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Il passo delle Istituzioni relativo agli omosessuali fa riferimento alla
lex Iulia de adulteriis (
2
).
Inst. 4, 18, 4
Item lex Iulia de adulteriis coercendis, quae non solum temeratores
alienarum nuptiarum gladio punit, sed etiam eos qui cum masculis
infandam libidinem exercere audent.
Rispetto alla portata originaria della legge augustea, Inst. 4, 18, 4
contiene una disposizione aggiuntiva: sancisce infatti che deve essere
punito con la spada non solo colui che profana le nozze altrui, ma anche
chi osa dare sfogo ad una innominabile libidine con i maschi. Risulta
infatti difficile sostenere che il reato di “infanda libido cum masculis” fosse
già previsto da Augusto; è più probabile che tale disposizione costituisca
un’aggiunta al testo classico ad opera della cancelleria giustinianea, per
almeno due ordini di motivi: innanzitutto perché sappiamo che questo
paragrafo delle Istituzioni fu redatto dai compilatori senza attingere da
materiale preesistente; inoltre il linguaggio utilizzato – soprattutto
l’aggettivo infanda – si adegua perfettamente all’avversione morale
dell’imperatore nei confronti dell’omoerotismo (
3
).
Mentre in precedenza il diritto romano era intervenuto unicamente
per disciplinare fattispecie particolari, prevedendo la sola condanna degli
omosessuali passivi, Inst. 4, 18, 4 stigmatizza per la prima volta in modo
generalizzato l’erotismo tra persone dello stesso sesso.
(
2
) Legge emanata attorno al 18 a.C., proposta da Augusto con l’intento di moralizzare i
costumi e rafforzare il vincolo matrimoniale: a questo scopo puniva severamente
l’adulterium, ovvero il rapporto sessuale con donna sposata, e lo stuprum, vale a dire
l’unione sessuale al di fuori del matrimonio.
(
3
) Si confronti D. D
ALLA
, «Ubi Venus mutatur»: omosessualità e diritto nel mondo romano,
Milano 1987, pp. 101 ss. Come la previsione della fattispecie omosessuale, l’Autore ritiene
che nemmeno la pena di morte (gladio) nei confronti degli adulterii fosse contenuta nel
testo originario della lex Iulia, ma che sia stata introdotta nel dominato.
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In questa sede, infatti, l’omofilia viene assunta dall’ideologia
dominante e dall’ordinamento giuridico come una condizione negativa,
esecrabile in ogni sua forma.
Anche il linguaggio assume inedite sfumature critiche: l’uso
dell’espressione cum masculis infanda libido sottende, come si è detto, un
giudizio di riprovazione morale che in precedenza era riservato solo a chi
rinunciava alla propria virilità per sottomettersi a un altro uomo, mentre
l’omosessuale attivo non era colpito da infamia (
4
).
Per quanto riguarda il Codex repetitae praelectionis, esso riporta una
costituzione il cui testo corrisponde esattamente a una legge
dell’imperatore Costante databile al 342, presente nel Codice Teodosiano e
riportata nel Codex repetitae praelectionis.
CI. 9, 9, 30 (31) = CTh. 9, 7, 3
Impp. Constantius et Constans AA. ad populum. Cum vir nubit in
feminam, femina viros proiectura quid cupiat? ubi sexus perdidit locum, ubi
scelus est id quod non proficit scire, ubi Venus mutatur in alteram formam,
ubi Amor quaeritur nec videtur: iubemus insurgere leges, armari iura gladio
ultore, ut exquisitis poenis subdantur infames, qui sunt vel qui futuri sunt
rei. Pp. Romae XVII k. Ian. Constantio III et Constante II AA. conss.
[a. 342].
Questa disposizione fu inizialmente emanata per condannare
l’omoerotismo passivo e poi venne accolta nel Codice allo scopo di
reprimere tutte le fattispecie di omosessualità. Giustiniano inserisce nel
Codice tale costituzione anche se il suo contenuto è di valore
programmatico e necessita di essere precisato mediante successivi
(
4
) P.
