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Giuseppe Allegro
nel secolo successivo rispetto a Ugo, Alberto Magno. La sua lotta per affermare con
forza la dignità e l’autonomia della filosofia è innegabile, come testimoniano le sue
parole accorate contro chi nega valore alla ricerca filosofica. All’interno dell’ordine
domenicano, del quale Alberto faceva parte, era diffusa infatti in quel momento una
certa ostilità nei confronti della
philosophia, a causa della sua origine e ispirazione
pagana. Nelle
Costituzioni del 1228 si prescriveva perciò che i frati non si dovessero
dedicare alla lettura dei libri “dei pagani e dei filosofi” (
in libris gentilium et philo-
sophorum non studeant), sebbene fosse consentito loro studiare le scienze profane
previa una specifica dispensa.
9
Pure nelle
Vitae fratrum del
cronista domenicano Ge-
raldo di Frachet alcuni episodi condannano la
curiositas filosofica. Ne cito due: a un
predicatore che voleva usare ragionamenti filosofici nei suoi sermoni appare Cristo
per ricordagli come la bellezza della Bibbia non abbia bisogno di essere alterata: «in
Inghilterra un frate aveva intenzione di abbellire la predica che doveva tenere a degli
studenti, con argomenti filosofici. Mentre in cella ci stava pensando, di addormentò
e vide in sogno il Signore Gesù che gli porgeva una Bibbia esternamente molto rovi-
nata. Siccome il frate gli fece notare la cosa, Gesù l’aprì e, mostrandogli quanto fosse
bella all’interno, disse: – vedi che è molto bella, ma voi la rovinate con la vostra
filosofia». Il secondo episodio è ancora più istruttivo. Un frate lombardo, in dubbio
tra lo studio della filosofia e quello della teologia, vede in sogno una figura che tiene
in mano un interminabile elenco di uomini «dannati a causa della loro filosofia: «Un
frate lombardo era perplesso se dedicarsi allo studio della filosofia o della teologia.
Gli apparve in sogno un personaggio con in mano un rotolo, nel quale potè leggere i
nomi dei defunti dei quali si diceva che
erano stati gravemente puniti. Ne domandò
la ragione e gli fu risposto: – A causa della loro filosofia –. Quel frate capì che era
meglio per lui studiare Teologia».
10
Eppure, in questo contesto di diffusa ostilità verso il sapere profano Alberto
si assume il compito di rivendicare con forza la legittimità dell’indagine filosofica,
anche a costo di polemizzare persino con i suoi stessi confratelli. Egli anzi annuncia
con coraggio il suo progetto di “rendere intellegibile” Aristotele ai latini. Quasi in
risposta agli aneddoti delle
Vitae fratrum, Tommaso di Cantimpré racconta che Al-
berto gli confidò come il diavolo gli fosse apparso un giorno a Parigi sotto l’aspetto
di un frate che intendeva dissuaderlo dallo studio.
11
Fare uso della filosofia contro chi
9
Constitutiones Ordinis Praedicatorum II, 28: [
Fratres]
In libris gentilium et philosophorum
non studeant, etsi ad horam inspiciant. Seculares scientias non addiscant, nec etiam artes quas libera-
les vocant, nisi aliquando circa aliquos magister ordinis vel capitulum generale voluerit aliter dispen-
sare; sed tantum libros theologicos tam iuvenes quam alii legant (
Chart. 1, n. 57, p. 112).
10
G
eralDo
Di
F
racHet
,
Vitae fratrum 20, pp. 208–9.
11
t
oMMaso
Di
c
antiMpré
,
Bonum universale de apibus, 2, 57, 34:
Albertus Theologus, frater
ordinis Praedicatorum narravit mihi, quod Parisiis illi daemon in specie cujusdam fratris apparuit, ut
eum a studio revocaret (cit. in p. M
anDonnet
,
Siger de Brabant et l’averroisme latin au XIII
e
siècle 1,
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Medioevo e teologia. Scienza e ricerca di Dio
si oppone alla fede non è quindi per Alberto affatto sconveniente. La filosofia non
è semplicemente propedeutica nei confronti della teologia, ma conserva un ruolo e
una dignità autonomi. Filosofia e teologia sono distinte e indipendenti ciascuna nel
proprio ambito, ma fra esse non vi è contrapposizione: la filosofia è una
via aperta a
chi cerchi la verità «mediante un lavoro comune e fecondo», fondato sullo scambio
intellettuale. E tutto questo contro coloro che per la loro incapacità di comprendere
ne sanno vedere solo gli errori. Alberto si esprime al riguardo con appassionata du-
rezza: «a conforto della loro incapacità, negli scritti degli altri non vanno cercando
che difetti […] tali esseri hanno ucciso Socrate e cacciato in esilio Platone. Nell’or-
ganismo della comunità scientifica essi sono ciò che nel corpo umano è il fegato.
Come la bile, che esce dal fegato, amareggia tutto il corpo, così anche nella vita
scientifica vi sono certi uomini acerbi e pieni di bile, che amareggiano e inaspriscono
la vita degli altri, rendendo loro impossibile il cercare la verità mediante
un lavoro
comune e fecondo».
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L’ultima espressione suona, in latino,
in dulcedine societatis:
il lavoro intellettuale non può essere svincolato dalla rete di relazioni, dal dialogo
costante, che lo rendono non solo proficuo ma anche “dolce”; la ricerca comune ha
la dimensione della
dulcedo, un termine che riecheggia la
iucunditas di Ugo.
Quanto finora emerso ci serve come indispensabile preludio al tema centrale
di questa relazione, che è la concezione della teologia medievale nel suo duplice
senso di
scienza, cioè di conoscenza razionalmente fondata e argomentata di Dio, e
di
ricerca, sempre
in fieri e mai definitiva, di Dio. I due aspetti non devono essere
visti in opposizione, bensì come complementari. Se da una lato è vero che la teologia
si costruisce come una disciplina rigorosa che pretende di essere accreditata come
scienza, avendo quale oggetto di indagine nientemeno che Dio, dall’altra parte essa è
ricerca, indagine, proprio perché il suo punto di riferimento rimane il mistero divino,
che per sua natura è insondabile e inattingibile per la mente umana. Possiamo scor-
gere i due aspetti presentando brevemente alcuni altri testi emblematici.
Teologia e scienza. La costruzione del discorso su Dio
Sul tema della scientificità della teologica incontriamo Pietro Abelardo (1079-
1142), autore di opere di riflessione teologica di grande profondità speculativa. Nel
prologo del
Sic et Non Abelardo rivendica la dialetticità del sapere, affermando che
Institut supérieur de philosophie de l’université, Louvain 1911, p. 35).
12
a
lBerto
M
aGno
,
Politica 8, 6, ed. Borgnet, pp. 803–804:
Qui in communicatione studii sunt,
quod hepar in corpore: in omni autem corpore humor fellis est, qui evaporando totum amaricat corpus,
ita in studio semper sunt amarissimi et fellei viri, qui omnes alios convertunt in amaritudinem, nec
sinunt eos in dulcedine societatis quaerere veritatem).