ACQUI TERME
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L’ANCORA
3 SETTEMBRE 2017
Acqui Terme. A tutti è manifesto che il
2017, con la sua estate incredibile, è da
eleggere, davvero, come nostro nuovo
grande “Anno della Musica”.
(E verrebbe da aggiungere “il primo”,
perché tanti indizi portano ad aspettarsi
nel 2018 - lo speriamo: non si possono
dissipare esperienze esaltanti come quel-
la di InterHarmony, cui han fatto corollario
l’Accademia del Mandolino, e tutta una
serie di bellissimi concerti - portano ad
aspettarsi una analoga, sfolgorante sta-
gione).
Ma, nel passato acquese, ci sono stati
altri
“Anni della Musica”?
Questa la domanda su cui ci siamo in-
terrogati.
Rinasco, rinasco, nel 18...35
E così siam giunti alla dimenticata data
di cui sopra, che anticipa di tre lustri il
Gozzano di Nonna Speranza. Già: il 1835.
Che, musicalmente, si ricorda per il gran
successo dei Puritani di Bellini, a Parigi
(24 gennaio).
Ma che è anche l’anno della pubblica-
zione dei Canti (edizione napoletana) di
Leopardi, e di una dura repressione (con
tanto di condanne a morte: proprio non si
scherzava...), a Modena, di alcuni affiliati
alla “Giovine Italia”.
Sempre 1835. Nel Regno di Sardegna
scoppia una epidemia di colera, che tiene
tutti con il fiato sospeso da luglio a otto-
bre. E ad Acqui piccoli incidenti (il ponte
della Trinità sul Medrio che – dice il La-
vezzari – “s’accasciò”), e assai più lieti
eventi.
Eccoci al dunque
In primavera viene inaugurato, con non
piccole ambizioni, il Teatro Dagna. Di cui i
documenti parlano di 56 palchi, e una ca-
pienza di 400/500 spettatori. E l’inizio la-
vori?
Per Giacinto Lavezzari (che si fida pro-
babilmente della sua memoria) il 1833,
con i soci Leon Vita Ottolenghi e Stefano
Cornaglia a coordinare i lavori, con i due
“che si sobbarcano l’onere a condizione
d’averne [del teatro] la goldita per anni
trenta”.
Così leggiamo nella sua Storia d’Acqui
del 1878.
Altre carte dicon 1834. E i dati di cui so-
pra son noti e certificati, e chi li volesse
verificare può attingere al numero due -
monografico - della rivista ITER, che at-
tinge alla tesi di laurea di Roberta Braga-
gnolo, dedicata alla Vita teatrale acquese
(luglio 2005).
Nelle pagine dedicate al “Dagna”, pro-
prio quando il numero - 240 pagine - sta-
va per essere chiuso, quasi terminata l’im-
paginazione, giunsero alcune immagini
relative al libretto della Chiara di Rosem-
berg (l’opera inaugurale: eccoci al 30
maggio 1835).
Immagini che chi scrive aveva potuto ri-
prendere digitalmente grazie alla disponi-
bilità del Conte Cesare Chiabrera.
Questi, che oggi nuovamente ringrazia-
mo, aveva estratto dal suo archivio, la-
sciandoci letteralmente a bocca aperta,
proprio il libretto integrale del primo alle-
stimento, che - come era la consuetudine
al tempo - presentava tra i due atti del me-
lodramma un ballo “eroico pantomimico”
/intermezzo che portava con titolo Il pag-
gio di Leicester.
Uno studio, pur introduttivo, su questa
serata musicale si rinunciò ad allestirlo:
avrebbe voluto dire lavorare di fretta, o
procrastinare un’uscita che era già stata
annunciata (e una presentazione già in
programma, che vide la collaborazione
anche del regista acquese Beppe Navello;
in platea, nel chiostro di San Francesco,
anche l’Assessore Regionale alla Cultura
Gianni Oliva).
Poi, come talora può accadere, sulla
Chiara di Rosemberg scese un ingiusto
oblio. Che la speciale alchimia di questa
estate ha provveduto a spazzar via, com-
plice un bel riordino degli archivi sui pc....
Ma perché quel 1835
fu così importante?
Perché, in un certo qual senso, si
provvide ad allestire “la regina delle
opere” di quegli anni Trenta. E se, og-
gi, Luigi Ricci (1805-1859) pare un car-
neade come operista, il musicista na-
poletano, già enfant prodige, nel 1831
conseguiva, proprio con La Chiara, un
trionfo all’ Imperiale Teatro Alla Scala
di Milano (con 38 repliche; e 23 l’anno
successivo), lui acquisendo, poi, nel
1834 un profilo europeo con Un’av-
ventura di Scaramuca
Ma un altro dato è impressionante. E ri-
guarda la pervasività, la ortuna di un la-
voro in cui non secondario è l’apporto di
uno dei poeti per musica più fecondi (ol-
tre 120 libretti), ed è Gaetano Rossi
(1780-1855), versato nel melodramma
storico e dotato di un orecchio attento a
mode e suggestioni, e di intelligente atti-
tudine letteraria (leggendo Schiller e
Scott, Guerrazzi e Pellico, Voltaire e Hu-
go...).
