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castrazione priva l’omosessuale dell’organo con cui ha commesso il
delitto. Sulla base di queste riflessioni non si può non rimanere colpiti se si
pensa che Giustiniano, nella Novella 134 del 556, aveva dichiarato di voler
mitigare le pene corporali, evitando le mutilazioni più invalidanti, ovvero
il taglio di entrambe le mani o di entrambi i piedi e la rottura delle
articolazioni. Questo provvedimento, d’altra parte, testimonia che la
pratica della truncatio fosse tanto utilizzata da necessitare una
regolamentazione ufficiale da parte dell’imperatore (
13
).
Leggendo il passo sopra riportato si deduce che Procopio è molto
critico nei confronti della normativa emanata da Giustiniano sulla
pederastia, uno strumento, stando a quanto egli racconta, spesso utilizzato
(
13
) E. P
ATLAGEAN
, Byzance et le blason penal du corps, in Du châtiment dans la cité. Supplices
corporals et peine de mort dans le monde antique, Roma 1984, pp. 405-427, analizzando in
particolare l’Εκλογή tῶn nῶmon del 726, sottolinea l’affermarsi di un sistema repressivo
che prevede, quali pene, mutilazioni fisiche che simboleggiano in senso metaforico la
colpa commessa. Va sottolineato che sono per lo più gli indigenti a pagare con il proprio
corpo mentre per i ricchi è sufficiente un’ammenda pecuniaria, a parte i casi di maggiore
gravità della colpa (ad esempio crimini contro lo Stato) in cui è impossibile anche per i
più benestanti sfuggire alla punizione corporale. Questo principio, a prima vista estraneo
al diritto romano classico e anche a quello dell’età di Costantino, ha però dei precedenti:
infatti, se non i testi giuridici, le fonti storiografiche riportano dei casi di mutilazioni
inflitte già da prima del 556, anno di pubblicazione di Nov. 134 con cui l’imperatore
Giustiniano regolamenta le pene più invalidanti. L’Autrice fa l’esempio della pena
dell’evirazione per gli omosessuali, riportata negli scritti di Procopio e Malala. Le ragioni
del diffondersi delle mutilazioni penali sono molteplici: in primo luogo, colpendo il reo
nella parte del corpo con cui ha commesso il delitto, lo si rende incapace di recidiva;
inoltre la mutilazione mostra pubblicamente e in modo indelebile l’efficienza della
giustizia nel sanzionare i criminali: “Il colpevole porta i segni della punizione” afferma
Leone VI in Novella 72 e diventa, in qualche modo, una dimostrazione vivente del potere
della legge. Questo vale ancor di più per le mutilazioni infamanti, come ad esempio la
castrazione. Secondo la Patlagéan, la prassi delle sanzioni corporali si ricollega alla
concezione del corpo diffusasi in epoca bizantina sotto l’influsso degli insegnamenti della
Chiesa: secondo la religione cristiana infatti il sacrificio di una parte del corpo è
preferibile alla perdizione dell’anima, senza considerare l’alto valore educativo ed
espiatorio attribuito dai cristiani alla sofferenza. Il corpo non è quindi un’entità
inviolabile, innanzitutto perché destinato ad essere corrotto dalla morte terrena, mentre è
l’integrità spirituale che deve essere a ogni costo salvaguardata.
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per screditare e colpire gli avversari politici dell’imperatore o di sua
moglie Teodora. I processi sono giudicati illogici in quanto vengono
considerate quali prove decisive le testimonianze di uno schiavo costretto
suo malgrado, anche per mezzo della tortura, ad accusare il padrone. In
particolare in Anekdota
lo scrittore racconta che l’imperatrice Teodora, per
punire un certo Basiano, appartenente al partito dei Verdi, che l’aveva
insultata, ordinò che fosse sottoposto alle pene previste per gli
omosessuali: la vittima fu torturata, evirata e uccisa senza processo e i suoi
beni furono confiscati.
P
ROCOPIUS
, Anekdota 16, 18-22 (
14
)
18 Καὶ Βασιανὸν δέ τινα Πράσινον, οὐκ ἀφανῆ νέον ὄντα, αὐτῇ
διαλοιδορησάμενον δι'ὀργῆς ἔσχε. διὸ δὴ ὁ Βασιανὸς (οὐ γὰρ
ἀνήκοος ταύτης δὴ τῆς ὀργῆς ἐγεγόνει) ἐς τοῦ ἀρχαγγέλου τὸν
νεὼν φεύγει. 19 ἡ δέ οἱ ἐπέστησεν αὐτίκα τὴν τῷ δήμῳ ἐφεστῶσαν
ἀρχὴν, οὐδὲν μὲν τῆς λοιδορίας ἐπικαλεῖ ν ἐπαγγείλασα, ὅτι δὲ
παιδεραστοίη ἐπενεγκοῦσα. 20 καὶ ἡ μὲν ἀρχὴ ἐκ τοῦ ἱεροῦ τὸν
ἄνθρωπον ἀναστήσασα ᾐκίζετο ἀνυποίστῳ τινὶ κολάσει, ὁ δὲ δῆμος
ἅπας ἐπεὶ ἐν τοιαύταις συμφοραῖ ς εἶ δε σῶμα ἐλευθέριόν τε καὶ
ἀνειμένῃ ἄνωθεν διαίτῃ ἐντραφὲν, ἀπήλγησάν τε τὸ πάθος εὐθὺς
καὶ ξὺν οἰμωγῇ ἀνέκραγον οὐράνιον ὅσον ἐξαιτούμενοι
τὸν νεανίαν. 21 ἡ δὲ αὐτὸν ἔτι μᾶλλον κολάσασα καὶ τὸ αἰδοῖ ον
ἀποτεμομένη διέφθειρεν ἀνεξελέγκτως, καὶ τὴν οὐσίαν ἐς τὸ
δημόσιον ἀνεγράψατο. 22 οὕτως ἡνίκα ὀργῴη τὸ γύναιον τοῦτο,
οὔτε ἱερὸν ὀχυρὸν ἐγεγόνει οὔτε νόμου του ἀπαγόρευσις οὔτε
πόλεως ἀντιβόλησις ἐξελέσθαι τὸν παραπεπτωκότα ἱκανὴ ἐφαίνετο
οὖσα, οὔτε ἄλλο αὐτῇ ἀπήντα τῶν πάντων οὐδέν (
15
).
(
14
) Si confronti Procopii Caesariensis opera omnia, cit., pp. 103-104.
(
15
) Trad. a cura dell’A.: “Per esserne stata insultata si adirò anche con un certo Basiano,
un giovane di natali non oscuri, della fazione dei Verdi; costui quando venne a sapere
della sua collera, fuggì nella chiesa dell’Arcangelo. Subito essa mise contro di lui il
prefetto della città, ordinandogli di non contestargli l’ingiuria che le aveva recato, ma di
accusarlo di pederastia. L’autorità lo fece uscire dalla chiesa e lo torturò assai duramente.
Tutto il popolo, come vide le sventure toccate ad un corpo come quello, nobile e cresciuto
fra le raffinatezze, subito si addolorò per il triste caso ed elevò al cielo grida e lamenti,
intercedendo per il giovane. Ma essa aggravò ancora di più la punizione facendogli
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