Biblioteca dell’officina di studi medievali



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Filone d’ Alessandria e il giudaismo rabbinico
di Mitzvot, o comandamenti divini, che spaziavano da “ama il prossimo come te 
stesso” e “ama il Signore, tuo Dio”, fino alle minuzie concernenti i rituali religiosi. I 
rabbini, in poche parole, continuarono a comportarsi come se il cristianesimo (anche 
se da questo fronte l’ebraismo veniva definito una religione obsoleta e, in quanto 
nemico di Cristo, disonorevole) non fosse mai esistito o non fosse una minaccia
proseguendo nella loro opera di esposizione della Torah e di commento  delle sue 
leggi. Questi commenti costituiscono ancora oggi il nucleo principale della lettera-
tura sacra ebraica, la prima delle quali, terminata intorno al 200 e.v., è rappresentata 
dalla Mishnàh. Per i successivi tre secoli questo documento costituì un vero e pro-
prio codice legale, il sistema giudiziario della nazione ebraica nella sua terra e nelle 
comunità della diaspora, tanto che nel giro di qualche decennio la Mishnàh fu cano-
nizzata, assumendo pari dignità della Bibbia ebraica. Le discussioni nate attorno alla 
Mishnàh, avvenute sia in Palestina sia durante la diaspora babilonese, originarono 
altri due testi fondamentali: il Talmud palestinese (inizio del V secolo) e il Talmud 
babilonese (VI secolo). Quest’ultimo rappresenta il grande compendio della legge e 
della tradizione ebraica ed è considerato il maggior testo di studio delle accademie 
rabbiniche tradizionali, tanto che tutti gli ebrei sono invitati a studiarlo.
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Infine, la letteratura rabbinica ha originato le collezioni esegetiche, a cui è 
stato dato il nome di Midrash (interpretazioni ). La letteratura midrashica si è svi-
luppata nel corso di diversi secoli (II-XIII) e si presenta sotto forma di commenti 
dei versi biblici, spesso di difficile datazione. Esse si articolano in due registri: la 
halakhah  e la aggadah. La prima tratta delle disposizioni in senso giuridico,che de-
terminano una condotta di vita ispirata alla Torah e alle sue applicazioni, così come 
esse vengono stabilite dalla tradizione; la seconda è la trasmissione delle riflessioni 
degli esegeti sulla Scrittura, i quali cercano di cogliere in essa un senso travalicante 
il primo significato letterale del testo. Il Midrash, dunque, deve essere considerato 
come l’interpretazione biblica ufficiale del popolo ebraico, la cui esegesi resta perpe-
tuamente connessa al presupposto che ogni passo biblico sia dotato di una pluralità 
di sensi e di spiegazioni che si susseguono. Presuppone, di conseguenza, l’esistenza 
di un dialogo permanente tra il testo e la comunità interpretante.
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In base a tale teoria, rileva opportunamente Scholem
lo sforzo di chi cerca la verità non sta nel concepire qualcosa di nuovo, bensì 
nell’inserirsi nella continuità della tradizione della parola divina, sviluppando 
in relazione alla propria epoca il mandato che da essa gli deriva […] Fino a che 
i saggi (gli esegeti) non si rivolgono ad essa con le loro ricerche, la Torah resta 
incompiuta, a mezzo. Ma per le loro ricerche essa diventa un libro compiuto. 
Infatti, in ogni generazione la Torah viene indagata (interpretata) secondo i 
33
 a. R
oseMBeRG
L’ebraismo: storia, pratica, fede, Milano 1995, p. 101.
34
 G. s
teMBeRGeR
Il giudaismo classico, cit., p. 159.


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Manuela Girgenti
bisogni di questa generazione, e Dio dà luce agli occhi di tale generazione, 
perché essa possa beneficiare della Torah che le conviene. In altri termini: non 
il sistema, ma il commento costituisce la forma legittima in cui può essere 
sviluppata la verità. La verità deve essere espressa attraverso lo sviluppo di 
un testo, in cui essa già in precedenza stava celata. Il commentario divenne, 
così, la tipica forma di espressione del pensiero ebraico della verità, ovvero di 
quello che si potrebbe chiamare il genio rabbinico.
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Dal punto di vista ebraico tra rivelazione scritta e rivelazione orale c’è, dun-
que, un processo di continuità che si è sviluppato attraverso la via dell’interpreta-
zione. Un aspetto, quest’ultimo, su cui Paul Ricoeur invita a riflettere, sottolineando 
che «come figli della critica, gli uomini dovrebbero riuscire, mediante la critica, ad 
andare al di là di essa, non per avere meno significato, ma per averne di più, in altre 
parole, per foggiare un’ermeneutica che ripristini il significato. Il credere è integral-
mente riferito all’interpretare».
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I  rabbini,  in  poche  parole,  ripresero  il  patrimonio  letterario  della  religione 
ebraica antica, forgiandolo in un nuovo e inedito significato attualizzante, mediante 
la redazione di un corpus di opere oggi conosciute come testi della Torah orale. In 
virtù dei valori e dei principi espressi nel nuovo canone della letteratura sacra ebraica 
riuscirono ad imporre la propria supremazia nella guida del popolo, poggiando la loro 
autorità sul concetto che «quando Dio rivelò la Torah sul Sinai vi comprese le opinio-
ni dei rabbì viventi e dotati di autorità: su questo mito, il mito della Torah, poggia la 
totalità del sistema e della struttura del giudaismo nella sua formulazione classica».
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La Torah scritta  e orale,  dunque, solo  se  mediata dai  rabbini  può  diventa-
re una vera guida per la vita sia individuale che collettiva e soltanto loro, ancora, 
possono fornire un orientamento autentico, ereditando, custodendo, interpretando e 
attualizzando l’antico patrimonio rivelato.
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 In tal modo la Mishnah, per i suoi tratti 
peculiari acquistò il carattere di una vera e propria costituzione ufficiale del popolo 
ebraico, caratterizzandosi sempre più, oltre alla sua valenza religiosa, come docu-
mento pubblico e politico. La legge scritta nella Mishnah divenne presto, così, uno 
strumento di controllo sociale e, di conseguenza, gli uomini che conoscevano la Mi-
shnah, i rabbini per l’appunto, acquisirono in breve il controllo della vita di Israele. 
Naturalmente la pretesa di esercitare l’autorità e il diritto di imporre pesanti sanzioni, 
in accordo con la Mishnah, non fu universalmente condivisa. I caraiti, infatti, come 
vedremo se ne dissociarono, ma al di là della condivisione o meno del fenomeno, 
non si può non essere d’accordo sul fatto che il giudaismo rabbinico ebbe il merito di 
35
 G. s
CHoLeM
Concetti fondamentali dell’ebraismo, Milano 1986, p. 87.
36
 P. R
iCoeuR
Ermeneutica biblica, Morcelliana, Brescia 1978, p. 12.
37
 J. n
eusneR
I fondamenti del giudaismo, Firenze 1992, p. 23.
38
 G. s
teMBeRGeR
Il giudaismo classico, cit., pp. 154-161.


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