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Antonio Bica
Quella mia assurda frase di rimando, quel “grazie, anche a lei!”, era fuori luogo, fin
troppo inappropriato. Nel frattempo, l’altra suorina si mise a recitare una sorta di
giaculatoria infinita, muovendo impercettibilmente le labbra. Il mio disagio si fece
ancora più grande. Mi venne spontaneo chiedermi perché le suorine parlassero a quel
modo, e se fossero consapevoli del significato di tante altre parole pronunciate forse
più per abitudine che per convinzione. Anche a me erano state insegnate quelle frasi
da piccolo,
ma senza cognizione, senza i supporti per un minimo di analisi critica.
Di una cosa ero certo: le suorine, anche quando nella normalità del quotidiano
si
scambiavano quelle frasi fatte, non
avevano alcun senso critico, come non l’aveva
la suora che quasi otto lustri prima m’impartiva le lezioni di catechismo perché fossi
pronto il giorno della mia prima comunione. E se quelle suorine fossero nate sessan-
ta o settanta chilometri più a sud della mia Sicilia e fossero cresciute sotto un altro
cielo
e con altri profumi, cosa si sarebbero dette adesso parlando fra loro?
E come si sarebbero rivolte ora a me? Forse con qualcosa del tipo
Alhamdulil-
lah,
Subhanahuwatala, che in arabo suona pressappoco “sia lodato Dio, gloria a Lui
l’Altissimo”. E ancora, se fossi nato anch’io in un paese del Magreb, come si sarebbe
svolto il mio catechismo, e quale sarebbe stata la mia educazione? Io mi ricordo che
andavo al catechismo tre volte la settimana. Dell’insegnante, una suorona di quasi
due metri con due spalle da lottatore, ricordo la sua paura del socialismo, parola che
io,
a quel tempo, sconoscevo totalmente.
Mi diceva che i socialisti sono come il diavolo sulla terra, ancor più che i co-
munisti, poi si faceva il segno della croce, ed io non capivo, e più ci pensavo più non
capivo. La prima cosa con cui mi sono dovuto misurare è stata la necessità di impa-
rare a disimparare; lentamente, piano piano, giorno dopo giorno ho dovuto ripulirmi
e ricominciare daccapo, cancellare tutto ciò che mi avevano obbligato ad imparare a
memoria sin da bambino.
Quando diventai più grande, appresi come, nel cristianesimo delle origini, le
sette cristiane erano molteplici, ciascuna aveva una sua idea di Gesù e ribadiva che
la propria fosse quella giusta, quella veramente ispirata; non esisteva una struttura
normativa unitaria come più o meno siamo abituati a vedere oggi, era come dire che
coesistevano tanti cristianesimi differenti fra loro.
Imparai anche, e questo non fu che l’inizio soltanto, che i Vangeli non erano
solo quattro, ma ne circolavano diversi a quel tempo; accanto ai quattro Vangeli che
verranno in seguito considerati canonici, ve ne erano altri, utilizzati in seno alle varie
sette e ai vari gruppi, più o meno adattati a secondo delle proprie tradizioni storiche,
politiche, culturali.
Ma procediamo per ordine.
Verso la fine degli anni settanta del secolo appena trascorso, nel Medio Egitto,
nei pressi della località di El Minya, in un villaggio sulla sponda destra del Nilo,
uno scavatore di tombe porta casualmente alla luce un documento incredibile che
si riteneva perduto dalla notte dei tempi. Si tratta di un testo trascritto in un dialetto
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I vangeli gnostici e il cristianesimo delle origini
della lingua copta, il
sahidico, anche se in origine fu probabilmente redatto in lingua
greca. Il copto, che fu poi soppiantato dall’arabo, altro non è che la lingua egiziana
nel
suo stadio finale, ed era soprattutto utilizzato come lingua rituale.
È interessante ricordare come la lingua copta, nella sua forma scritta, utilizzava
i caratteri dell’alfabeto greco. La data di composizione del testo dovrebbe risalire alla
metà del II secolo; ad ipotizzare una tale datazione si giunge in seguito ad un’affer-
mazione di Ireneo, vescovo di Lione, che parla dell’esistenza di un Vangelo di Giuda
nel suo trattato Contro le Eresie, composto in lingua greca attorno al 180 e di cui ci
è pervenuta una traduzione latina del IV secolo. Il quadro generale che questi testi ci
propongono, ribalta la visione cristiana contemporanea, gettando una nuova luce sul
cristianesimo primitivo o forse è meglio dire sui vari cristianesimi delle origini.
Ciò apre la via a nuove soluzioni di lettura di un periodo storico affascinante
per la ricchezza dei suoi contenuti, e ci fa prendere in considerazione aspetti alterna-
tivi del messaggio di Gesù.
Uno dei movimenti più conosciuti a quel tempo era il movimento Zelota.
Quella degli ebrei Zeloti era una specie di setta, un importante gruppo politico estre-
mista cui aderivano squadre di militanti, combattenti estremisti fondamentalisti, il
cui obiettivo era la guerriglia armata contro l’invasore, contro Roma.
Il movimento di resistenza Zelota, che riscuoteva le simpatie di una buona
parte del popolo ebraico, si prefiggeva di rovesciare il potere politico dell’Impero di
Roma utilizzando una strategia sovversiva mirata. Tutta questa gente era accomunata
da un ideale politico di forte impronta nazionalista, erano impegnati in una lotta senza
confine contro l’occupazione romana e per l’indipendenza della nazione ebraica. Ave-
vano propensioni ideologiche estreme da un punto di vista politico, ed appartenevano
a raggruppamenti religiosi ebraici che si costituivano in partiti religiosi nazional sio-
nisti la cui unica missione consisteva nella liberazione del popolo d’Israele dall’odia-
to nemico, esercitando azioni di resistenza popolare e di guerriglia armata.
È in un contesto di crisi politica e ideologica che emergono movimenti o sette
ciascuno dei quali crede di avere una sua ricetta segreta per risolvere i problemi del pa-
ese. Gli ebrei pensavano di avere raggiunto l’apice storico della crisi del loro rapporto
col Dio del Vecchio Testamento; era la crisi di tutto il giudaismo e della sua stessa iden-
tità religiosa e culturale. Molti ebrei vivevano nella speranza dell’avvento di un messia
che venisse in aiuto al popolo eletto; le aspettative messianiche erano al culmine, tanto
che in seno al movimento zelota alcuni ribelli estremisti proposero se stessi come pre-
scelti, inviati dal Dio d’Israele per liberare la Palestina ed instaurare un nuovo regno.
Una figura inquietante, oscura e controversa del movimento Zelota, è Giuda
Iscariota. Egli è forse deluso dal comportamento di Gesù fino al punto di sentirsi
tradito egli stesso. Giuda si aspettava un messia rivoluzionario, un guerriero armato
di spada che si ponesse a capo di un esercito o di un movimento politico estremista,
un uomo d’azione che ricorresse all’uso della forza per ristabilire l’ordine in Israele.
Quando incontra un ebreo mite che si fa ungere con unguenti profumati da una don-