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Filone d’ Alessandria e il giudaismo rabbinico
Su argomenti del genere
– afferma Simmia, uno dei personaggi principali del
dialogo – non è possibile se non fare una di queste cose: o apprendere da altri
quale sia la verità; oppure scoprirla da se medesimi; ovvero, se ciò è possibile,
accettare, fra i ragionamenti umani, quello migliore e meno facile da confutare,
e su quello, come su una zattera, affrontare il rischio della traversata del mare
della vita: a meno che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con
minor rischio su più
solida nave, cioè affidandosi ad una rivelazione divina.
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Se dunque – e la domanda è legittima – dal piano della ragione non si può risa-
lire a quello della fede e che, per effettuare l’ascesa è necessario mettere in disparte,
non solo i sensi e la fantasia, ma anche la ragione,
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in che modo la ragione, la filosofia
può essere d’aiuto alla rivelazione? Per Filone, la risposta è semplice: essa può essere
utile esercitando un’azione indiretta, nel senso, cioè, di fare apprezzare la rivelazione,
facendola comprendere, poiché se uno la comprende non può non apprezzarla.
In poche parole, Filone ha mostrato in concreto nelle sue opere in cosa deve
consistere la funzione ancillare della filosofia rispetto alla rivelazione: «essa non
consiste tanto nel rendere razionale il dato rilevato, poiché il mistero rimane sempre
mistero, indipendentemente dalla forma concettuale con cui viene rivestito, quanto
nell’esprimerlo mediante le categorie mentali proprie di una data cultura».
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È evidente che l’opera di Filone non è altro che il tentativo di far vedere che
i singoli testi biblici si potevano tradurre in espressioni della
cultura ellenica e, con-
temporaneamente, di preparare il materiale per la costruzione di un sistema teologi-
co, basato sulle categorie della filosofia greca.
Ma è nel concetto di creazione che meglio si evidenzia la sintesi operata da
Filone, tra cultura greca e teologia giudaica. Nel
De opificio mundi la teoria della
creazione si ispira alla Genesi e, pur andando molto al di là del puro platonismo, al
Timeo di Platone. Quest’ultimo aveva pensato ad una generazione del mondo delle
idee ad opera di un demiurgo, Filone, invece, pensa che esista un Dio supremo e che
tra
lui e il mondo stia il Logos, cioè il complesso delle idee che ordinano l’universo.
Dio, quindi, è presentato da Filone come
autore di una doppia creazione: del mondo intellegibile e del mondo sensibile.
Infatti, volendo creare il mondo sensibile, crea prima il mondo intellegibile,
modello incorporeo, cui ispirarsi. Così il concetto di creazione, tratto dalla Ge-
nesi, e la produzione demiurgica, tratto dal Timeo, vengono armoniosamente
sintetizzati nella teoria della doppia creazione.
18
15
P
Latone
,
Fedone, 85c, d. Traduzione italiana di G. Reale, Brescia 2001.
16
F
iLone
,
Quis rerum divinarum heres, 69-76.
17
B. M
onDin
,
Il problema dei rapporti tra fede e ragione in Platone e in Filone Alessandrino in
Le parole e le idee, Napoli 1967, p.14.
18
L. P
ePi
,
Filone Alessandrino, cit., p. 49.
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Manuela Girgenti
Superfluo sottolineare che la dottrina filoniana del
Logos, come intermediario
tra la divinità e il mondo, eserciterà un notevole influsso sulla dogmatica cristiana
e, in particolare, sulla teoria cristiana della Trinità. In quanto è un’essenza mediatri-
ce, ha in sé del divino e dell’umano e, conseguentemente, anche l’uomo, in quanto
possiede l’intelletto che non è altro che un elemento divino, esercita per Filone una
funzione mediatrice tra il mondo sensibile e il mondo intellegibile. Non a caso lo
chiama spesso “l’Adamo celeste”.
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Il
Logos, dunque, è creato da Dio e per suo mez-
zo la divinità ha creato il mondo e per suo mezzo, ancora, agisce nel mondo. Esso e,
da un lato, ragione immanente e, dall’altro, ragione espressa.
È in questo modo che «tra Dio e il singolo individuo, si instaura un rapporto
sconosciuto al pensiero precedente»;
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ed è proprio attraverso questo passaggio che
sarà facile per i cristiani chiamare con il nome filoniano di
Logos il mediatore per
eccellenza, cioè il Cristo. In questa dottrina filoniana, infatti, il
Logos è Dio e insie-
me uomo, ma non Dio che si fa uomo. Prelude, ma non assume la concretezza di
una vera incarnazione. «Troppo aderente alle sue fonti elleniche, esso è – come il
demiurgo di Platone – la personificazione simbolica della realtà intelligibile».
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È attraverso la coscienza di questo processo che l’uomo, secondo Filone, può
aspirare alla salvezza. L’uomo non è composto semplicemente, come sosteneva Pla-
tone, di anima e corpo ma, maturando una concezione più avanzata, anche di spirito
(
pneuma), che proviene da Dio. L’anima, dunque, contrariamente a quanto sosteneva
Platone, sarebbe di per sé mortale se Dio non vi soffiasse il suo spirito, ma, in realtà,
per renderla immortale il semplice soffio di Dio non è sufficiente. Essa può diventar-
lo solamente e nella misura in cui sa vivere secondo lo spirito.
«L’immortalità, dunque, non è un dato ontologico, come, per esempio, sostene-
va Platone, ma è un premio e una grazia concessi solo a chi li merita.
Non tutte le ani-
me sono immortali, ma solo quelle dei sapienti: l’immortalità è conquista personale».
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In questo lungo e difficile cammino verso Dio, l’uomo, da Filone definito
anche “progrediente”, deve predisporsi interiormente ad accogliere la rivelazione
con la fede. La fede, in poche parole, deve assumere essenzialmente il significato
d’assoluta fiducia in Dio, «una fiducia che implica che Dio è la causa unica, davanti
alla quale gli avvenimenti esteriori non sono nulla».
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Ma migrare dal mondo non è
ancora sufficiente. L’uomo deve anche migrare da sé e dal proprio intelletto e ricon-
segnarsi totalmente a Dio, riconoscendo la propria nullità.
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Per
Filone infatti
19
F
iLone
,
De opificio mundi, 138.
20
L. P
ePi
,
Filone Alessandrino, cit., p. 49.
21
G. D
e
R
uGGieRo
,
La filosofia greca, vol. II, Bari 1950, p. 248.
22
L. P
ePi
,
Filone Alessandrino, cit., p. 49.
23
e. B
RéHieR
,
Les idées philosophiques et religieuses de Philon d’Alexandrie, cit., pp. 221-222.
24
F
iLone
,
Leg. All., III, 195-198.