare l’individuo e,
per suo tramite, la società di cui egli fa parte.
A fondamento della morale troviamo, inoltre, l’equità e la giustizia, che deve
estrinsecarsi nell’accettazione dei doveri, specialmente nei riguardi del povero, del
debole, del derelitto, amico o nemico che fosse. Un senso della giustizia che deve
anche manifestarsi nella maniera di concepire i beni terreni, poiché il loro possesso
deve considerarsi non come un diritto naturale, ma come un debito con Dio. Sotto
questo aspetto, l’etica nel pensiero giudaico si manifesta, in contrasto con tutti i co-
dici dell’antichità, in tutta la sua originalità, poiché la Torah oppone alla difesa della
proprietà il concetto di “protezione della personalità”. I limiti imposti al potere, da
parte dei libri sacri, dimostrano quanto fortemente fossero sentiti nella spiritualità
ebraica i diritti della persona.
Al padrone è proibito sfruttare gli operai (
Levitico:19,13); al creditore è proi-
bito, in ogni caso, offendere la dignità del debitore (
Deuteronomio: 24,10-11); per-
sino lo schiavo conserva i suoi diritti di persona (
Esodo: 21,26-27). La Torah rifiuta
ogni distinzione tra re e nobile, cittadino e schiavo, indigeno o straniero (
ama lo
straniero come te stesso, Levitico: 19,34
), essendo tutti uguali di fronte alla legge di
Dio. Nel giudaismo, infatti, le distinzioni tra ebrei e non ebrei sono solo di ordine
religioso, mentre non esistono distinzioni sociali o politiche. La legge è uguale per
tutti, poiché la fedeltà del Signore è commisurata secondo l’amore che l’uomo gli
dimostra con l’adempimento della legge. Alla base di tutta l’etica giudaica – è bene
ribadirlo – sta il concetto della santità individuale, che, oltre al rispetto della legge,
poggia anche sul controllo delle passioni.
Ma il controllo di queste ultime non deve essere confuso con l’ascetismo, poi-
ché gli ideali di un ascetismo fine a se stesso sono estranei allo spirito del giudaismo.
Essenzialmente ottimista, l’ebraismo non vede nel mondo il male e non crede che
la vita sia gravata da una maledizione. La vita, anzi, è bellissima e Dio vuole che
l’uomo gioisca di tutte le cose belle di cui la terra è piena (
e Dio vide tutto quello
che aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona, Genesi: 1,31). Né l’ebraismo ha mai
considerato il corpo come cosa impura o gli appetiti umani come radicati nel male
(l
’uomo farà lieta la moglie che ha sposato, Deuteronomio: 24,5). Il corpo umano è
il sacro vaso in cui si cela una scintilla divina, l’anima, e come tale bisogna conser-
varlo in buona salute, in buone condizioni e pulito. Trascurare il corpo e i bisogni
fisici significa offendere Dio e lavarsi ogni giorno è un dovere religioso.
Non solo, ma anche astenersi da quelle cose che non sono condannate dalla
legge è peccato. Una massima del Talmud dice: «l’uomo deve rendere conto nell’al-
dilà di tutti i piaceri dai quali non si sarà astenuto» (
Talmud di Gerusalemme,
trat-