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Giuseppina Mammana
fra gli
uomini non solo deriva da Dio, ma è Dio stesso» (Sulla Trinità VIII, 12).
«Dio è amore. Non ho dubbi, sono certo, o Signore: io ti amo. Hai folgorato
il mio cuore con la tua parola e io ti ho amato. Il cielo, la terra, e tutto ciò che in essi
si trova, ecco da ogni parte mi invitano ad amarti» (Le Confessioni, libro X, p. 370).
E allora chi è il mio Dio?
«Interrogai la terra, il mare, gli abissi e i rettili “che hanno anima vivente” (Ge-
nesi 1, 20) i venti e tutto il cielo con i suoi abitanti […] ho chiesto a tutti gli esseri che
mi circondano […] e a gran voce tutti in coro risposero: il tuo Dio ? È colui che ci ha
fatto» (Le Confessioni, libro X, p. 371). Infine Agostino si rivolge a se stesso e chiede:
tu chi sei ? Un uomo con corpo e un’anima, l’uno esterno, l’altra interiore.
A quale dei due dovrò chiedere dove è il mio Dio? Per mezzo del corpo l’ho
chiesto alla terra e al cielo, e tutte le cose in esse dicevano: non siamo noi il
tuo Dio oppure il tuo Dio è colui che ci ha fatto. Meglio interrogare ciò che
vive nel corpo: l’anima. A lei infatti giungevano tutte le risposte alle domande
del corpo, come a colei che presiede e giudica tutto quello che
il cielo, la terra
e tutte le cose in esse dicevano. L’uomo interiore arriva alla conoscenza di
queste cose attraverso i sensi dell’uomo esteriore. Io uomo, “uomo interiore”,
ho conosciuto queste cose, io, si, proprio io, “anima” attraverso i sensi del mio
corpo (Le Confessioni, libro X, p. 371).
Solo gli uomini possono interrogare la magnificenza del creato, poiché come
dice l’Apostolo: «dalla creazione del mondo in poi , le perfezioni invisibili di Dio
possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute, come la sua
potenza e divinità» (Rm 1, 20). «Anima mia, tu sei la creatura migliore! Il tuo Dio,
Lui solo, è la vita della tua vita» (Le Confessioni, libro X, p. 373). Dio trascende la
sensibilità dei nostri sensi. Il pensiero è un tratto immanente, costitutivo dell’anima.
Conoscere perciò non è il platonico riconoscere, ma è essere illuminati dal
Verbo. Non è neanche l’intelletto agente aristotelico, che mediante un processo di
astrazione perviene alla conoscenza dell’essere, non ha quindi carattere gnoseolo-
gico e psicologico, ma carattere essenzialmente metafisico, legato al principio della
presenza di Dio e del divino in noi. L’uomo è una creatura che ha anima e corpo,
ma la cui essenza e natura propria è appunto l’anima razionale. L’uomo è un anima-
le razionale, che si serve di un corpo mortale e terrestre. Come dire che la vita del
corpo è in funzione dell’anima, principio vivificante e spirituale, impresso da Dio ad
Adamo, nell’atto creativo.
Si avverte in questa concezione un dualismo di tipo platonico, ma solo in
parte, perché l’anima per Agostino è illuminata da Dio; la sua presenza trascendente
e misteriosa, vivifica il corpo e guida la mente nella conoscenza e nelle opere. È cri-
terio di verità ed ha un carattere prettamente metafisico. È una sostanza tesa interior-
mente a quella verità e quei valori interiori che il Verbo le fa brillare dentro, vivente
com’è, essa non è inerte e indifferenziata: essa si articola in se stessa in una triplici-
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La ricerca di sé come ricerca di Dio e dell’anima nel pensiero di S. Agostino
tà di funzioni-facoltà che ognuno può riconoscere come essere, pensiero e volontà
(
esse –
nosse –
velle), cioè memoria, conoscere, amore. Essere ossia memoria, in
quanto il nostro essere è appunto la somma attuale di quanto l’anima è stata ed è, in
tutti i momenti successivi e in tutta la varietà del suo contenuto: l’anima è il presente
ontologico di tutto il suo passato. Conoscere in quanto l’anima è intelligenza, pen-
siero ed ha coscienza di sé e in sé delle cose. Volere o amore, in quanto è desiderio, è
attività ad un fine e può decidere e operare liberamente. Quindi l’uomo è, conosce e
ama proprio come Dio è essere, il Padre, intelligenza il Figlio e amore Spirito Santo,
perché Dio lo ha creato a sua immagine e somiglianza e cercando se stesso trova in
sé la trascendenza
divina che lo chiama, lo illumina e lo ama.
L’intera esperienza della vita di Agostino ne è la testimonianza. Ed il corpo
non è la prigione dell’anima, ma il tempio dell’anima.
Ma l’essere umano con la sua volontà può volere e disvolere, può lasciarsi do-
minare dalle passioni, dall’egoismo, dall’orgoglio e dalla superbia; può allontanarsi
da Dio e usare la libertà per peccare.
La costituzione dell’uomo come immagine di Dio, se gli dà la possibilità di
rapportarsi a Lui, non gli garantisce la realizzazione necessaria di questa possibilità.
L’uomo è infatti in primo luogo l’uomo vecchio, l’uomo esteriore o carnale, che
nasce, cresce, invecchia e muore. Ma in secondo luogo può essere anche uomo nuovo
o spirituale, può rinascere spiritualmente e sottoporre l’anima alla legge divina.
Può indebolire e rompere il suo rapporto con Dio, e cadere nella menzogna
e nel peccato oppure vivere secondo lo spirito, rinsaldando
il proprio rapporto col
Padre e prepararsi a partecipare alla sua stessa eternità.
Si Deus est, unde malum? Questa domanda Agostino se la poneva anche du-
rante la sua militanza manichea, ma dopo la conversione, convinto che Dio è il bene,
afferma che il male non può essere stato creato da Lui.
Il problema si presentava arduo e drammatico, poiché è inconciliabile la realtà
del male con la bontà perfetta di Dio. Quindi, il male non deriva e non è stato creato
da Dio, Essere e Bene assoluto. Non ha una sostanzialità metafisica, è una rinuncia
all’Essere, ovvero una forma di non essere. La causa del male è il libero arbitrio della
nostra volontà.
Una cosa certa, sicura mi sollevava verso la tua luce: sapevo di avare una vo-
lontà come ero certo di avere una vita; infatti io vivevo. Ero certissimo che ero
io a volere o non volere una cosa, nessun altro poteva volere o non volere per
me; e sempre meglio comprendevo che la causa del peccato risiede nella mia
volontà. Solo l’uomo è capace di commettere il male (Le Confessioni, libro
VII, pp. 234-235).
Il male ha origine nella condizione ontologica della creatura, nella quale può
prevalere il
defectus essendi che si ha quando vengono a mancare misura, forma e
ordine (
modus, species et ordo).