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Difculties in Observation: l’osservazione nella ricerca sociale rischia di essere meno obiettiva rispetto a quanto lo è nelle scienze naturali perché nell’osservazione e nell’interpretazione dei fenomeni rientrano fattori che possono far riferimento al mondo valoriale e conoscitivo del ricercatore.

  • Difculties in Replication: le esperienze educative possono essere replicate per essere osservate ma ci restituiranno risultati sovrapponibili solo in parte e in determinate condizioni.

  • Interaction of Observer and Subject: la presenza di un ricercatore nel contesto indagato modica la situazione, la percezione, le azioni da parte degli osservati.

  • Difculties in Control: non è possibile applicare un controllo rigido nello studio dei fenomeni educativi come se fossimo in laboratorio poiché c’è la probabilità che intervengano variabili di cui lo scienziato potrebbe anche non essere consapevole.

  • Problems of Measurement: gli strumenti di misura non sono così precisi come nelle scienze naturali e i fattori che in;uenzano gli eventi potrebbero appartenere non solo al presente ma anche al passato. Bisogna provare per quanto possibile a controllare le variabili oggettive intervenienti: tempi, spazi, modalità d’azione, risorse umane e così via.

    Conoscere i limiti dell’approccio scientico alla ricerca educativa non signica rinunciare a perseguirlo. Al contrario, signica partire dalla conoscenza dei metodi di indagine per provare a controllare gli ostacoli: scegliendo teorie di riferimento e strumenti di lavoro ben deniti, monitorando gli ambienti e le condizioni in cui si sviluppa una ricerca, selezionando con accuratezza le variabili che possono essere osservate e misurate, ripetendo le misure e replicando gli studi, lavorando su campioni ampi e rappresentativi per diminuire le possibilità di errore e proporre generalizzazioni.
    I ricercatori, a prescindere dal quadro ontologico o epistemologico di appartenenza, concordano sul fatto che la conoscenza sia in;uenzata dal contesto storico e sociale nel quale si svolge e dal quadro teorico e valoriale del ricercatore, la stessa raccolta dei dati è densa di teoria; le conoscenze e le teorie scientiche non sono denitive ma possono e devono essere sempre riviste (no anche falsicate) alla luce di nuovi scenari di ricerca e nuovi esperimenti da proporre (Trinchero, 2002; Trichero & Robasto, 2018; Buscema & Pieri, 2004).
    Le posizioni del realismo critico, che aspirano ad individuare relazioni, tendenze e regolarità nei fenomeni osservati partendo dalla consapevolezza che possiamo conoscere la realtà solo “in modo imperfetto e probabilistico” (Trinchero, 2002, p. 26), asseriscono che attraverso metodi qualitativi e quantitativi si possono raccogliere informazioni su una realtà straticata, articolata, multipla.
    Spiegando il senso della ricerca in ambito educativo sui tre livelli − individuo, scuola, istituzioni − nel rapporto con i decisori, Hans Fisher, William Boone e Knut Neumann (2014) aggiungono un altro tassello alla denizione di questo scenario: “Researchers should be able to tell future teachers how they can increase the probability of their own teaching being of high-quality”. La frase fa riferimento solo a uno degli aspetti e degli scopi della ricerca educativa legato alle pratiche di insegnamento e denisce i caratteri della necessaria applicabilità delle ricerche nei contesti didattici quotidiani e della relazione fra gli attori che prendono parte all’indagine (per un approfondimento sui costrutti della ricerca didattica, si veda Fabbri, 2012). Nella semplicità con cui è formulata, l’aspetto su cui è bene soffermare l’attenzione è il modo in cui viene introdotta l’idea di probabilità i cui tratti contraddistinguono anche i risultati di ricerche svolte in maniera rigorosa in quanto la natura dell’indagine educativa così come la realtà osservata è probabilistica e transitoria. Per condurre ricerche attendibili, guardando a dati e risultati, dicono subito dopo gli autori, vanno considerati quattro criteri:


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