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Salvatore D’Agostino
La prima occasione per Federico si presentò nel 1305. Gli abitanti dell’isola
di Gerba, feudo dell’ammiraglio Lauria, dopo la sua morte, erano insorti, istigati dal
signore di Tunisi.
Federico, allora, decise di intervenire in aiuto di Ruggerone, figlio dell’ammi-
raglio, che si trovava presso la corte siciliana.
Scrive De Stefano:
pervenutane notizia alla Corte siciliana, presso la quale trovavasi Ruggero (o
Ruggerone) figlio del grande ammiraglio, questi, con l’aiuto di re Federico,
apparve nella primavera dello stesso anno con 6 galere armate nelle acque
della grande Sitri. Ma già i Saraceni, avuto sentore della spedizione siciliana,
avevano si dalla metà di marzo abbandonato l’isola ai cristiani.
13
In realtà re Federico non riuscì mai ad assicurarsi il controllo definitivo dell’isola,
sempre turbolenta,
fino a quando, nel 1336, fu costretto ad abbandonare l’impresa.
Federico non fu più fortunato nella riscossione del tributo, dovuto da Tunisi, sin
dall’epoca dei normanni, al re di Sicilia. Su di esso vantavano diritti, stabiliti nei recenti
trattati, sia il re di Francia sia il re d’Aragona, oltre che quello di Napoli e di Sicilia.
Le mire espansionistica della Sicilia si rivolsero anche verso l’oriente, che da
sempre aveva attirato le attenzioni degli isolani.
Dopo la pace di Caltabellotta si presentò l’opportunità: l’imperatore bizanti-
no, Andronico II Paleologo, chiese l’appoggio della Sicilia contro i Turchi che mi-
nacciavano,
da tempo, la Grecia.
I siciliani, ansiosi di reindirizzare l’ampio numero di mercanti catalani, utili
ed indispensabili durante la guerra ma pericolosi durante il periodo di pace, e degli
almogàvers, un gruppo specializzato della fanteria catalana, che non conosceva altra
attività che la guerra, accolsero l’invito dell’imperatore. La «Compagnia Catalana»,
mandata in suo aiuto, ottenne numerose vittoria contro i Turchi, tanto che lo stesso l’im-
peratore era preoccupato che Ruggero da Flor, comandate della Compagnia, aspirasse,
per se e i suoi compagni, ad una ricompensa maggiore di quella pattuita. Andronico, al-
lora, comandò l’omicidio di Ruggero. Questo provocò il risentimento della Compagnia,
che si alleò con i Turchi contro cui aveva combattuto fino al quel momento.
Nel 1311, la «Compagnia Catalana» invitò Federico a dichiararsi sovrano del
ducato di Atene. Federico nominò il figlio Manfredi, duca di Atene e, l’altro figlio,
illegittimo, Alfonso Federico, capitano-generale del ducato. L’idea di Federico di
mantenere il controllo del ducato e di usarlo come base per estendere il suo domi-
nio in oriente fu subito evidente. Tuttavia la presenza siciliana in Grecia comportò
un ulteriore peso sulle già scarse risorse del regno e inasprì la posizione di papato
e angioini. Entrambi intendevano minare la base economica e politica della Sicilia
13
a. D
e
s
teFano
,
Federico III d’Aragona, cit., p. 130.
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La Sicilia di Federico III d’Aragona
invadendo, o minacciando di invadere, l’isola o il ducato d’Atene.
La Sicilia beneficiò poco di questi domini orientali. L’impossibilità di stabilire
una relazione efficace tra il regno e il ducato, fecero si che questo diventasse per la
Sicilia un peso che più una fonte di benefici, un territorio debole che continuava a
mantenersi grazie alle continue elargizione del demanio regio.
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La tensione tra aragonesi e angioini continuava a rimaneva tesa. Questa si
inasprì nuovamente quando Federico III decise di appoggiare la campagna in Italia
del nuovo imperatore Enrico VII di Lussemburgo.
Papa Clemente V, che si trovava lontano da Roma, nominò suo vicario Ro-
berto d’Angiò al fine di tutelare i propri domini e la fazione guelfa messi in serio
pericola da questa nuova alleanza. Federico, intanto, inviava
i suoi ambasciatori per
concludere gli accordi con l’imperatore. Questi, nominò Federico III ammiraglio
della flotta imperiale, prefetto delle regioni costiere e comandante supremo delle
forze marittime. Nel 1313 Federico salpava con la sua flotta, compresa quella pisa-
na, alla volta delle coste calabre, dove in pochi giorni riuscì a conquistare Reggio.
Nonostante le vittorie riportate il re di Sicilia fu costretto a dirigersi verso Gaeta, per
ordine dell’imperatore, dove tutte le forze si sarebbero congiunte e avrebbero tentato
di varcare i confini del regno angioino. Mentre la flotta si dirigeva verso il luogo sta-
bilito per il ricongiungimento Federico III fu raggiunto dalla notizia della prematura
morte dell’imperatore Enrico.
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Federico si trovò nuovamente solo contro i molti nemici coalizzati contro di lui e
tutte le sue ambizioni subirono una battuta d’arresto e fu costretto a ritornare in Sicilia.
Nel decennio che va dalla morte di Enrico VII alla venuta di Ludovico il Ba-
varo, Federico, che da sempre aveva impresso alla sua politica un carattere aggres-
sivo ed espansionistico, si ripiegò su se stesso preoccupato di difendersi dai continui
tentavi di Roberto d’Angiò di riconquistare l’isola.
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Scrive Testa:
E invece Roberto, che ormai aveva deciso di rinnovare la guerra contro Fede-
rico perché aveva cospirato con Enrico alla sua rovina, furibondo ed eccitato
non solo dallo stimolo che già da tempo lo faceva smaniare di occupare la
Sicilia, ma anche di vendicare la recente ingiuria, si affrettava ad utilizzare
contro Federico quello stesso esercito che aveva pronto per respinger le forze
di Enrico [...] Mentre Federico disponeva queste cose a sua protezione, aveva
infuso coraggio in Roberto un responso sull’esito della spedizione, dato dagli
indovini consultati da alcuni cardinali [...] secondo cui avrebbe preso la Sicilia
14
c. r. B
ackMan
,
Declino e caduta, cit.
, pp. 59- 63.
15
F. t
esta
,
Vita e opere di Federico II, cit., pp. 166-169.
16
a. D
e
s
teFano
,
Federico III d’Aragona, cit., p. 184.