V
EYNE
, La famille et l’amour sous le Haut-Empire romain, in Annales Economies, Sociétés
Civilisations, XXXIII, 1978, pp. 39-56, definisce la sessualità romana delle origini come
“sessualità di stupro”, in quanto il paterfamilias poteva sottomettere donne, nemici
sconfitti e schiavi in modo pienamente legittimo; all’interno di una società così strutturata
la vera trasgressione era rappresentata dalla scelta, definitiva e consapevole, del ruolo
passivo: ciò comportava pesanti sanzioni, sia sociali sia, talvolta, giuridiche. Si veda
anche, dello stesso Autore, L’homosexualité à Rome, in Sexualités occidentales, Paris 1984, pp.
41-51, trad. L’omosessualità a Roma, in L’amore e la sessualità, Bari 1994, pp. 71-77.
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interventi normativi: in questa sede infatti l’indicazione delle pene rimane
vaga, si accenna solamente al gladius ultor, la spada vendicatrice e alle
exquisitae poenae, espressione che allude a sanzioni particolarmente sottili e
crudeli ma che non vengono specificate (
5
).
I testi riportati nelle Istituzioni e nel Codice confermano lo storico
collegamento tra i reati di sodomia e di adulterio: il riferimento alla poena
gladii contenuto nelle Istituzioni deriva infatti sia dall’interpretazione, in
un’accezione generalizzata, di CTh. 9, 7, 3 = CI. 9, 9, 30 (31), inizialmente
destinata ai prostituti, sia il fatto che i diversi tipi di illecito sessuale
vengono ricondotti alla figura dell’adulterio per quanto riguarda la pena,
ovvero il supplizio capitale irrogato con la spada (
6
).
(
5
) Sulla tipologia di pena si pronuncia Gotofredo, il quale esclude che si trattasse di
decapitazione: l’espressione “gladio ultore” non indicherebbe infatti la poena gladii ma
genericamente la severità del supplizio, che sarebbe consistito nella vivicombustione. Si
veda D.
G
OTHOFREDUS
, Codex Thodosianus cum perpetuis commentarii. Editio nova in VI tomos
digesta, t. III, Mantue 1714, ad CTh. 9, 7, 3, pp. 62 ss.
(
6
) Non viene invece recepita nella compilazione giustinianea la seconda delle due
costituzioni del Teodosiano che si occupano della materia, ovvero CTh. 9, 7, 6 emanata da
Teodosio I nel 390: Idem AAA. Orientio vicario urbis Romae. Omnes, quibus flagitii usus
est, virile corpus muliebriter constitutum alieni sexus damnare patientia, nihil enim discretum
videntur habere cum feminis, huiusmodi scelus spectante populo flammae vindicibus expiabunt.
P(ro)p(osita) in foro Traiani VIII id. Aug. Valentiniano A. IV et Neoterio conss. [390 Aug.
6] Questa legge, riportata in forma estesa nella Collatio al titolo 5, paragrafo 3, stabiliva la
pena di morte per coloro che sottoponevano il loro “virile corpus muliebriter constitutum”
alla “alieni sexus patientia”, ovvero gli omosessuali passivi, e probabilmente era destinata
a colpire, più che i comportamenti dei singoli, il fenomeno sociale, allora diffuso, della
prostituzione maschile; si può pensare che tale legge non fu accolta nel Codex in quanto
diretta al fine specifico di reprimere non ogni forma di omosessualità bensì solo il suo
aspetto passivo, quello più vergognoso e riprovevole per l’etica sessuale pagana. Secondo
A.
D.
M
ANFREDINI
, Qui commutant cum feminis vestem, in RIDA, XXXII, 1985, pp. 257-271,
la costituzione CTh. 9, 7, 6 – considerata l’ambiguità delle espressioni usate – potrebbe
riguardare e colpire sia l’omoerotismo passivo sia atteggiamenti effemminati,
sicuramente più innocui, come il travestitismo: l’uso dell’espressione “corpus muliebriter
constitutum” potrebbe avvalorare questa ipotesi. Si tratterebbe di una legge estremamente
severa, tesa a punire con la vivicombustione dei comportamenti di varia gravità
(l’omosessualità e il travestitismo) entrambi comunque stigmatizzati sotto il profilo
sociale. Giustiniano invece, secondo la tesi sostenuta dall’Autore, accoglie nel Codice solo
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