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Filone d’ Alessandria e il giudaismo rabbinico
la condizione necessaria per incontrare Dio è che l’uomo riconosca il proprio
nulla […] Nello sviluppare il tema dell’
oudéneia dell’uomo, Filone è vicinissi-
mo al pensiero biblico. La certezza della nullità dell’uomo e dell’onnipotenza
divina è fondamentale nella Scrittura. Si può a questo
riguardo citare Isaia
(40,6-8): ogni mortale è come l’erba, tutta sua gloria come i fiori di campo,
l’erba si secca,
il fiore appassisce, ma la parola del nostro dura per sempre.
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L’ascesi, però, non è il momento più alto della purificazione. L’obiettivo finale
è la contemplazione del divino. In una parola: l’estasi. «Per virtù di essa, il saggio
è profeta: egli non trae nulla dal suo fondo, ma in lui abita lo spirito divino, ed egli
vibra senza suo volere, come le corde di uno strumento».
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Lo stesso Filone descrive i suoi momenti di estasi, quando, ponendosi al lavo-
ro senza idee, all’improvviso “si sentiva riempito” e i pensieri venivano invisibilmen-
te giù dall’alto e cadevano come la neve e la semenza. Come invasato da un Dio, egli
dimenticava il luogo dov’era, le persone presenti e se stesso e ciò che aveva detto e
scritto. Con l’estasi, così, in una vera e propria unione mistica con Dio, l’uomo tran-
sumanato si annega nell’infinito da cui si origina.
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In questo modo Filone anticipa
quell’itinerario a Dio, che,
successivamente, da Agostino in poi, diverrà canonico.
Il giudaismo rabbinico dal II al XII secolo
Il pensiero di Filone, troppo legato all’ellenismo, non ebbe largo seguito tra
gli ebrei di lingua diversa dalla greca e, fra l’altro, va anche rilevato che la nascita
ad Alessandria della scuola neoplatonica contribuì ad oscurarne la gloria, giacché la
scuola di Filone, pur tentando di unificare il giudaismo con lo spirito animatore del
pensiero ellenico, nella realtà pretendeva di asservire la mentalità ellenica al giu-
daismo.
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Ciononostante, dopo la scomparsa del giudaismo alessandrino, la filosofia
ricomparirà proprio in seno al giudaismo rabbinico che, sviluppatosi sostanzialmen-
te in oriente tra Palestina e Babilonia, dal 70 dell’era volgare al 1040 sarà il punto di
riferimento di tutte le pratiche e credenze ebraiche.
Inizialmente gli ebrei babilonesi furono influenzati da quelli palestinesi,
mentre dopo il 135 e.v., quando numerosi ebrei fuggirono dalla Palestina verso la
Mesopotamia, dove esistevano condizioni politiche e sociali migliori, riuscirono ad
imporre la loro supremazia nel campo della letteratura rabbinica, tanto che le acca-
demie di
studio babilonesi, dal VI al X secolo, rappresentarono il
centro culturale
25
L. P
ePi
,
Filone Alessandrino, cit., p. 51.
26
G. D
e
R
uGGieRo
,
La filosofia greca, cit., p. 252.
27
F
iLone
,
De specialibus legibus, III, 1-2.
28
G. D
e
R
uGGieRo
,
La filosofia greca, cit., p. 253.
10
Manuela Girgenti
dell’ebraismo orientale ed occidentale.
29
Le accademie babilonesi di Sura e Pumbe-
dita, infatti, continuarono le tradizioni talmudiche sotto l’autorità dei
Geonim (plura-
le di
Gaon,”Eccellenza”), guadagnandosi fama e autorità tali da accogliere richieste
di pareri su questioni giuridiche e teologiche, che venivano loro indirizzate dalle
comunità sia d’Oriente che d’Occidente.
In questo periodo il pensiero giudaico si sviluppa nella sua pienezza, ma nel
senso del proprio retaggio e al riparo delle barriere elevate contro l’ambiente
circostante, soprattutto contro il pensiero greco. E questo nonostante che l’in-
flusso ellenistico fosse stato rilevante e che i problemi teologici non venissero
elusi; ma le risposte date a questi problemi si ponevano su
un piano prettamen-
te religioso e solo di rado sul piano razionale, se si dà al termine “ ragione” il
significato attribuitogli dai filosofi.
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Non a caso, infatti, alcuni studiosi definiscono l’ebraismo rabbinico come la
religione della “duplice Torah”, perché, oltre a una Torah scritta (le Scritture ebrai-
che) riconosce una “Torah orale” o tradizione, attraverso cui quella scritta viene
interpretata e completata.
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Per comprendere meglio tale sviluppo bisogna calarsi nel clima che si venne a
determinare dopo la seconda rivolta giudaica, che culminò nel 135 con la distruzio-
ne di Gerusalemme da parte dei romani. L’odio accumulato da questi ultimi contro
gli ebrei fu tale, che alcuni storici non hanno esitato a parlare di una vera e propria
guerra di sterminio, nel corso della quale l’unica logica condivisa era quella di an-
nientare, sterminare e sradicare i ribelli.
«Agli ebrei, che alla fine della sommossa contarono ben 585.000 vittime, fu
persino proibito di mettere piede a Gerusalemme o di guardare con nostalgia da lon-
tano le sue rovine».
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Il 135 e.v. segnò, dunque, un punto di non ritorno ed è da questa data che ebbe
inizio la vera, grande diaspora del popolo ebraico. I cristiani interpretarono questo
luttuoso evento come il ripudio degli ebrei da parte di Dio e la conferma di essere
nel giusto nel credere in Gesù come Messia e figlio di Dio; gli ebrei, viceversa, lo
interpretarono come una punizione per i loro peccati. A questo punto per gli ebrei
occorreva un’opera di auto definizione. Questo compito fu assunto dai rabbini, i
quali, partendo da una fede assolutamente indiscutibile in Dio, nella sua rivelazione
attraverso la Torah e nella sua “elezione” di Israele, definirono l’ebraismo in termini
29
G. s
teMBeRGeR
,
Il giudaismo classico: cultura e storia del tempo rabbinici (dal 70 al 1040),
Roma 1991.
30
C. s
iRat
,
La filosofia ebraica medievale, Brescia 1990, p. 27.
31
n. s
oLoMon
,
Ebraismo, Torino 1999, p. 21.
32
R. C
aLiMani
,
Gesù ebreo, Milano 1998, p. 105.