Nella penisola e fuori:
cinque anni ruggenti
Dopo Milano 1813, ecco la Chiara di
Rosemberg, nel 1832, di nuovo tra i navi-
gli, ma anche a Torino, a Venezia, a Fi-
renze; nel 1833 il melodramma è allestito
a Parma, Verona, Asti, Genova, Roma,
Napoli, Cagliari, Treviso e Mondovì; l’anno
successivo eccolo a Trieste, Lisbona,
Mantova, Pisa, Imola, Modena e, di nuo-
vo, a Milano. Poi il 1835.
Con Acqui (città che il data base libret-
tidopera.it, cui abbiamo attinto sul web,
non cita: ma sulla esaustività siamo dub-
biosi, anche se è davvero un ottimo pun-
to d’avvio) ecco La Chiara in scena a Sie-
na, Lucca e Fermo, Bologna, Fiume e Pa-
via.
Una voce che incantava
Nella compagnia di canto acquese una
prima donna assai apprezzata: Marietta
Riva. Con particolare dovizia citata dalla
“Gazzetta Piemontese” (supplemento) del
12 settembre 1833 in una cronaca che ci
può aiutare a conoscere l’opera (“semise-
ria”: ecco una prima precisazione) in car-
tellone al “Dagna” nel 1835.
Che già nel ’33, “egregio lavoro”, era
stata rappresentata a Mondovì, “accolta
con il medesimo favore e cogli stessi
suffragi che ottenne nei primi Teatri
d’Italia”.
E lusinghiero è il giudizio per la so-
prano Marietta Riva, “che avendo col-
tivato con indefesso studio quelle doti
di che le fu cortese natura, giunse,
benché giovane, a superare quelle dif-
ficoltà che non si possono sormontare
se non che dopo avere acquistato mol-
ta pratica delle scene.
Bellissima e suave [sic] si è la di lei vo-
ce, ottimo ne è il metodo di canto, misu-
rato e nobile il portamento.
Gli applausi che le furono meritata-
mente compartiti - alla fine della sua ca-
vatina e alla fine dei duetti con il basso e
col tenore, e finalmente dopo il rondeau
- sono non dubbia prova che ella pos-
siede al più alto grado simili rare quali-
tà”.
Sì: quel sabato 30 maggio 1835 fu dav-
vero serata memorabile.
G.Sa
Acqui Terme. Sabato 26 agosto, nel chiostro San Francesco, la
compagnia teatrale “In sciu palcu” ha presentato la commedia
“Non è vero…. ma ci credo” di Peppino De Filippo, regia di Mau-
rizio Silvestri. Applausi meritatissimi da parte del pubblico pie-
namente soddisfatto della rappresentazione.
Acqui Terme. Rimandando
a ulteriori futuri contributi, sem-
pre su queste colonne, i dove-
rosi approfondimenti relativi al-
la Chiara di Rosemberg - alle-
stimento acquese 1835 - vale
la pena di sottolineare che la
fabula sull’ingrediente del-
l’agnizione fonda i suoi svilup-
pi.
Chiara, figlia del Conte di
Rosemberg e della consorte
Eufemia (eccoci in un princi-
pato sul Reno), ha nome an-
che Olimpia.
Tra i motivi del successo, ol-
tre alla musica, i versi.
E proprio i primi alludono ad
una cornice festosa. Vassalli,
contadine, villici (ecco il coro)
intonano: “Senti!... senti!... dal
casale.../ là dai colli... d’ogni in-
torno/ que’ concenti... bel se-
gnale/ della festa di tal giorno/
Accorriamo - ci apprestiamo./
Oh! qual giorno fortunato/
Questo mai per noi sarà/ Ri-
cordato - festeggiato/ Da’ cor
grati ognor sarà”.
E se i colli già potevan ricor-
dare il circondario d’Acqui, le
parole del fattore Michelotto
“viaggiatore” (“dai confin di tut-
to il mondo,/ che girai da cima
a fondo, torno alfine ai patri li-
di...”) sono elemento che pote-
va gratificare ogni platea, ogni
città. Che cos’ si poteva vede-
re rappresentata. E gratificata.
Ecco come.
Una nuova aria del catalo-
go
“Trenta burrasche-venti ag-
gressioni/ Vidi trecento – e più
nazioni;/ mostri - le belve più
fiere e strane/ i serpentoni col-
le campane./ Corsi la Francia
- poi l’Alemagna/ la Russia -
l’Affrica - l’Asia - la Spagna /
poi nell’Italia, giardin del mon-
do/ noi ci fermammo a respi-
rar”.
(Il coro che già aveva sotto-
lineato con vari
buhm di sor-
presa le peripezie del Nostro,
formula l’invito “or dell’Italia ci
dei contar”).
Michelotto non si fa pregare:
“Esaltar quel bel paese/ abba-
stanza mai poss’io/ ma... Ac-
qui [il nome della città coincide
sempre con la piazza di rap-
presentazione] è l’amor mio / è
città ch’egual non ha.../ e il
buhm qui non ci sta;/ è la pura
verità”.
“Tutto incanta per vaghezza/
ti sorprende per ricchezza/ che
teatri - che bel corso / quanto
lusso, che concorso/ un man-
gione qual io sono/ trova tutto
all’altra buono/ brava gente! -
di gran cuore.../ sì gentile... e
poi... e poi.../ Donnin bei come
l’amore/ tutte grazia e fedeltà/
Acqui è la città/ cui l’eguale
non si ha / che lasciare non si
sa”.
L’inaugurazione con la Chiara di Rosemberg
Il teatro Dagna e l’anno musicale 1835
Teatro d’agosto
Acqui è la città
che l’uguale non si ha