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Filone d’ Alessandria e il giudaismo rabbinico
la vita futura, la condizione dell’uomo reo di peccato capitale, promozione del bene e
impedimento del male. Questi a loro volta vengono divisi in razionali e tradizionali:
i primi spiegabili alla luce della ragione umana, i secondi vanno, invece, accettati per
rivelazione. Ma è ai primi due principi che i mutaziliti annettevano una grande impor-
tanza, tanto da definirsi “sostenitori della giustizia e proclamatori dell’unità divina”.
48
Il
Kalam mutazilita, pur essendo una teologia islamica, subisce l’influsso del
deismo razionalista aristotelico poiché, anche per loro, Dio pur se vincolato dalle
leggi di necessità che regolano l’universo, è la causa prima e il primo motore. Se ne
distacca, però, per le sue posizioni nettamente atomistiche in fisica, poiché, secondo
i mutaziliti, «i corpi si compongono di una mescolanza di atomi di sostanza, che ne
costituiscono l’essenza fondamentale, e di atomi di accidenti, che conferiscono loro
diverse qualità (si hanno,
per esempio,
atomi di calore, di umidità etc.)».
49
In ogni caso, pur con le dovute differenziazioni, il
Kalam nella storia delle
idee viene indicato come l’anello di collegamento fra l’antichità classica, l’islami-
smo e la filosofia successiva.
Contemporaneamente, e in reazione al
Kalam islamico, si andò formando gra-
datamente un
Kalam ebraico, i cui testi teologici, scritti per la maggior parte in lin-
gua araba, erano finalizzati ovviamente non alla difesa dell’Islam, ma del giudaismo.
Naturalmente – rileva opportunamente Zonta – i teologi ebrei dovettero inserire
nello schema dei cinque principi mutaziliti le dottrine, tipicamente ebraiche,
della centralità del ruolo della Legge, della funzione privilegiata ed esclusiva at-
tribuita, nella loro teologia, al popolo eletto, della redenzione finale di Israele ad
opera del Messia; essi dovettero così compiere un’operazione più complessa di
quella svolta dai teologi islamici, i quali non si trovavano di fronte una religione
già irrigidita in una complessa codificazione giuridica come il giudaismo.
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Se, dunque, il giudaismo rabbinico non aveva mai espresso una posizione
teologica sistematica e non si era mai posto veramente la domanda sul perché della
creazione, considerata, tutt’al più, l’indispensabile presupposto alla rivelazione, il
Kalam ebraico rappresentò un grande sforzo interpretativo per conferire alle proprie
credenze religiose un’accresciuta legittimità davanti al tribunale delle idee: In sin-
tesi, il
Kalam ebraico si sforzò di dare un quadro razionale alle proprie convinzioni
religiose, senza rimettere in discussione la loro essenza profonda. Del
Kalam ebraico
Saadiah Gaon (882-942) fu la figura più rappresentativa. Fu lui a dare dell’ebraismo
una presentazione logica e sistematica.
Il suo classico filosofico il
Libro delle credenze e delle opinioni contribuì a
48
Ibid., p. 31.
49
M. Z
onta
,
La filosofia ebraica, cit., p. 13.
50
Ibid., p. 14.
Antonio Bica
I vangeli Gnostici e il
Cristianesimo delle origini
La scoperta dei manoscritti gnostici a Nag Hammadi, Alto Egitto, nel 1945,
insieme al rinvenimento del Vangelo di Giuda nel deserto egiziano verso la fine degli
anni ’70, costituisce un evento storico senza precedenti. Dai testi, emerge il pensiero
della corrente gnostica del Cristianesimo primitivo che vide il suo sviluppo dal I
al IV secolo e che fu tenuto nascosto dalla Chiesa dei seguaci di Gesù, sepolto dal
prevalere della corrente ortodossa allora al potere. Dagli insegnamenti segreti degli
gnostici, vengono a galla verità alternative sul Cristianesimo delle origini. Gli albori
del Cristianesimo ci appaiono illuminati da una luce nuova che per troppo tempo è
rimasta offuscata, sepolta dal peso dell’autorità delle prime gerarchie ecclesiastiche.
Mi piace, per iniziare a parlare della questione gnostica, ricordare un antefatto che
mi indusse a riflettere sui concetti di religione e di indottrinamento e sul pericolo che
quest’ultimo poteva rappresentare.
Era tutto il pomeriggio che pioveva a dirotto nonostante fosse già primavera
inoltrata quando, messa da parte una vecchia copia dell’Apocalisse di Giovanni che
tenevo fra le mani, mi alzai dal letto e andai a telefonare ai miei figli per sentire come
stavano. Mi rispose Fabio, il maggiore; gli domandai di suo fratello, che da poco aveva
subito un intervento chirurgico alla mano, mi rispose con tono sicuro: «Silvio sta beno-
ne, lo sai papà, lui riesce sempre a cavarsela in ogni situazione!». Quando ci salutammo
e riagganciai il telefono ero tranquillo in apparenza, ma l’eco di quell’ultima frase but-
tata lì da mio figlio Fabio a proposito del fratello, condusse un filo della mia memoria e
la pipa che stringevo fra le dita verso un episodio accaduto molti anni prima.
Silvio era piccolo e andava all’asilo dalle suore dell’Immacolata. Dopo avere
attraversato la strada all’improvviso, finì sotto una macchina e non si sa come ne
uscì illeso. Un paio di suorine accorse ad abbracciare il redivivo al grido di “Dio
l’ha salvato!”; una di loro disse: «sia lodato Gesù Cristo!». Le due affermazioni mi
crearono un certo imbarazzo, ma avvertivo anche la necessità di dovere rispondere
qualcosa. Fu così che dissi, senza quasi pensarci su: «Grazie, anche a lei!». Mi resi
conto subito di non aver dato la risposta esatta. Sondando nella
memoria dei lontani
tempi del catechismo, ricordai che quando ti dicono “sia lodato Gesù Cristo”, tu
devi rispondere con “sempre sia lodato” o ancora meglio “oggi e sempre sia lodato”.